Corte di Cassazione sentenza n. 27278 depositata il 24 ottobre 2019
Imposte indirette – IVA – Credito – Cedibilità prima della richiesta di rimborso – Sussiste
FATTI DI CAUSA
A seguito di omesso versamento IVA da parte di GF s.r.l., l’Agenzia delle Entrate, con cartella di pagamento, contestò la cessione del credito IVA anno 2001 effettuata da AF s.r.l. alla stessa GF s.r.l. con atto del 2.5.2002, notificato all’Ufficio il successivo 7.8.2002. A tale data, secondo l’Ufficio, il credito stesso non era ancora venuto a giuridica esistenza, essendo stato dichiarato da entrambe le società in seno alle rispettive dichiarazioni presentate il 25.10.2002, sicché la cessione stessa era da considerarsi invalida e comunque improduttiva di effetti. Incorporata GF da AF, a seguito di fusione del 2.11.2006, l’incorporante propose quindi ricorso dinanzi alla C.T.P. di Brescia, che l’accolse con sentenza del 27.12.2006, sul rilievo che, per effetto dell’intervenuta fusione per incorporazione, la questione doveva intendersi superata. L’Ufficio propose quindi appello dinanzi alla C.T.R. della Lombardia, sez. st. di Brescia, che lo respinse con sentenza del 7.2.2011, rilevando che il credito IVA in discorso non era un credito infrannuale, bensì certo e definitivo, perché maturato alla data del 31.12.2002 (rectius, 31.12.2001), bollando la posizione della parte pubblica come eccessivamente formalistica, chiara essendo la volontà delle parti contraenti e comunque confermando il ritenuto superamento della questione a seguito della fusione tra le due società.
Intervenuta, nelle more tra l’assunzione della causa in decisione e la pubblicazione della sentenza d’appello, l’estinzione della società incorporante per effetto della approvazione del bilancio finale di liquidazione e della conseguente cancellazione della stessa dal Registro delle imprese, l’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, cui resistono con unico controricorso B.P., U.L., F.L., Fa.Gi., C.D., Finanziaria e Immobiliare PR s.p.a., RC s.r.l., Bo.Gi., Bo.Ch., nonché M.I., in proprio e quale liquidatore di AF s.r.l. in liquidazione. I controricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 – Con il primo motivo, si lamenta violazione del D.L. n. 70 del 1988, art. 5, comma 4 – ter, conv. in L. n. 154 del 1988, avuto riguardo al R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente rileva che, dalla normativa indicata in rubrica, emerge che il credito IVA può essere ceduto soltanto se risultante dalla dichiarazione annuale, in quanto il presupposto della cessione stessa è che di esso sia stato chiesto il rimborso, e non il riporto all’anno successivo da parte del suo titolare. Poiché tale scelta viene esternata solo nella dichiarazione, ne deriva che, prima della sua presentazione, il credito non può dirsi dotato di certezza, liquidità ed esigibilità, requisiti necessari ai fini della cessione, ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, ex art. 69. Ha dunque errato la C.T.R. nel ritenere che il credito potesse essere ceduto, benché maturato solo dopo la cessione.
1.2 – Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 2504-bis, 1253, 1254 e 2697 c.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38-bis, nonché con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole dell’erroneità della decisione, nella parte in cui si è affermato che l’intervenuta fusione per incorporazione tra le due società determina il superamento della questione, per essere l’incorporante comunque divenuta, ad un tempo, debitrice e creditrice dell’Erario, per la partita in contestazione. Osserva l’Agenzia che le posizioni in discorso non possono estinguersi per confusione, perché l’altro titolare del rapporto obbligatorio è la stessa Agenzia, che comunque non può essere svantaggiata dal fenomeno successorio. Né può dirsi che possono riscontrarsi, nella specie, un debito ed un credito in capo al medesimo soggetto, perché è pacifico che AF non fece valere il proprio diritto al rimborso entro il termine biennale di decadenza.
2.1 – Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso come notificato ad AF s.r.l. in liquidazione e ad M.I. nella qualità di liquidatore, mentre va invece respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dai soci in controricorso circa la propria carenza di legittimazione passiva.
Infatti, nella giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata l’affermazione secondo cui “In tema di contenzioso tributario, qualora l’estinzione della società di capitali, all’esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del giudizio di cui la stessa sia parte, l’impugnazione della sentenza resa nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta in quanto il limite di responsabilità degli stessi di cui all’art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sè escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci” (Cass. n. 9094/2017; n. 15035/2017; n. 14446/2018; n. 897/2019).
Pertanto, stante l’intervenuta cancellazione della società in data 26.1.2011, da un lato essa non poteva essere evocata nel giudizio di cassazione, mentre dall’altro, del tutto correttamente, lo sono stati i soci, dotati di legittimazione passiva a prescindere dall’accertamento della percezione di somme, da parte loro, all’esito della liquidazione.
E’ invece inammissibile, come già anticipato, l’evocazione di M.I. per la presunta responsabilità in cui è incorsa quale liquidatore, trattandosi di vicenda che esula dai confini di questo giudizio.
3.1 – Ciò posto, i motivi, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati, sebbene la decisione d’appello necessiti di essere corretta e/o integrata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.
Premesso che la C.T.R. è verosimilmente incorsa in un errore materiale (invero non esattamente percepito dall’Agenzia ricorrente), laddove ha ritenuto che il credito IVA in discorso sia maturato alla data del 31.12.2002 (anziché, come parrebbe evincersi dal tenore della motivazione, al 31.12.2001), il giudice d’appello ha sostanzialmente ritenuto che il credito stesso fosse esistente all’atto della cessione, avvenuta il 2.5.2002, perché il saldo IVA, per la società GF, risultava inequivocabilmente a credito alla data del 16.3.2002 (data della liquidazione finale dell’IVA dell’anno precedente).
3.2 – Sulla questione della cedibilità del credito IVA non ancora chiesto a rimborso, risulta in verità un unico precedente (Cass. n. 13027/2015, non massimata), che conclude in senso affermativo, muovendo dalla premessa della libera cedibilità dei crediti futuri, secondo il principio generale di cui all’art. 1348 c.c., a condizione che sussista – alla data della cessione – il rapporto giuridico di base.
Su tali premesse, la Corte “osserva che le dichiarazioni fiscali, enfatizzate dal giudice d’appello, non sono atti negoziali o dispositivi e, soprattutto, non costituiscono il titolo giuridico dell’obbligazione tributaria, di pagamento o di rimborso, ma sono esternazioni di scienza e di giudizio (Sez. 5. Sentenza n. 29738 del 19/12/2008, Rv. 606025). Dunque, ai fini della cessione di un credito IVA, non rileva tanto che esso sia esposto in una dichiarazione annuale già presentata, quanto l’esistenza di uno specifico rapporto giuridico fiscale. Esso è, nella specie, riconducibile alla posizione di soggetto d’imposta, pacificamente rivestita, ai fini dell’IVA, dalla società di capitali cedente, rientrando il relativo credito fiscale, futuro o semplicemente sperato, nella normale dinamica contrattuale su oggetto determinabile in esito alle normali procedure tributarie. Peraltro, è noto che la natura consensuale del contratto di cessione di credito comporta che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non comporta, altresì, che al perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento immediato del credito dal cedente al cessionario (Sez. 1, Sentenza n. 184 del 10/01/1966, Rv. 320352). Così, nel caso in cui oggetto del contratto di cessione sia un credito futuro, il trasferimento del credito dal cedente al cessionario si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza, prima di allora il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria (conf. Sez. 1, Sentenza n. 3099 del 17/03/1995, Rv. 491224, e Sez. 3, Sentenza n. 8333 del 19/06/2001, Rv. 547576). 4.3. In siffatta prospettiva la cessione del credito IVA, vantato dalla curatela fallimentare ma non ancora esposto in dichiarazione, non può che seguire le ordinarie regole del c.c. (artt. 1260, 1264, 1348), a parte l’osservanza delle peculiari disposizioni sulla contabilità generale dello Stato. Queste ultime, infatti, si limitano a prevedere che “le cessioni…, nei casi in cui sono ammesse delle leggi, debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta il pagamento” e “debbono indicare il titolo e l’oggetto del credito verso la Stato, che si intende… cedere” (R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70).
4.5. Inoltre, nel caso specifico di cessione del credito IVA restano sempre ferme le disposizioni relative al controllo delle dichiarazioni, delle relative rettifiche e all’irrogazione delle sanzioni nei confronti del cedente il credito e alle eventuali garanzie di ripetizione a carico del cessionario (D.L. n. 70 del 1988, art. 5, comma 4-ter).
Ne deriva che, una volta osservati gli adempimenti formali richiesti dalle regole di contabilità generale dello Stato, la cessione di credito “futuro” produce nei confronti del fisco i medesimi effetti previsti dalla normativa civilistica, ossia l’efficacia obbligatoria di detta cessione mentre il conseguente trasferimento del credito si verifica esclusivamente quando il credito fiscale stesso viene ad esistenza, senza che possa essere considerata causa ostativa all’efficacia dell’atto di cessione il fatto che il credito (quantificabile) non sia ancora stato chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale al momento dell’atto di cessione, dato che tale circostanza comporta soltanto il rinvio del pieno operare degli effetti della cessione al momento in cui il credito viene a cristallizzarsi definitivamente secondo le norme tributarie”.
3.3 – Ritiene la Corte come la citata sentenza ben colga, ad un tempo, l’essenza della questione e l’assenza di ragioni che ostino alla libera cedibilità del credito IVA non ancora chiesto a rimborso; pertanto, si ritiene di dovervi dare continuità.
Non è casuale, peraltro, come il diffuso convincimento degli operatori del settore in senso restrittivo, ossia circa la necessità della previa richiesta a rimborso ai fini della validità della cessione, nel silenzio di norme primarie e secondarie, venga sostanzialmente fatto risalire a circolari dell’Agenzia delle Entrate (da ultimo – al netto di talune precisazioni circa la valenza meramente obbligatoria della cessione del credito non ancora esposto in dichiarazione – pare incorrere nel medesimo equivoco la “Risposta a quesito di consulenza giuridica” n. 1/19, resa dall’Agenzia in data 17.1.2019, laddove si afferma che, ai sensi del D.M. n. 384 del 1997, art. 1, “possono essere ceduti solo i crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi”; l’art. 1 cit., in realtà, disciplina soltanto il profilo dell’efficacia della cessione nei confronti del Fisco). Va ancora osservato che la disposizione del D.L. n. 70 del 1988, art. 5, comma 4-ter, conv. in L. n. 154 del 1988, non depone in senso univoco, come invece preteso dalla stessa Agenzia ricorrente, solo con essa precisandosi che “in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, salvo che questi non presti la garanzia prevista nel suddetto articolo, comma 2, fino a quando l’accertamento sia diventato definitivo”, ma “Agli effetti del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis”. Si tratta, insomma, di una disposizione normativa peculiare, inidonea a derogare la regola generale della libera cedibilità dei crediti anche in subiecta materia, ex art. 1348 c.c., nel senso sopra precisato. Considerazioni in tutto analoghe possono spendersi in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43 – bis e al relativo regolamento di attuazione (D.M. n. 384 del 1997, già citato).
Va infine soggiunto che, nella specie, non è contestato che tutti gli adempimenti formali di cui al Regolamento di contabilità dello Stato siano stati rispettati.
Alla luce di quanto precede, quindi, può nella sostanza condividersi l’osservazione – seppur in verità generica – della C.T.R. circa l’eccessivo formalismo in cui è incorso l’Ufficio, non senza precisare che la tesi propugnata col mezzo in esame, come già in parte anticipato, è stata negletta dalla stessa Agenzia delle Entrate nella citata “Risposta a quesito di consulenza giuridica” n. 1/19, laddove si è invece affermato che la cessione preventiva del credito tributario è comunque valida tra le parti.
4.1 – Venendo al secondo motivo, concernente la questione della fusione per incorporazione tra società cedente e cessionaria, il “superamento della controversia” ritenuto dal giudice d’appello potrebbe dirsi effettivo se, consolidatosi l’effetto traslativo della cessione all’atto delle rispettive dichiarazioni annuali (avvenute il 25.10.2002), con queste si siano cristallizzate rispettive posizioni di credito/debito tra le società rispetto all’Erario.
Manca tuttavia al riguardo un puntuale accertamento in fatto (sebbene in verità, dalla lettura degli atti regolamentari ciò appaia ampiamente verosimile), ma in ogni caso la doglianza in esame resta assorbita dalla decisione sul primo motivo, perché – affermata la libera cedibilità del credito IVA futuro – l’Agenzia avrebbe dovuto verificare l’effettiva spettanza del credito in discorso, ciò che pacificamente non ha fatto.
In proposito, e solo ad abundantiam, è comunque il caso di precisare che, in applicazione del principio unionale di effettività e neutralità dell’IVA, è ormai consolidato l’orientamento secondo cui “pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (così, Cass., Sez. Un., n. 17757/2016).
Ebbene, detti ultimi elementi, da quanto è dato evincersi dalla lettura degli stessi atti regolamentari, non sono affatto in discussione nel caso che occupa, sicché anche per tal verso la pretesa fiscale si palesa illegittima.
5.1 – In definitiva, il ricorso è respinto. Quanto alle spese, nel rapporto processuale con i soci, quelle di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia ricorrente. Nulla va disposto riguardo alla società.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
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