Corte di Cassazione sentenza n. 33965 depositata il 19 dicembre 2019
rimborso IVA – cessione di azienda
RILEVATO CHE
Il contribuente ha impugnato un provvedimento di diniego di rimborso di un credito IVA per intervenuta cessazione dell’attività, motivato dal difetto di legittimazione dell’istante, per essere detto credito stato conferito nell’azienda ceduta nel 2007;
che la CTP di Caserta ha rigettato la domanda del contribuente e la CTR della Campania, con sentenza in data 10 dicembre 2014, ha accolto l’appello, accertando che il credito IVA non è stato ricompreso nella cessione di azienda, ciò risultando sia dal contratto di cessione per atto notarile, sia dalla certificazione della situazione patrimoniale dell’azienda ceduta;
che la CTR ha, inoltre, ritenuto che il credito IVA non può essere conferito al cessionario dell’azienda a termini della sola disposizione di diritto comune di cui all’art. 2559 cod. civ., operando per la cessione dei crediti erariali l’art. 69 R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, che prevede, oltre agli specifici requisiti di forma, anche la notificazione all’amministrazione finanziaria, notificazione che non è mai avvenuta;
che propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a un unico motivo, cui resiste con controricorso parte contribuente.
CONSIDERATO CHE
con l’unico motivo l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 35 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art.2558 cod. civ., nella parte in cui la sentenza di appello ha accertato il mancato conferimento del credito IVA; deduce parte ricorrente come la sentenza abbia confuso la cessione del credito con il conferimento di azienda, rilevando come il conferimento dell’azienda a un terzo comporti il subentro generalizzato della società conferitaria negli obblighi e nei diritti IVA maturati in capo al concedente, in quanto l’IVA sarebbe un tributo che afferisce all’attività esercitata dal contribuente e non anche al contribuente in quanto tale; deduce, pertanto, l’irrilevanza della circostanza che il credito IVA non sia stato oggetto di trasferimento alla società conferitaria, trattandosi di pattuizione interna alle parti;
che va rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per non essere stata impugnata la statuizione della sentenza secondo cui non ci sarebbe stata alcuna notificazione all’Agenzia delle Entrate della cessione del credito, posto che parte ricorrente contesta a monte (e in radice) la circostanza che il credito IVA, indipendentemente dalla notificazione della cessione, possa essere scorporato dalla cessione dell’azienda e legittimare il cedente al rimborso, laddove la mancata notificazione al terzo cessionario incide sulla legittimazione ad agire di quest’ultimo;
che, nella sostanza, il ricorrente sostiene che la cessione del credito IVA debba inderogabilmente seguire la sorte degli altri beni di cui è composta l’azienda oggetto di cessione, considerandosi irrilevanti le pattuizioni contrarie relative al diniego di cessione del credito IVA, le quali opererebbero solo sul piano negoziale delle parti contraenti e risulterebbero inefficaci nei confronti dell’Ufficio, così postulandosi l’inderogabilità della cessione del credito IVA unitamente all’azienda ceduta;
che il motivo è infondato, avendo questa Corte già affermato che, in deroga al principio secondo cui la cessione dell’azienda comporti il conferimento nell’azienda ceduta anche dei crediti dell’azienda ceduta, compreso il credito dell’IVA pagata in eccedenza (Cass., 1° agosto 2018, n. 20415; Cass., Sez. V, 9 aprile 2009, n. 8644; Cass., Sez. V, 12 marzo 2008, n. 6578), è consentito alle parti pattuire che vengano esclusi dal perimetro dell’universalità dei beni dell’azienda conferita al cessionario taluni cespiti già di pertinenza dell’azienda, purché i beni già facenti parte dell’azienda ceduta ed esclusi dal conferimento non intacchino la finalità produttiva della stessa (Cass., Sez. V, 5 luglio 2019, n. 18143); che, pur aderendosi alla concezione dell’azienda quale universalità di beni – secondo cui ove nell’atto di trasferimento non venga specificamente pattuita l’esclusione di determinati beni aziendali, devono intendersi trasferiti al cessionario tutti gli elementi costituenti di fatto l’universitas – deve dedursi che possono rimanere esclusi dalla cessione d’azienda, per specifica volontà dei contraenti, anche elementi essenziali dell’azienda stessa (magazzino e crediti), purché non più indispensabili e salva la continuità funzionale del compendio ceduto (Cass., Sez. I, 25 giugno 1991, n. 8678);
che tale principio è conforme all’ulteriore principio secondo cui la cessione dei crediti dell’azienda è un evento naturale, che può essere derogato dalla volontà delle parti (Cass., Sez. U., 1° ottobre 1993, n. 9802), sia che attenga alla successione nei contratti (Cass., Sez. I, 23 gennaio 2012, n. 840), sia che attenga alla cessione dei crediti (Cass., 13 giugno 2006, n. 13676);
che detto principio è fondato sulla derogabilità della naturale cessione all’acquirente dell’azienda di tutti i cespiti di cui è composto il complesso aziendale, stabilito dall’art. 2558 cod. civ. («se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale»), norma espressamente invocata dal ricorrente nel parametro normativo del motivo di censura;
che il principio va riaffermato nel caso di specie, in cui la Corte di merito ha accertato come indicato nelle premesse, senza che su tale statuizione sia stata mossa censura alcuna, che il credito IVA è rimasto fuori dal perimetro della cessione;
che alla esclusione negoziale dal compendio aziendale oggetto di cessione non fa eccezione il credito IVA, già in capo all’imprenditore cedente, posto che dalla disciplina dell’IVA non può trarsi il principio della incedibilità del credito, essendo del tutto eccezionali le norme che limitano la circolazione dei crediti tributari (Cass., Sez. V, 17 giugno 2016, n. 12552) e comunque non applicabili al credito IVA (Cass., Sez. V, 13 dicembre 2013, n. 27883); non può, quindi, negarsi che il credito circoli indipendentemente dall’azienda all’interno della quale si è formato, con la sola eccezione, propria di tutti i crediti fiscali, che la cessione del credito IVA, per essere opponibile all’amministrazione finanziaria, deve esserle notificata a termini dell’art. 69, comma 1, r.d. n. 2440/1923, in deroga al disposto dell’art. 2559 cod. civ.;
che non appaiono in contrasto con il suddetto principio le due contrarie pronunce della Quinta Sezione di questa Corte (Cass., Sez. V, 9 aprile 2009, n. 8644; Cass., Sez. V, 12 marzo 2008, n. 6578, cui ha fatto seguito Cass., Sez. VI, 1° agosto 2018, n. 20415), laddove hanno affermato il difetto di legittimazione attiva dei cedente l’azienda alla richiesta di rimborso del credito IVA, in quanto in entrambi i casi si era accertato che il credito IVA era stato oggetto di cessione unitamente agli altri beni;
che va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «In caso di cessione dell’azienda, il credito IVA relativo all’azienda ceduta può essere escluso dalla cessione del compendio aziendale, essendo la disciplina prevista dagli artt. 2558, 2559 cod. civ. derogabile per volontà delle parti, salva la notifica, ai fini della opponibilità della cessione all’amministrazione finanziaria, della cessione del credito IVA a termini dell’art. 69, comma 1, r.d. n. 1923/2440, in deroga al disposto di cui all’art. 2559 cod. civ. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui il credito IVA sia stato escluso dalla cessione dell’azienda, il cedente è legittimato a richiederne il rimborso, ove ne sussistano i presupposti»;
che la sentenza impugnata si è attenuta al suddetto principio di diritto, per cui il ricorso va rigettato, con spese del giudizio di legittimità regolate dal principio della soccombenza, non ravvisandosi i presupposti per la condanna del ricorrente a termini dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ.;
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna l’AGENZIA DELLE ENTRATE al pagamento delle spese processuali in favore di B.A., che liquida in complessivi € 4.300,00, oltre 15% spese generali, IVA e CPA; rigetta la domanda ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ.
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