Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sezione X sentenza n. 4327 depositata il 16 luglio 2019
Imposte dirette – Irpef – Società a ristretta base sociale – Accertamento di maggior reddito – Ammissibilità – Utili extracontabili – Distribuzione – Presunzione – Configurabilità – Onere probatorio – Inversion
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto depositato il 10 novembre 2017 il sig. B.F. socio della società S. srl, ha presentato appello avverso la sentenza n. 8572/2017, con cui la CTP di Roma, Sezione 17, ha respinto il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n. (omissis) notificato al sig. B.S. per maggiori imposte IRPEF, Addizionali regionali e comunali e relative sanzioni ed interessi, per l’anno d’imposta 2010. La CTP aveva infatti ritenuto che nella società a ristretta base partecipativa, secondo orientamento costante della Suprema Corte di Cassazione, si presume, fino a prova contraria, gli utili extra contabili vengano distribuiti fra i soci e che tale presunzione determina l’onere della prova a carico del contribuente, il quale potrà fornire la prova che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione per essere stati accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, prova che il contribuente non ha fornito.
L’accertamento traeva origine dall’avviso di accertamento n. (omissis) emesso nei confronti della S. srl, società di cui il ricorrente deteneva il 45% del capitale sociale. Esso seguiva ad un’attività di verifica svolta dalla Guardia di Finanza, Compagnia (omissis), conclusasi con PVC del 30 agosto 2013, con alcune contestazioni in materia di imposte IRES, IRAP ed IVA, per gli anni dal 2008 al 2013, attraverso una ricostruzione induttiva effettuata ai sensi dell’art. 39 DPR 600/1973.
Da esso emergeva per il 2010, la non deducibilità e la non detraibilità, di diversi costi assunti dalla società per servizi, per il godimento di beni di terzi, per ammortamenti, per oneri diversi di gestione, per altri componenti negativi, per interessi passivi ed oneri straordinari, per un importo complessivo di € 287.306,00. La non deducibilità dei costi e la non detraibilità dell’IVA erano riconducibile alla mancata esibizione di fatture e di giustificativi delle relative spese. Per l’anno 2010 tale maggior reddito d’impresa era indicato in una maggiore IRES per € 79.009,00, una maggiore IRAP per € 14.644,00 ed in una maggiore IVA, ritenuta dovuta, per € 57.461,00, irrogando sanzioni amministrative per complessivi € 239.528,25. L’Ufficio accertava che le quote sociali erano in possesso di tre soci, fra cui il B.F. con quota al 45% (un’altra quota del 45% appartenente a B.S. ed un’altra, del 10%, appartenente a F.F., amministratrice della società) e che pertanto si configurava la fattispecie di una società a ristretta base azionaria. L’Ufficio tenuto conto della presunzione di percezione da parte dei soci degli utili extracontabili realizzati da una società di capitali e non contabilizzati (Cass. n. 15334/2013; sent. n. 17538/2009; 21415/2007), ai sensi dell’art. 41 bis del DPR n. 600/1973, accertava nei confronti del contribuente un reddito di capitale di € 64.282,00, pari al 45%, con conseguente liquidazione di una maggiore IRPEF per € 27.714,00, una maggiore addizionale regionale di € 1.093,00 e comunale di € 515,00 e con irrogazione di sanzioni amministrative determinate in € 29.322,00.
Il contribuente, nell’appello, riproponeva i motivi del ricorso di primo grado, contestava che l’Ufficio avesse mai fornito elementi in grado di supportare l’elemento indiziario, provando la distribuzione degli utili in capo alla S. e la percezione degli stessi da parte del socio. Nel merito ha dedotto l’inesistenza dei maggiori utili prodotti dalla società. Rammentava che il contribuente, come già evidenziato nel ricorso introduttivo, era estraneo ad ogni illecito fiscale eventualmente commesso visto che aveva cessato il suo ruolo di socio con la consegna di tutta la documentazione contabile e fiscale nelle mani del nuovo amministratore e socio unico della società, Sig. F.R., fin dal 7 agosto 2012, come è evidenziabile nei verbali di consegna della documentazione della medesima data.
L’appello è stato proposto per i seguenti motivi: 1) Nullità della sentenza per avere i giudici di prime cure omesso di pronunciarsi sull’eccepita illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della S. srl, per inesistenza dei maggiori redditi di impresa accertati a carico della società e della connessa percezione degli utili posti a base della presunta distribuzione; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 38 del DPR n. 600/73, e degli artt. 2729 e 2697 c.c. in merito all’assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza alla base dell’accertamento la cui assenza renderebbe illegittimo l’accertamento medesimo; 3) nullità della sentenza per omessa valutazione delle circostanze addotte dal contribuente per superare la presunzione di distribuzione degli utili dei soci; 4) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cpc, 36, secondo comma, n. 4, del D.Lgs. 546/92, e art. 132, n. 4 cpc in relazione alla domanda di disapplicazione delle sanzioni amministrative inflitte per carenza di motivazione e per assenza dell’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo tributario. Ha chiesto l’accoglimento dell’appello e la condanna alle spese di lite.
In data 27 novembre 2013, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale III di Roma, si è costituita in giudizio ed ha presentato le controdeduzioni. In via preliminare ha chiesto la riunione per connessione oggettiva e soggettiva con l’appello n. RGA 9662/2017, assegnato alla Sezione 11, presentato dal sig. B.S. come amministratore di fatto della S. srl, per economia processuale che al fine di evitare possibili contrasti fra giudicati. Ha contestato, perché infondati, tutti i motivi di gravame. Ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, il rigetto dell’appello con vittoria delle spese di giudizio ed onorari.
In data 27 marzo 2018, l’appellante ha depositato documenti aggiuntivi consistenti in una consulenza tecnica di parte nell’interesse dei sig.ri B.F. e S.
In data 14 febbraio 2019 sono state depositate memorie illustrative allegando sentenze recenti del 2018 della CTR Lazio e della CTP Roma relative al Sig. B.F. ed altre relative a B.S., per diverse annualità, sottolineando che il ricorrente aveva fornito ampia documentazione dei costi sostenuti e che gli stessi erano prossimi a quelli esibiti nella dichiarazione dei redditi. Pertanto la mancanza di maggiori utili ipotizzata dall’Agenzia per la società faceva cadere l’ipotesi rivolta al socio. Osserva che, contrariamente a quanto affermato dall’Ufficio, il contribuente aveva fornito ampia dimostrazione sull’inesistenza del reddito supposto, documentando con puntuali allegazioni la mancata percezione di utili, in relazione ai maggiori redditi accertati ed alla documentazione afferente le spese deducibili, indicati dal consulente tecnico di parte che aveva ricostruito la quasi totalità dei costi ritenuti indeducibili dall’Agenzia (€ 260.825,77 su un totale di € 287.306,00), soltanto per € 26,480,23 non era stato possibile rinvenire, a distanza di anni, le copie delle relative fatture, a causa della mancata risposta alle richieste inoltrate ai fornitori, molti dei quali erano operatori di rilevanza economica istituzionale, come T. In relazione alla somma indicata corrisponderebbe per il socio appellante un maggior imponibile di € 5.924,69. I dati elaborati dal perito di parte non sono stati contestati. Osserva, al riguardo, l’Agenzia che per il principio di non contestazione, il giudice deve porre a fondamento della decisione oltre che le prove proposte dalle parti anche i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. Dal processo verbale di costatazione si evidenzia che, in relazione ai conti correnti dell’amministratore della società, dei suoi familiari e dei soci della società stessa, non è emersa alcuna irregolarità formale o sostanziale (pag. 3 avviso di accertamento). Ha insistito per l’accoglimento dell’appello con condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio.
All’udienza dell’11 marzo 2019 con ordinanza n. 489/2019 la Commissione, tenuto conto della richiesta dell’Agenzia, ha rinviato la causa all’udienza odierna ravvisando l’opportunità di attendere l’esito della decisione relativa all’appello RGA n. 9662/17, pendente presso la CTR Lazio, Sezione 11 e già trattenuta in decisione all’udienza del 16 gennaio 2017.
In data 1 aprile 2019 l’appellante ha depositato copia della Sentenza n. 1732/19 della CTR, Lazio, Sezione 11, emessa per la medesima annualità, nei confronti dell’altro socio della società S., B.S.
All’odierno dibattimento il rappresentante dell’appellante ha esposto le proprie ragioni, richiamandosi agli scritti difensivi depositati in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di gravame va accolto riconoscendo che l’attuale appellante è legittimato a contestare sia la mancata distribuzione degli utili di cui all’imponibile IRPEF che concerne l’avviso di cui è causa, ed anche la ricorrenza del maggior imponibile in capo alla società, visto che l’accertamento, per l’anno 2010, era stato notificato alla società il 27 novembre 2013, quando l’appellante non era più socio, avendo ceduto le proprie quote il 7 agosto 2012, in linea con l’orientamento prevalente. Nel merito la contestazione risulta parzialmente fondata in considerazione dell’articolata perizia di parte (pag. 38) nella quale il perito, per il 2010, aveva esposto costi per € 1.971.426 accertando che per € 1.853.414, esisteva valida documentazione contabile. Più nel dettaglio i costi recuperati dall’Ufficio a tassazione erano pari ad € 287.306, mentre quelli accertati dal perito erano pari ad € 260.825,77, la detraibilità di tutti quei costi per i quali non è stato possibile ricostruire per il medesimo appellante un maggiore imponibile di relativi costi, come può evincersi dalla consulenza tecnica di parte, è pari ad € 26.480,23, a cui corrisponde per il medesimo appellante un maggior imponibile di € 5.924,69. Poiché tali dati esposti dal perito non sono stati contestati dall’Ufficio, va quindi confermata l’esattezza di detto conteggio, ritenendo tale somma il maggior imponibile IRPEF dell’appellante in ragione della misura della partecipazione (45%).
Il secondo ed il terzo motivo di gravame con cui si contesta l’esistenza della distribuzione dei maggiori utili al socio appellante di società a ristretta base sociale, anche se l’utile non è stato dichiarato, come è stato evidenziato in precedenza, ammonta alla minore somma di € 26.480,23, a cui corrisponde un maggiore imponibile Irpef di € 5.924,69. Al riguardo l’orientamento giurisprudenziale è legato alla presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società a ristretta base sociale (Cass. sent. n. 1947/2019 e n. 2778/2017). Essa poggia su un fatto noto che non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base societaria, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale. Tale presunzione determina l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che deve fornire la prova contraria, detta prova non era stata fornita anche se le indagini sui conti correnti e sulla situazione della società si erano concluse con un giudizio di regolarità. Va al riguardo evidenziato che l’appellante era socio insieme a B. per il 45% ciascuno e che con le quote complessive del 90% erano di fatto i B. ad amministrare la società. Ad ulteriore conferma della distribuzione fra i soci si osserva che dopo un periodo relativamente breve la società è stata alienata ad altri, è pertanto verosimile che le maggiori somme non siano state accantonate ma distribuite fra i soci.
Anche il quarto motivo non è fondato. Nell’avviso si evidenzia che le sanzioni sono determinate nella misura minima tenuto conto dei criteri di cui all’art. 7 d.lgs. 472/97 e sono irrogate ai sensi dell’art. 12, perché con la medesima azione sono state violate più disposizioni relative a tributi diversi. Quanto alla mancanza di colpevolezza, tale censura non può essere accolta in quanto conseguente a dichiarazione infedele, seppure, come già in precedenza rilevato, il tributo a carico dell’appellante risulti notevolmente ridotto.
Conclusivamente l’appello va parzialmente accolto, determinandosi il maggior reddito dell’appellante in € 5.924,69, con conseguente riduzione dell’imposta, con conseguente riduzione dell’imposta e dell’irrogazione delle sanzioni in modo proporzionato. In considerazione dell’esito del giudizio appare giustificata la compensazione fra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
La CTR del Lazio accoglie parzialmente l’appello come da motivazione e compensa le spese di lite.
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