CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 ottobre 2019, n. 26964
Cessazione dell’attività aziendale – Impugnazione dei licenziamenti – Contratto di affitto d’azienda
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Lucca, in sede di opposizione avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 1, co. 49, l. 92/12 all’esito della fase sommaria, di rigetto delle domande di A.M., C.M. e C.B. per intervenuta decadenza in relazione all’impugnazione dei licenziamenti loro intimati per motivata cessazione dell’attività aziendale della società affittuaria dell’azienda (P. M. s.r.I.),
dichiarava, con sentenza non definitiva, la cessazione della materia del contendere tra i tre ricorrenti e la sola P. A. s.r.I..
2. A seguito di transazione della controversia tra il B. ed il M. e di rinuncia da parte degli stessi agli atti e alla domanda proposta in primo grado nei confronti della P. s.r.l. e rimasto circoscritto l’oggetto del contendere alle domande proposte dal M. nei confronti della P. M s.r.l. e della P. s.r.l. ed a quelle avanzate dal M. e dal B. nei confronti della sola P. M. s.r.I., il Tribunale dichiarava la nullità dei licenziamenti irrogati da P. M. s.r.l. ai ricorrenti. Per l’effetto, condannava la P. s.r.l. a reintegrare il M. nel posto di lavoro ed a corrispondere allo stesso un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegra, in solido con P. M. per cinque mensilità ed in via esclusiva per le altre, dedotto l’aliunde perceptum, oltre al versamento di contributi assistenziali e previdenziali; condannava P. M. s.r.l. al pagamento, in favore del B. e del M., di un’indennità risarcitoria commisurata, per ciascuno, a cinque mensilità dell’ultima retribuzione, oltre al versamento dei contributi.
3. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 24.10.2017, in parziale riforma della decisione impugnata, escludeva la condanna di P. M. al risarcimento del danno in favore di A.M. in solido con la P. s.r.l. ed escludeva la condanna della P. M.
s.r.l. al pagamento di cinque mensilità in favore di C.B. e di C.M..
4. La Corte rilevava che i fatti si compendiavano nell’essere stati i lavoratori licenziati per g.m.o. nel 2013, quando erano alle dipendenze della P. M. s.r.I., che conduceva l’azienda in affitto dalla cedente P. s.r.I., e nell’essere stato il licenziamento intimato per cessazione dell’attività; aggiungeva che, avendo il soggetto che conduceva l’azienda precariamente cessato l’attività produttiva, lo stesso non poteva che restituirla all’affittante e che tale restituzione realizzava la retrocessione di un complesso di beni che era stato oggetto di cessione, senza che rilevasse, quanto al contenuto dell’obbligo gravante sul cessionario tenuto alla restituzione, la circostanza che le parti avessero eventualmente concordato la restituzione frazionata del compendio. Osservava che la retrocessione, cioè la restituzione dell’azienda all’originaria cedente da parte del cessionario che ne era stato affittuario, costituiva trasferimento d’azienda, soggetto alla disciplina ed alle garanzie dell’art. 2112 c.c., e rilevava che l’affittante aveva deciso della destinazione di tutti i beni costituenti il compendio aziendale, consentendo che alcuni di essi restassero precariamente in uso alla già affittuaria. Sosteneva che, in ragione di ciò, il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’azienda ceduta dovesse continuare con l’affittante, tornato nella disponibilità del complesso dei beni, ex art. 2112 c.c., salva la legittima facoltà di quest’ultimo di recedere dai rapporti di lavoro, ove avesse inteso effettivamente cessare l’attività produttiva svolta nel compendio oggetto della retrocessione.
5. Né, secondo la sentenza, ad escludere l’operatività del meccanismo successorio sarebbe valsa la decisione dell’affittante di cedere a terzi, contestualmente alla restituzione da parte dell’affittuario, singoli beni aziendali, essendo presupposto di una tale decisione la disponibilità giuridica dell’intero complesso dei beni.
Pertanto, secondo la Corte, il licenziamento impugnato era stato intimato in violazione della disposizione imperativa dell’art. 2112 c.c. che assicurava ai lavoratori dipendenti del cedente la continuazione del rapporto con il cessionario, e la nullità comportava che il lavoratori erano da ritenere in forza alla retrocedente e transitati alle dipendenze di P. s.r.l. in liquidazione, che, pertanto, era tenuta a ripristinare il rapporto di lavoro.
6. Poiché il M. ed il B. avevano limitato le domande nei confronti della sola P. M. s.r.I., la stessa non poteva essere tenuta alla tutela reintegratoria, laddove il danno da risarcire faceva capo alla s.r.l. P., cui il lavoratore era in carico sin dalla data del licenziamento, sicché P.M. non era tenuta neanche in solido al risarcimento del danno ed il suo appello doveva essere accolto, tenuto conto del fatto che il M. ed il B. avevano transatto ogni rapporto con la P. s.r.I..
7. La Corte dichiarava l’inammissibilità dell’appello incidentale della P. s.r.l. in quanto depositato tardivamente ed in ragione della ritenuta mancanza di ogni rapporto di dipendenza dello stesso con l’appello proposto in via principale dalla P.M. s.r.I., nel senso che nessun pregiudizio ulteriore (rispetto al capo di sentenza non impugnato in via autonoma) poteva ritenersi dipendere dall’esito dell’impugnazione promossa dalla P. M., in quanto il M. ed il B. non avevano svolto alcuna domanda nei confronti della P. s.r.I., mentre il M. aveva ottenuto la condanna al risarcimento a carico esclusivo della P. srl.
8. Di tale decisione domanda la cassazione la P. s.r.I., affidando l’impugnazione a cinque motivi, diretti contro la parte della sentenza relativa alla posizione del M., che resiste con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso della società P. a r. I. in liquidazione attiene alla dedotta ammissibilità della impugnazione incidentale sia in via adesiva che autonoma, in relazione all’interesse all’impugnazione (in cause in rapporto di dipendenza) ex artt. 81 e 100 c.p.c., all’ applicazione della regola procedimentale di cui all’art. 334 c.p.c. in relazione all’art. 331 c.p.c., assumendosi l’erroneo inquadramento e falsata interpretazione della (contro)impugnazione adesivo-dipendente rivolta contro la parte (M.) investita dall’impugnazione principale, e denunciandosi error in procedendo, nullità della sentenza e del procedimento per il fatto che non vi era stato riferimento alcuno, da parte della Corte del merito, al contenuto/portata dell’appello incidentale; si censura la decisione per omissione di pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c, per violazione dei principi e delle regole poste sul punto da Cass., sez. un. 24627/07, ribadite da Cass. 21304/2016.
1.1. Si assume che nello stesso momento in cui la Corte territoriale ha ritenuto la P. s.r.l. carente di interesse ad impugnare – perché il M. aveva ottenuto condanna in primo grado solo contro di essa – nello stesso tempo non ha potuto negare che, invece, la condanna di primo grado della P. s.r.l. era stata disposta in solido, assieme alla P. M. s.r.I., quanto al danno e quanto alle spese. Poiché la notifica del reclamo era avvenuta anche nei confronti della P. s.r.l. ai fini della necessaria integrazione del contraddittorio in grado di appello e della conseguente litis denuntiatio, avendo la stessa preso parte al giudizio di primo grado ed avendo anch’essa subito una condanna da ritenersi dipendente- inscindibile, la P. s.r.l. aveva in secondo grado interesse all’impugnativa sia per la sostanziale coobbligazione con l’altra società (cessionaria), sia per il rapporto di dipendenza di causa che aveva dato luogo all’integrazione del contraddittorio, essendo prefigurabile una situazione di contrasto/difformità tra giudicati scaturenti dal medesimo rapporto.
Ciò per l’ipotesi che la Corte d’appello avesse potuto dichiarare come inesistente, o, diversamente, quantificare in misura assai inferiore il debito per risarcimento, contributi e spese accertato in primo grado, sì che l’eventuale accoglimento dell’impugnazione principale avrebbe potuto mettere in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato tacita acquiescenza omettendo l’impugnativa nei termini di legge. Si richiama Cass., s. u., 27.11.2007 n. 24627 anche con riguardo alla possibilità che l’impugnazione incidentale riguardi un capo della sentenza ancorchè diverso da quello impugnato in via principale e con lo stesso non in rapporto di dipendenza connessione.
2. Con il secondo motivo, si ascrive alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. (applicazione della norma a fatti/situazioni da essa non regolati). Si sostiene che non si verta in ipotesi di nullità del licenziamento, ma, semmai, di illegittimità ingiustificatezza del recesso in relazione all’art. 3 I. 604/66 e si denunzia violazione e/ o falsa applicazione dell’art. 30, co. 1, I. 183/10 e dell’art. 1, co. 43, I. 92/12, in relazione all’art. 41 Cost., rilevandosi l’omessa considerazione dei basilari principi espressi dalla S. C. in materia ed osservandosi: che mancava, in base alle emergenze di causa, il presupposto dell’immutata organizzazione dei beni aziendali, avendo la P. s.r.l. anch’essa provveduto a dismettere parte dei macchinari pesanti e degli strumenti per l’esercizio dell’attività di lavorazione dei marmi; che la prova della risoluzione del contratto di affitto d’azienda e della data di risoluzione del rapporto d’affitto era carente; che mancava il presupposto della prosecuzione da parte della cedente dell’attività già esercitata in precedenza, avendo la società nel dicembre 2012 già ceduto a terzi la maggior parte dei macchinari importanti.
3. Con il terzo motivo, si lamentano violazione e/o falsa errata applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 414 n. 5 e n. 4 c.p.c., omessa considerazione dei principi di cui a Cass. s.u. 11353/04 (sul contenuto irriducibile del ricorso di lavoro); violazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 2556 c.c. sulla forma e data della supposta risoluzione dell’affitto d’azienda; violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1463 e 1256 c.c. (reale cessazione dell’attività), dell’art. 2112 c.c., nonché omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione, assumendosi che era stato ingiustificatamente dato per scontato, contravvenendosi alle norme richiamate, che alla cessazione dell’attività produttiva di P. “si sia dato … un nuovo trasferimento dell’azienda già gestita dalla datrice di lavoro dei reclamanti, ritornata nella disponibilità giuridica dell’affittante”, dandosi per scontato anche che la affittuaria, P. M. s.r.I., fosse senz’altro tenuta, al più tardi alla data del licenziamento, a retrocedere l’azienda all’affittante. Si rileva che, vertendosi in materia di affitto d’azienda, sarebbe stata necessaria la forma scritta ad probationem ai sensi dell’art. 2556 c.c., con esclusione di ogni altro mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni.
4. Con il quarto motivo, ci si duole della violazione e/o falsa-errata applicazione dell’art. 18 I. 300/70 (anche in relazione alla residuale individuazione/applicazione, in ipotesi, del 5 -7 comma nella formulazione post l. 92/12); della negata applicazione della previsione dell’art. 8 I. 604/66, (in ipotesi di ritenuta illegittimità ingiustificatezza del recesso), assumendosi che, nel ritenere il licenziamento nullo, la Corte di Firenze per un verso abbia applicato la norma dell’art. 2112 c.c. ad un fatto da essa non regolato e, per altro verso, abbia negato l’applicazione alla singolare fattispecie delle previsioni dell’art. 8 l. 604/66, poiché, anche volendo ritenere il licenziamento come ingiustificato, vertendosi in ambito di tutela obbligatoria, il risarcimento sarebbe dovuto essere contenuto tra 2, 5 e 6 mensilità. Si aggiunge che, in ipotesi denegata di qualificazione del licenziamento come illegittimo e non integrante gli estremi del g.m.o., la tutela da accordare non sarebbe quella del 4 comma dell’art. 18 l. 300/70, bensì, al limite, quella prevista dal combinato disposto dei commi 5 e 7 dell’art. 18, detratto l’aliunde perceptum.
5. Con il quinto motivo, si denunziano violazione e/o falsa-errata applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. circa la regolamentazione delle spese dei precedenti gradi di giudizio, violazione di legge in ordine alla decisione di compensazione integrale delle stese – a favore della sola P. M. s.r.l. – e non anche della P. s.r.l.
6. Alla luce dei principi sanciti da Cass. S.U richiamata nonché di successive decisioni (tra le altre v. Cass. 25.1.2018, n. 1879, Cass. 12.3.2018 n. 5876, Cass. 15.6.2018 n. 15770), il primo motivo deve ritenersi fondato, in quanto il rapporto di solidarietà, affermato nella sentenza di primo grado, rendeva probabile che l’accoglimento dell’impugnazione principale mettesse in discussione l’assetto di interessi derivante da tale pronuncia, alla quale il coobbligato solidale aveva prestato tacita acquiescenza, potendo venire meno il titolo dell’obbligo per il solo ricorrente principale, solidalmente obbligato.
Sul tema va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale applicativo dell’art. 334 cod. proc. civ. (per il quale v. Cass. Sez. U, n. 24627 del 27/11/2007 e, di recente, ad es. Cass. n. 25848 del 09/12/2014 e n. 23396 del 16/11/2015), secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, ove l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivanti dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, atteso che l’interesse ad impugnare sorge, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi tale assetto.
6.1. Trattandosi di valutare la reale utilità della parte, come detto anche qualora le cause siano scindibili, non vale considerare, ai fini che interessano, il rapporto di scindibilità o inscindibilità delle cause, così come non vale – per apprezzare la modificazione dell’assetto di interessi – considerare solo formalmente la diversità di rapporti investiti dall’impugnazione principale e da quella incidentale, dovendo valutarsi anche le eventuali interrelazioni (cfr. Cass. 25.1.2018 n 1879).
6.2. Questa Corte a SS.UU., con la sentenza n. 24627 del 2007, ha, invero, affermato che, alla stregua del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza: conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della contro impugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale. (cfr. Cass., s. u., 24627/2007 cit. e, negli stessi termini, Cass. 12.3.2018 n. 5876).
6.3. Ne deriva che la Corte d’appello di Firenze ha fatto erronea applicazione dell’art. 334 cod. proc. civ., non valutando l’interesse ad impugnare in via incidentale sorgente dall’interrelazione tra le pronunce suscettibile di essere modificata in caso di esame della sola impugnazione principale.
6.4. Il primo motivo, va conseguentemente accolto, ciò che determina l’assorbimento di tutti gli altri, rispetto alla cui disamina si pone come condizionante la possibilità di avere riguardo alle censure dell’appello incidentale ritenuto tardivo.
7. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto, e va disposto il rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, la quale si atterrà al principio di diritto enunciato e procederà altresì al governo delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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