CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2017, n. 11903
Esposizione all’amianto – Rivalutazione contributiva – Diritto – Accertamento – Pensionamento anticipato
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 22.4.2010, la Corte d’appello di Potenza, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l’INPS a corrispondere a V.S. i ratei di pensione di anzianità maturati e non riscossi dall’1.1.2005 al 30.6.2009, in conseguenza dell’accertamento del suo diritto a beneficiare della rivalutazione contributiva per pregressa esposizione all’amianto.
La Corte, in particolare, dopo aver accertato che, ove l’Istituto avesse riconosciuto il beneficio della rivalutazione contributiva, l’assicurato avrebbe potuto conseguire la pensione di anzianità fin dal 1°.1.2005, riconosceva a titolo risarcitorio le somme che questi avrebbe potuto conseguire ove gli fosse stato accordato il diritto alla pensione, precisando che il danno risarcibile era solo quello «patrimoniale costituito dal mancato riconoscimento del diritto al pensionamento anticipato ed al conseguente diritto al godimento della pensione di anzianità», mentre nessuna prova poteva dirsi raggiunta «in relazione al danno non patrimoniale» (cfr. sentenza cit., pag. 12).
Contro questa pronuncia ricorre l’INPS con un unico motivo, illustrato con memoria. Resiste V.S. con controricorso.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 22, I. n. 153/1969, e 10, comma 6, d.lgs. n. 503/1992, per avere la Corte di merito riconosciuto il diritto al pensionamento anticipato nonostante che l’assicurato, nel periodo in questione, prestasse ancora attività lavorativa.
Il motivo è fondato. L’art. 22, I. n. 153/1969, stabilisce espressamente, al comma 1°, lett. c), che «gli iscritti alle assicurazioni obbligatorie per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti […] hanno diritto alla pensione a condizione che […] non prestino attività lavorativa subordinata alla data della presentazione della domanda di pensione», e questa Corte ha già avuto modo di precisare che trattasi di requisito che, sebbene non espressamente richiamato all’art. 1, comma 25, I. n. 335/1995, è comunque ricavabile dall’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 503/1992, secondo il quale, per quanto qui rileva, «le pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti […] non sono cumulabili con redditi da lavoro dipendente, nella loro interezza, […] ed il loro conseguimento è subordinato alla risoluzione del rapporto di lavoro» (cfr. in tal senso Cass. n. 5052 del 2016, ove ampi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte). E poiché è incontroverso tra le parti che l’odierno controricorrente, al momento della presentazione della domanda di pensione di anzianità (30.12.2004), prestasse ancora attività lavorativa, risultando alle dipendenze di G.P.F.N. s.p.a. (cfr. in tal senso le allegazioni del ricorso introduttivo del giudizio, trascritte a pag. 9 del ricorso per cassazione), è evidente che, a tale data, non poteva in alcun modo conseguire la pensione di anzianità.
Non vale in contrario obiettare che ciò che in specie hanno riconosciuto i giudici di merito non è la pensione di anzianità, ma il danno patrimoniale conseguito alla sua mancata percezione: in disparte il fatto che oggetto della domanda introduttiva del presente giudizio era di «dichiarare il diritto del ricorrente [oggi controricorrente, n.d.e.] alla pensione di anzianità […] e condannare l’INPS alla erogazione del relativo trattamento pensionistico ed alla erogazione, a favore dello stesso, dei ratei di pensione maturati dalla data della domanda (30.12.2004)» (cfr. sentenza impugnata, pag. 2), decisivo al riguardo è rilevare che non si può logicamente risarcire il danno derivante dalla lesione di un diritto che non è mai sorto per difetto di uno dei suoi presupposti.
E’ poi appena il caso di precisare che una conclusione del genere non è in alcun modo suscettibile – come pure paventa parte controricorrente – di coartare la libera scelta dell’assicurato, obbligandolo, in caso di contestazione del beneficio della rivalutazione contributiva da parte degli enti previdenziali, a proseguire la propria attività lavorativa ovvero a dimettersi per poter far accertare il proprio diritto alla pensione: essendosi ormai consolidato il principio di diritto secondo cui il beneficio della rivalutazione contributiva della posizione assicurativa di cui all’art. 13, comma 8, I. n. 257/1992, è autonomo rispetto al diritto alla pensione e può essere fatto valere a prescindere dall’avvenuto pensionamento, traducendosi in una modalità più favorevole di calcolo della contribuzione per la determinazione della pensione medesima (cfr. da ult. Cass. n. 2351 del 2015), è evidente che l’accertamento del diritto alla rivalutazione (e alla conseguente maturazione della provvista contributiva utile per la pensione di anzianità) può essere fatto valere senza necessariamente dimettersi dal posto di lavoro.
Il ricorso, pertanto, va accolto. La sentenza impugnata va cassata per quanto di ragione e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda volta a conseguire la pensione di anzianità.
Le alterne vicende di merito costituiscono giusto motivo per compensare tra le parti le spese dell’intero processo. ,
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda volta al conseguimento della pensione di anzianità. Compensa le spese dell’intero processo.
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