CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2019, n. 34191
Obblighi contrattualmente assunti dall’agente – Diversa interpretazione delle clausole contrattuali – Mancata evidenziazione del criterio interpretativo violato o delle incongruità e illogicità della motivazione – Ricorso inammissibile in sede di legittimità
Rilevato
1. Che la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato la convenuta P.S. s.p.a. al pagamento della somma di € 40.406,50 a titolo di conguaglio provvigioni e indennità suppletiva di clientela in favore di M.M. di S.C. e respinto la domanda riconvenzionale della società intesa alla condanna di controparte al risarcimento dei danni da lucro cessante nonché dei danni all’immagine e per perdita di chances;
1.1. che, per quel che ancora rileva, la Corte di merito, sulla base delle emergenze in atti, ha escluso che gli obblighi contrattualmente assunti dall’agente comportassero oltre che la ricerca delle posizioni e della predisposizione della relativa documentazione fotografica e pianimetrica e di quant’altro occorrente per l’espletamento delle pratiche relative alla vendita o al nolo di cartelloni pubblicitari anche la corretta localizzazione degli impianti e, quindi, il previo accertamento della loro autorizzabilità; ha escluso, inoltre, che nella condotta dell’agente fosse ravvisabile un comportamento negligente evidenziando che dalla documentazione prodotta dalla P.S. s.p.a. non era in alcun modo evincibile che l’insuccesso delle pratiche fosse attribuibile all’inesatto adempimento dei compiti dell’agente;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.S. s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata non ha svolto attività difensiva;
Considerato
1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione degli artt. 1746, 1759, comma 1, 1175 e 1176 cod. civ. censurando il rigetto dei motivi intesi a denunziare l’erronea valutazione da parte del giudice di prime cure degli obblighi assunti dall’agente. Richiamati i documenti contrattuali sostiene che l’ordinaria diligenza professionale avrebbe imposto all’agente l’individuazione di posizioni per l’installazione dei cartelloni pubblicitari realmente autorizzabili onde rendere possibile che i contratti andassero a buon fine;
2. che con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere affermato l’assenza di elementi probatori in atti dimostrativi della negligenza nell’esecuzione del contratto e, quindi, di una responsabilità per il negativo esito delle pratiche; in particolare si duole dell’omesso esame della intera documentazione prodotta;
3. che il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non verte sulla interpretazione e sulla portata applicativa delle norme delle quali è denunziata la violazione e falsa applicazione ma sulla corretta ricognizione da parte del giudice di merito degli obblighi gravanti sull’agente alla stregua delle previsioni contrattuali;
3.1. che la sentenza impugnata, richiamati i contratti intervenuti tra le parti, ha escluso che alla stregua degli stessi potessero configurarsi gli obblighi aggiuntivi pretesi dalla società aventi ad oggetto, in sintesi, la verifica di autorizzabilità degli impianti individuati per la installazione dei cartelloni pubblicitari. Per inficiare tale accertamento occorreva, pertanto, la deduzione di violazione delle regole legali di interpretazione del contratto. Parte ricorrente si è sottratta a tale onere posto che, anche a prescindere dall’assenza di formale denunzia di violazione dei criteri legali di interpretazione nella rubrica del motivo, come noto non vincolante ai fini della qualificazione del vizio denunziato (Cass. n. 14026 del 2012, Cass. n. 5848 del 2012, Cass. n. 7981 del 2007), la censura articolata si limita a contrappore a quella condivisa dalla Corte di merito una diversa interpretazione delle clausole contrattuali sotto il profilo dell’ampiezza degli obblighi a carico dell’agente senza chiarire il criterio interpretativo violato o evidenziare le incongruità e illogicità presenti nella ricostruzione operata dal giudice di appello. Tale modalità di articolazione del motivo non è idonea alla valida censura della decisione sul punto in quanto non conforme alle condivisibili indicazioni del giudice di legittimità secondo il quale l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. In questa prospettiva è stato puntualizzato che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044 del 2010, Cass. n. 15604 del 2007, in motivazione, Cass. n. 4178 del 2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’ interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318 del 2013, Cass. n. 23635 del 2010);
4. che parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso in quanto esso non verte sulla errata applicazione della regola di ripartizione dell’onere probatorio ma sul concreto vaglio degli elementi in atti dei quali si sollecita inammissibilmente il riesame. Per incrinare l’accertamento del giudice del merito, il quale ha escluso che dalla documentazione prodotta emergesse una condotta non diligente della Semprini e che l’insuccesso delle pratiche fosse attribuibile all’inesatto adempimento da parte della stessa, occorreva la deduzione di vizio motivazionale in termini coerenti con l’attuale configurazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. e, quindi, la deduzione di omesso esame di un fatto storico decisivo, oggetto di discussione tra le parti, evocato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014). Tali caratteristiche non sono declinabili rispetto ai documenti richiamati nella illustrazione del motivo per la dirimente ragione che gli stessi sono stati considerati dal giudice di merito che ad essi mostra di fare riferimento laddove richiama le istanze di autorizzazione prodotte dalla S. e gli allegati provvedimenti amministrativi (sentenza, pag. 3, terzultimo capoverso);
5. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
6. che non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;
7. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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