CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 ottobre 2019, n. 25523
TARSU – Immobile adibito a supermercato – Assoggettabilità a tassazione
Ritenuto che
1. con sentenza n. 10202/8/15, depositata il 16 novembre 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, rigettava l’appello proposto dalla società L.T. S.r.l. avverso la sentenza n. 270/2/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento relativa alla TARSU per l’annualità 2011; la contribuente contestava l’assoggettabilità a tassazione dell’immobile la cui superficie, superiore a 750 mq, era adibita ad attività di supermercato, dovendosi ritenere che i rifiuti dalla stessa prodotti, smaltiti autonomamente, avessero ope legis natura di rifiuti speciali e quindi non assimilabili agli urbani.
3. la CTR, confermando la decisione di primo grado, aveva ritenuto che il Comune impositore, continuando ad applicare il regime della Tarsu nelle more della completa attuazione del Codice dell’Ambiente, avesse correttamente esercitato il suo potere regolamentare nell’assimilazione dei rifiuti, né risultava che la contribuente avesse presentato una richiesta di riduzione per le parti esenti da imposizione;
4. avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 16 maggio 2016, affidato a due motivi; il Comune di Avellino non resisteva in giudizio.
Considerato che
1. con il primo motivo la società contribuente deduce la violazione dell’art. 195, comma 2, lett. e) del d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., insistendo sull’avvenuta abrogazione della Tarsu a partire dall’anno 2010, sulla non assimilabilità agli urbani dei rifiuti prodotti da un’area produttiva con superficie superiore ai 750 mq collocata in un Comune con più di 10.000 abitanti, sull’esistenza in materia di una riserva esclusiva alla competenza dello Stato, sulla illegittimità di una assimilazione determinata con un semplice regolamento comunale;
2. con il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 23 Cost., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., rilevando che i regolamenti comunali erano stati adottati nella vigenza di una normativa ormai abrogata ed in violazione dei precetti di cui al Codice dell’Ambiente.
Osserva che
1. I motivi, che per ragioni di connessione si esaminano congiuntamente, non meritano accoglimento.
1.1. Il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal d.lgs. n. 507 del 1993, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi), e la TIA 1, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente); la TIA 2 è stata sostituita dal TARES (tributo comunale sui servizi), introdotto dall’art. 14 del d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla l. n. 214 del 2011, ed il TARES è stato sostituito dalla TARI (tassa sui rifiuti), istituita dalla l. n. 147 del 2013, art. 1, commi 639 e seguenti), a decorrere dal 1° gennaio 2014.
1.2 Il passaggio da una tipologia di tassazione ad una altra non ha avuto immediata attuazione, trovando applicazione un regime transitorio che ha consentito ai Comuni di mantenere in vigore sia il regime della Tarsu che quello della TIA.
Solo a decorrere dal 1° gennaio 2013, con l’istituzione del Tares, ai sensi dei commi 46 e 47 dell’art. 14 del d.l. n. 201 del 2011 si è avuta la soppressione di tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria.
In particolare l’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), che ha istituito la nuova “tariffa” sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, ha previsto, al comma 1, che “La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11”, il quale recita che “Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti.”
Poiché tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori sia la TARSU che la TIA 1, prevista dal d.lgs. n. 22 del 1997, alla quale, per effetto dei commi 183 e 184 della l. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU.
L’art. 1, comma 184, della l. n. 296 del 2006 ha previsto infatti che nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti adottato in ciascun comune per l’anno 2006 potesse restare invariato anche per l’anno 2007 e che in materia di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, continuassero ad applicarsi le disposizioni degli artt. 18, comma 2, lett. d), e 57, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
L’art. 5, comma 2 quater, del d.l. n. 208 del 2008, conv. dalla l. n. 13 del 2009, come modificato dall’art. 8, comma 3, del d.l. n. 194 del 2009, ha infine disposto che, “Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (entro il 30 giugno 2010), i comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti”.
1.3 Dunque, inutilmente decorso il termine del 30 giugno 2010, è stata prevista la facoltà, ma non l’obbligo, per gli enti locali di adottare delibere di passaggio dalla TARSU alla TIA 2, con effetto dal 10 gennaio 2011.
2. Così ricostruito il quadro normativo, questa Corte, in continuità con quanto già affermato, ritiene che ” In tema di TARSU, la mancata tempestiva adozione, da parte del Ministero dell’Ambiente, del decreto di cui all’ultima parte dell’art. 195, comma 2, lett. e), del d.lgs. n. 152 del 2006 (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, modificata dall’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 4 del 2008) con il quale sono fissati i criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, non fa venir meno il relativo potere regolamentare dei Comuni, poiché la norma transitoria dettata dall’art. 265, comma 1, dello stesso decreto prevede che la normativa previgente continui ad operare fino all’emanazione di quella di attuazione di cui alla parte quarta del medesimo decreto.” (Vedi Sez. 5 Ordinanza n. 1344 del 2019).
Indubbiamente l’art. 195, comma 2, lett. e), del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato ed integrato dall’art. 2, comma 26, del d.lgs. n. 4 del 2008, stabilisce, nel testo ratione temporis applicabile, che spettano alla competenza dello Stato la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani e per la parte che qui rileva che “non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 114 del 1998”, fra cui pacificamente rientra la struttura nella disponibilità della società ricorrente.
La norma transitoria di cui all’art. 265, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, ha tuttavia previsto che “Le vigenti norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle corrispondenti specifiche norme adottate in attuazione della parte quarta del presente decreto. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio delle rispettive competenze, adeguano la previgente normativa di attuazione alla disciplina contenuta nella parte quarta del presente decreto, nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 264, comma 1, lettera i). Ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi continua ad intendersi riferito ai rifiuti pericolosi”.
L’articolo 264, comma 1, lett. i), del d.lgs. in esame dispone, inoltre, che, alla luce dell’abrogazione del d.lgs. n. 22 del 1997 a decorrere dalla data di entrata in vigore della parte quarta del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, “Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”.
Se ne ricava che è lo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 ad aver mantenuto in vigore la normativa in tema di smaltimento rifiuti fino all’adozione di quella di attuazione dallo stesso prevista, con la conseguenza che l’articolo 195 citato non può divenire operativo in assenza del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, adottato d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, il quale è finalizzato a definire “i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani” ed è menzionato nello stesso articolo 195 (Cfr. Sez. 5, n. 9214 del 13 aprile 2018, in motivazione; Sez. 5, n. 1987 del 26 gennaio 2018; Sez. 5, n. 18101 del 21 luglio 2017).
2.1 Quanto poi alle diverse tipologie di rifiuti oggetto di tassazione, questa Corte ha già statuito che per effetto dell’art. 17, comma 3, della legge 24 aprile 1998 n. 128, che ha abrogato l’art. 39 della legge 26 febbraio 1994 n. 146, è venuta meno l’assimilazione “ope legis” ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, con la conseguenza che è divenuto pienamente operante l’art. 21, comma 2, lett. g), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche.
Con riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi, assumono quindi decisivo rilievo le indicazioni dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (Vedi Cass. n. 21342 del 2008; Cass n. 14816 del 2010 e Cass. n. 22223 del 2016), in quanto con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 è stato restituito ai Comuni (cfr Cass. n. 18303 e n. 18382 del 2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, fra cui quelli .prodotti da ditte commerciali, anche “per qualità e quantità” (art. 21, comma 2, lett. g).
Il d.lgs. n. 22 del 1997, emanato in attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, ha previsto, nel Titolo I (“Gestione dei rifiuti”), che:
a) la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci; i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (art. 2, commi 1 e 2);
b) le autorità competenti favoriscono il recupero dei rifiuti, nelle varie forme previste (reimpiego, riciclaggio, ecc.), allo scopo di ridurre lo smaltimento dei rifiuti, che costituisce la fase residuale della “gestione” degli stessi, la quale comprende le operazioni di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento (artt. 4 e 5 e art. 6, comma 1, lett. d);
c) sono rifiuti “urbani”, tra l’altro, quelli non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quello di civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’art. 21, comma 2, lett. g), mentre sono rifiuti “speciali”, tra l’altro, quelli “da attività commerciali” (art. 7, comma 2, lett. b e comma 3, lett. e);
d) i comuni “effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa”; con appositi regolamenti stabiliscono, fra l’altro, “le disposizioni necessarie a ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio”, nonché “l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento”; la privativa suddetta “non si applica (….) alle attività di recupero dei rifiuti assimilati” (dal 1 gennaio 2003, “alle attività di recupero dei rifiuti urbani o assimilati”, ai sensi della L. n. 179 del 2002, art. 23) (art. 21, comma 1, comma 2, lett. e) e g) e comma 7).
2.2. Va pertanto ritenuto che legittimamente il Comune di Avellino ha mantenuto in vigore il regime fiscale della Tarsu anche per l’annualità 2011 ed esercitato il potere regolamentare di assimilare i rifiuti speciali a quelli urbani di cui all’art. 21, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 22 del 1997.
3. Per le suesposte considerazioni, il ricorso va rigettato.
4. Nulla sulle spese stante la mancata costituzione del Comune intimato.
4.1. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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