Cass. Pen., Sez. Un., ud. 24 novembre 2011 (dep. 18 gennaio 2012), n. 1855
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sulricorso proposto da
XXXXXXXX, nata a XXXXXX il xx/xx/xxxx
avverso la sentenza del 03/11/2010 della Corte di appello di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed ilricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alfredo Maria Lombardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona dellʹAvvocato generale Massimo Fedeli, che ha concluso chiedendo lʹannullamento senza rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore della ricorrente, avv. XXXXXXXXX, che ha concluso per lʹaccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 3 novembre 2010 la Corte di appello di Cagliari, confermando la sentenza del Tribunale di Lanusei in data 29 aprile 2008, ha affermato la colpevolezza di XXXXXXX in ordine alreato di cui agli artt. 81, comma secondo, cod. pen., e 2, comma 1‐bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, a lei ascritto per avere, quale responsabile della ditta ʺYYYYYY S.r.l.ʺ omesso di versare allʹINPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per il periodo dal maggio al novembre 2003. La sentenza ha affermato che il termine di tre mesi concesso dallʹart. 2, comma 1‐bis, ultimo periodo, legge n. 638 del 1983 al datore di lavoro per provvedere al versamento delle ritenute, con conseguente non punibilità delreato, decorreva ‐ difettando la prova che lʹimputata avesse ricevuto la notifica dellʹaccertamento della violazione ‐ dalla data di notifica del decreto di citazione a giudizio.
La Corte territoriale ha, inoltre, ritenuto provato lʹeffettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti relativamente al periodo cui si riferiva la contestazione ed ha rigettato gli ulteriori motivi di gravame con i quali lʹappellante lamentava lʹeccessività della pena inflitta e chiedeva la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso lʹimputata, deducendo: 1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nellʹapplicazione della legge penale; 2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Afferma la ricorrente che ʺil decreto di citazione a giudizio, soprattutto se formulato in modo sintetico, non può integrare un atto ʺsostitutivoʺ rispetto a quello di cui allʹart. 2 del d.l. n. 463/1983, non ponendo il datore di lavoro nelle condizioni di avere reale ed effettiva contezza del tenore dellʹaccertamento INPS, risultante omessoʺ.
Si afferma, inoltre, in punto di accertamento dellʹeffettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, che i giudici di merito lo hanno fondato sulla verifica dellʹesistenza dei modelli D.M. 10, attribuendo a detta documentazione una funzione probatoria che non le è propria.
Viene censurata, infine, la motivazione con la quale la sentenza ha negato allʹimputata la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.
3. La Terza Sezione penale della Corte di cassazione, assegnataria del ricorso, con ordinanza del 7 giugno 2011, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, a norma dellʹart. 618 cod. proc. pen. Nellʹordinanza si rileva lʹesistenza di un contrasto, non composto, nella
giurisprudenza di questa Corte in ordine alla conseguenze derivanti dalla omessa contestazione o notifica dellʹavvenuto accertamento della violazione da parte dellʹINPS ovvero dalla carenza di prove sul punto.
Alcune decisioni hanno affermato che in tale ipotesi il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per provvedere al versamento delle somme dovute decorre dalla notifica del decreto di citazione peril giudizio; qualora detto termine non sia decorso al momento della celebrazione del processo lʹimputato può chiedere al giudice un rinvio al fine di provvedere allʹadempimento (Sez. 3, n. 4723 del 12/12/2007, dep. 2008, Passante; Sez. 3, n. 38501 del 25/09/2007, Falzoni; Sez. 3, n. 41277 del 28/09/2004, De Berardis).
Altro orientamento giurisprudenziale ammette che lʹavviso di accertamento delle violazioni possa essere surrogato dal decreto di citazione a condizione che lo stesso contenga la specifica indicazione delle somme corrispondenti alle contribuzioni omesse, con lʹinvito a pagarle, la messa in mora del datore di lavoro e lʹavvertimento che il mancato pagamento comporta la punibilità del reato (Sez. 3, n. 6982 del 15/12/2005, dep. 2006,Ricciardi).
Tali soluzioni interpretative sono state ritenute, da altra sentenza (Sez. F, n. 44542 del 5/08/2008, Varesi), non basate su sicuri dati normativi, in contrasto con la ratio della disciplina e non conformi a principi costituzionali, con la conseguenza che il decreto di citazione non può essere equiparato allʹavviso di accertamento della violazione. Secondo la citata pronuncia la notifica dellʹavviso di accertamento della violazione ed il decorso del termine di tre mesi costituiscono una condizione di procedibilità dellʹazione penale. Unʹaltra sentenza, infine, ha ritenuto il termine di tre mesi solo il limite temporale ultimo per la trasmissione della notitia criminis da parte dellʹente previdenziale allʹautorità giudiziaria (Sez. 3, n. 27258 del 16/05/ 2007, Venditti).
4. Il Primo Presidente, con decreto del 15 settembre 2011, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite,fissando perla trattazione lʹodierna pubblica udienza.
5. Con memoria depositata lʹ11 novembre 2011 la difesa della ricorrente ha riprodotto la motivazione della citata sentenza n. 44542 del 2008, Varesi, a sostegno della tesi secondo la quale la notifica del decreto di citazione a giudizio non costituisce atto equipollente alla notifica dellʹavviso di accertamento della violazione da parte dellʹente previdenziale, aggiungendo che, nel caso in esame, la
contestazione contenuta nel predetto decreto non riportava indicazioni idonee a consentire al datore di lavoro di versare le ritenute omesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Ilricorso è fondato.
2. La questione sottoposta allʹesame delle Sezioni Unite è la seguente: ʺSe, ed eventualmente a quali condizioni, la notifica del decreto di citazione a giudizio sia da ritenere equivalente, nei procedimenti per il reato di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali allʹI.N.P.S., alla notifica dellʹaccertamento della violazione, non effettuata, e ciò ai fini del decorso del termine di tre mesi per il pagamento di quanto dovuto, che rende non punibile ilfattoʺ.
3. Il reato di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali è previsto dallʹart. 2 d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, come modificato dallʹart. 1 d.lgs. 24 marzo 1994, n.
211, il quale, al comma 1‐bis, dopo avere comminato la sanzione della detenzione e della multa per detta violazione, nel secondo periodo dispone:
ʺIl datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dellʹavvenuto accertamento della violazioneʺ.
Stabilisce, poi, il comma 1‐ter del predetto art. 2: ʺLa denuncia direato è presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di cui al comma 1‐bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto. Alla denuncia è allegata lʹattestazione delle somme eventualmente versateʺ.
Il comma 1‐quater: ʺDurante il termine di cui al comma 1‐bis il corso della prescrizione rimane sospesoʺ.
Il citato decreto legislativo n. 211 del 1994 ha novellato nei termini di cui alle disposizioni riportate la precedente disciplina della materia, che prevedeva, quale causa di estinzione del reato, la facoltà per il datore di lavoro di effettuare il versamento delle ritenute entro sei mesi dalla scadenza del relativo termine ovvero non oltre le formalità di apertura del dibattimento penale, se fissato prima dello scadere del termine di sei mesi (art. 1, comma 3, d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, che aveva sostituito lʹoriginario art. 2, comma 1, d.l. n. 463 del 1983 con i commi 1 e 1‐bis).
4. Come esposto nellʹordinanza di rimessione, il prevalente indirizzo interpretativo di questa Corte afferma che ʺnel caso non risulti certa la contestazione o la notifica dellʹavvenuto accertamento delle violazioni, il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per provvedere al versamento dovuto – rendendo operante la causa di non punibilità prevista dallʹart. 2, comma 1‐bis, legge n. 638 del
1983, come modificato dal d.lgs. n. 211 del 1994 – decorre dalla data di notifica del decreto di citazione per il giudizio, sicché qualora detto termine non sia decorso al momento della celebrazione del dibattimento, lʹimputato può chiedere al giudice un differimento dello stesso al fine di provvedere allʹadempimentoʺ (Sez. 3, n. 41277 del 28/09/ 2004, De Berardis,Rv. 230316)
Comune al citato indirizzo interpretativo è lʹaffermazione che ʺil decorso del termine di tre mesi per provvedere alla regolarizzazione … non rappresenta una condizione di procedibilità dellʹazione penaleʺ, ma indica solo il limite temporale per la trasmissione allʹautorità giudiziaria della notitia criminis da parte dellʹente previdenziale e, pertanto, ʺnon impone di attendere il termine indicato perlʹesercizio dellʹazione penaleʺ (Sez. 3, n. 27258 del 16/05/2007, Venditti; Sez. 3, n. 38501 del 25/09/2007, Falzoni; Sez. 3, n. 4723 del 12/12/2007, dep. 2008, Passante; Sez. 3, n. 36331 del 07/07/2009, Santella; Sez. 3, n. 29616 del 14/06/2011, Vescovi). 5. Secondo lʹopposto indirizzo interpretativo, ʺlʹeffettuazione di una valida contestazione o di una valida notifica dellʹaccertamento della violazione ed il successivo decorso del termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica senza il versamento delle somme dovute si configurano invece come una condizione di procedibilità dellʹazione penaleʺ (Sez. 3, n. 19212 del 04/04/2006, Bianchi). Ne deriva che ʺin mancanza della contestazione o della notifica dellʹaccertamento della violazione ed in mancanza del decorso del termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica, lʹazione penale non può essere iniziata con la conseguenza che nemmeno può essere emesso un valido decreto di citazione a giudizioʺ. In tal caso il giudice ha lʹobbligo di rilevare e dichiarare anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio lʹimprocedibilità dellʹazione penale ai sensi dellʹart 129 cod. proc. pen.
Una successiva sentenza conforme al citato indirizzo interpretativo (Sez. F, n. 44542 del 05/08/2008, Varesi,) ha osservato che lʹopposta tesi dellʹequipollenza della notifica del decreto di citazione a giudizio alla contestazione o notifica dellʹaccertamento delle violazioni da parte dellʹente previdenziale ʺnon sembra avere un sicuro fondamento normativoʺ. Si osserva, in particolare, sul punto che lʹaffermazione, secondo la quale lʹimputato può chiedere al giudice un termine per effettuare il pagamento, non spiega ʺsu quale dato normativo si fondi questo ulteriore onere imposto allʹimputatoʺ; né ʺsu quale norma si fondi un obbligo del giudice di rinviare il dibattimentoʺ. La tesi dellʹequipollenza, secondo la richiamata pronuncia, inoltre ʺpotrebbe produrre lʹeffetto di porre nel nulla lʹobbligo di notificazione legislativamente imposto allʹente accertatore, in tal modo ponendosi anche in contrasto con la ratio e le finalità della disciplinaʺ. Ulteriori argomenti a sostegno della natura di condizione di procedibilità attribuita alla contestazione o notifica dellʹaccertamento da parte dellʹente previdenziale vengono ravvisati nella lettera della norma, che impone allʹente di trasmettere la notitia criminis allʹautorità giudiziaria solo dopo lʹesaurimento del tentativo di definizione del contesto in sede amministrativa e prevede la sospensione del decorso della prescrizione perla durata della fase di definizione amministrativa, diversamente da quanto previsto in altri casi, come, ad esempio, dalla normativa perla definizione delle violazione in materia di sicurezza del lavoro dal d.lgs. n. 758 del 1994; nella diversità di contenuto del decreto di citazione a giudizio rispetto allʹavviso di accertamento delle violazioni, che contiene lʹingiunzione ad adempiere con lʹindicazione delle somme dovute; nella disparità di trattamento tra il datore di lavoro, al quale sia stato regolarmente notificato lʹavviso di accertamento, e il datore di lavoro che sia stato rinviato a giudizio senza avere ricevuto tale avviso.
6. Secondo unʹisolata sentenza (Sez. 3, n. 10469 del 01/02/2005, Petrone, Rv. 230980), infine, il reato in questione è omissivo istantaneo che ʺsi consuma alla scadenza di tre mesi dalla contestazione entro i quali si può provvedere al pagamento del debito contributivo e non al momento dellʹaccertamento della violazioneʺ.
7. Deve essere preliminarmente sgombrato il campo da tale ultima enunciazione in ordine alla struttura del reato, che sembrerebbe dirimente rispetto alle opposte tesi sulla natura della notifica dellʹavviso di accertamento delle violazioni e del decorso del termine previsto perlʹadempimento.
È evidente che lʹattribuzione della natura di elemento costitutivo del reato alla notifica dellʹavviso di accertamento ed al decorso del termine per adempiere contrasta con la stessa lettera della legge, che prevede la sospensione del decorso della prescrizione durante il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per adempiere (art. 2, comma 1‐quater, legge n. 638 del 1983); previsione assolutamente inconciliabile con la affermata insussistenza delreato prima che il medesimo termine sia decorso. Va ricordato sul punto che secondo il consolidato indirizzo interpretativo lʹomesso versamento allʹINPS delle ritenute previdenziali ed assistenziali ʺè reato omissivo istantaneo che si consuma nel momento in cui scade il termine utile peril versamento da parte del datore di lavoro e nel luogo in cui il versamento stesso si sarebbe dovuto effettuare e non fu, invece, effettuato nel termine utile, a nulla rilevando il momento in cui il reato è stato accertatoʺ (Sez. 1, n. 2136 del 14/07/1989, Rosciano, Rv. 182055; Sez. 3, n. 5315 del 07/12/1990, dep. 1991, Fagioli; Sez. 3, n. 2697 del 18/02/1992, Graziano; Sez. 3, n. 8327 del 30/06/1994, Scardaccione; Sez. 3, n. 29275 del 25/06/2003, Braiuca; Sez. 3, n. 20251 del 16/04/2009, Casciaro; Sez. 3, n. 615 del 14/12/2010, dep. 2011, Ciampi). Detto termine, ai sensi dellʹart. 2, comma 1, lett. b), n. 1), d.lgs. n. 422 del 18 novembre 1998, scade il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi. 8. La questione giuridica fondamentale, e pregiudiziale rispetto al quesito posto alle Sezioni Unite, che divide le opposte tesi, delle quali si sono esposte le argomentazioni principali, è costituita dalla natura della contestazione o della notifica dellʹavviso di accertamento delle violazioni da parte dellʹente previdenziale e del successivo decorso del termine per adempiere, ai quali la seconda tesi attribuisce natura di condizione di procedibilità dellʹazione penale, mentre la prima esclude tale natura. Questione che non esaurisce i dubbi interpretativi posti dalla norma per i termini in cui è formulata e che si prospettano soprattutto se si aderisce allʹindirizzo interpretativo prevalente. Per risolvere la questione occorre partire dallʹesame della natura e funzioni delle condizioni di procedibilità, così come regolate dal codice di procedura penale, anche se è incontroverso che le stesse possano essere previste anche da leggi speciali, e dei rapporti delle medesime con lʹordinamento costituzionale. Orbene, è indubbio che le condizioni di procedibilità costituiscono un limite allʹobbligo imposto dallʹart. 112 della Costituzione al pubblico ministero di esercitare lʹazione penale, ovviamente in presenza di una notizia direato. Obbligo di esercitare lʹazione penale che non si configura, pertanto, come normativamente inderogabile, ma la cui limitazione, che rientra nella discrezionalità
del legislatore statale e costituisce eccezione alla opposta e generale regola della azione penale incondizionata (Corte cost., ord. n. 33 del 2003), deve trovare la sua giustificazione nella tutela di prevalenti interessi pubblici, come nelle ipotesi in cui la procedibilità è subordinata alla autorizzazione a procedere (art. 343 cod. proc. pen.),
in relazione ai reati richiamati nellʹart. 313 cod. pen., che offendono la personalità internazionale o interna dello Stato, ovvero subordinata alla istanza o richiesta di procedimento (artt. 341 e 342 cod. proc. pen.), nelle ipotesi di particolare estensione della giurisdizione penale e di altre eccezionali o, infine, nella necessità di evitare alla
persona offesa ulteriori danni (artt. 336 e ss. cod. proc. pen., 120 cod. pen.), che potrebbero derivarle dal procedimento penale, come nellʹipotesi della querela, in relazione a determinate tipologie di reato (violenza sessuale, nei limiti in cui è prevista la perseguibilità a querela, ed altri minori), che coinvolgono esclusivamente
la vittima dellʹillecito penale, e nei quali la condizione di procedibilità è espressione della esigenza di tutelare i diritti della persona, anche essi di rilevanza costituzionale.
Deve ritenersi, pertanto, costituzionalmente illegittima una deroga legislativa allʹimmediato esercizio dellʹazione penale da parte del pubblico ministero, nellʹipotesi in cui il reato si sia già perfezionato in tutti i suoi elementi costitutivi, se non giustificata da prevalenti interessi pubblici rispetto a quello dello Stato alla punizione dellʹautore dellʹillecito (cfr. per unʹapplicazione di tale principio in materia direati tributari: Corte cost., sent. n. 89 del 1982).
Peraltro, le norme che introducono condizioni di procedibilità dellʹazione penale hanno indubbia natura speciale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, sicché non ne è consentita lʹinterpretazione analogica e devono essere espressamente ed esplicitamente dichiarate tali dal legislatore.
Orbene, va in primo luogo rilevato che lʹart. 2, comma 1‐ter, d.l. n. 463 del 1983 non subordina affatto lʹesercizio dellʹazione penale alla contestazione della violazione ovvero alla notifica del relativo accertamento da parte dellʹente previdenziale ed al decorso del termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per adempiere. Al
contrario, lʹart. 2, comma 1‐bis, prevede esclusivamente la non punibilità del reato, pertanto già perfezionatosi, per effetto di una condotta successiva in certa misura ripristinatoria del danno subito dallʹente pubblico, che la norma intende favorire, e, quindi, prevede una tipica causa di non punibilità, non dissimile da altre frequentemente previste dal codice penale, destinate ad operare solo sul piano sostanziale (a titolo di esempio: artt. 308; 387, comma secondo; 463 cod. pen.).
Sicché la qualificazione dei citati elementi come condizione di procedibilità dellʹazione penale è frutto esclusivo di unʹelaborazione interpretativa che trova solo un vago aggancio nel dato normativo (obbligo perlʹente previdenziale di trasmettere senza ritardo la notitia criminis una volta avvenuto il pagamento o decorsi i tre mesi per adempiervi), ma non trova riscontro nella lettera della norma, né giustificazione nella individuazione di un interesse pubblico prevalente rispetto a quello della punizione del colpevole di un reato, che possa giustificare la deroga al principio
dellʹobbligatorietà dellʹesercizio dellʹazione penale stabilito dallʹart. 112 della Costituzione.
Lʹinteresse pubblico prevalente sullʹesigenza di punire il colpevole del reato non può essere certamente ravvisato in quello economico dellʹente previdenziale ad una definizione amministrativa del contesto o in quello più generale ad una deflazione del contenzioso penale. Deve essere, pertanto, escluso che la notifica dellʹaccertamento della violazione ed il decorso del termine di tre mesi costituiscano una condizione di procedibilità del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, ponendosi una tale configurazione in contrasto con la
chiara lettera della norma e dovendosi configurare rilevanti dubbi di costituzionalità della norma medesima nella interpretazione che attribuisce ad essi tale natura.
9. Conclusivamente si deve affermare sul punto che lʹart. 2, comma 1‐bis, secondo periodo, legge n. 638 del 1983, introdotto dallʹart. 1 d.lgs. n. 211 del 1994, ha modificato i termini e le modalità di operatività della causa di non punibilità già prevista dalla normativa previgente, introducendo, prima dellʹinvio della notitia criminis, un meccanismo, costituito dalla contestazione o notifica dellʹaccertamento della violazione, finalizzato ad agevolare la definizione del contenzioso in sede amministrativa, nel termine allʹuopo concesso al datore di lavoro, senza introdurre una condizione di procedibilità del reato. A ben vedere il comma 1‐ter del citato art. 2, secondo il quale ʺla denuncia direato è presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di cui al comma 1‐bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previstoʺ costituisce solo una deroga allʹobbligo di riferire, ʺsenza ritardoʺ ‐ peraltro il termine è ripetuto nello stesso comma 1‐ter ‐ la notizia di reato al pubblico ministero, imposto alla polizia giudiziaria dallʹart. 347 cod. proc. pen. e, in generale, al pubblico ufficiale dallʹart. 331, comma 2, cod. proc. pen., posponendone lʹadempimento. Sicché non vi è ragione di dubitare che il pubblico ministero eserciti ritualmente lʹazione penale per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali anche se non si sia perfezionato il procedimento per la definizione del contesto in sede amministrativa, così come esercita lʹazione penale per i fatti costituenti reato di cui sia venuto a conoscenza aliunde rispetto ai meccanismi di
informazione previsti dai citati art. 347 e 331 cod. proc. pen.
10. Sgomberato il campo dallʹesaminato profilo della questione di diritto, che si prospettava pregiudiziale, resta intatta la problematica posta dal sistema normativo, per come formulato, in relazione a disfunzioni patologiche del procedimento per la definizione del contenzioso in sede amministrativa, peraltro particolarmente frequenti.
Sul punto occorre rilevare che, secondo lʹindirizzo interpretativo di questa Corte, non contrastato da pronunce di segno opposto, la notifica dellʹaccertamento della violazione non è soggetta a particolari formalità, non applicandosi a detta notifica il regime delle notificazioni previsto per i soli illeciti di natura amministrativa dalla legge n. 689 del 24 novembre 1981, né quello delle notificazioni previsto dal codice di procedura penale, e può essere, pertanto, anche effettuata a mezzo del servizio postale mediante raccomandata inviata sia presso il domicilio del datore di lavoro che presso la sede dellʹazienda (Sez. 3, n. 9518 del 22/02/2005, Jochner; Sez. 3, n. 20753 del 13/01/2006, Agostani; Sez. 3, n. 26054 del 14/02/2007, Vincis).
Deriva da tale sistema di notificazione che le contestazioni più frequenti, aventi ad oggetto la omessa notifica dellʹaccertamento della violazione, riguardano proprio la regolarità della notificazione stessa e la conseguente mancata ricezione dellʹavviso di accertamento da parte del destinatario.
Si verificano, pertanto, con una certa frequenza, anomalie nel rapporto tra instaurazione del procedimento penale e tentativo di definizione amministrativa del contenzioso tra il datore di lavoro e lʹente previdenziale rispetto allo schema normativo, nel senso che lʹazione penale viene esercitata, benché lʹimputato non sia stato messo in condizione di usufruire della causa di non punibilità prevista dalla legge.
In altre materie, in cui è previsto un procedimento amministrativo finalizzato a consentire la regolarizzazione della violazione in quella sede con effetto estintivo del reato, è espressamente stabilita la sospensione del procedimento penale (art. 23, comma 1, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758) fino alla verifica dellʹadempimento o inadempimento in sede amministrativa (art. 21, commi 2 e 3, dello stesso decreto legislativo).
In altre ancora, in cui è pure prevista la possibilità di definizione del contesto in sede amministrativa con effetto estintivo del reato, la necessità di sospendere il procedimento penale (Sez. 3, n. 5254 del 05/03/1979, Zadro; Sez. 3, n. 12823 del 20/10/1980, Garetti; Sez. 3, n. 3853 del 18/01/1980, De Luca; Sez. 3, n. 2281 del 19/12/1981, dep. 1982, Mastrogiacomo) è stata desunta dallʹobbligo imposto allʹautorità giudiziaria di inviare alla competente intendenza di finanza gli atti per lʹeventuale conciliazione amministrativa (art. 11, terzo comma, legge 3 gennaio 1951, n. 27, contenente modificazioni alla legge 17 luglio 1942, n. 907 sul monopolio dei Sali e dei Tabacchi).
Lʹart. 2, comma 1‐ter, d.l. n. 463 del 1983, nelregolare irapporti tra lʹesercizio della facoltà, attribuita al datore di lavoro, di fruire della causa di non punibilità prevista dal comma 1‐bis, ultima parte, ed il procedimento penale, ovvero al fine di impedire lʹesercizio dellʹazione penale in presenza di una causa di non punibilità, ha esclusivamente previsto, autorizzandola, la posticipazione dellʹinvio della denuncia di reato al pubblico ministero al versamento delle ritenute non corrisposte da parte del datore di lavoro o alla scadenza del termine per provvedervi. Nulla è, invece, previsto dalla norma con riferimento allʹipotesi in cui lʹesercizio dellʹazione penale sia avvenuto prima che lʹimputato sia stato messo in condizioni di fruire della causa di non punibilità o per lʹomessa contestazione e notificazione dellʹaccertamento delle violazioni o perirregolarità della notificazione dellʹaccertamento. Questa carenza del quadro normativo nellʹipotesi di patologie nel funzionamento del sistema previsto dalla legge riguardo al rapporto tra il possibile verificarsi della causa di non punibilità e la trasmissione della notizia di reato è allʹorigine del contrasto interpretativo rilevato tra le varie pronunce di questa Corte che può essere risolto solo mediante lʹapplicazione di principi di carattere generale.
Deve essere, quindi, affermato che la possibilità concessa al datore di lavoro di evitare lʹapplicazione della sanzione penale mediante il versamento delle ritenute entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dellʹaccertamento delle violazioni è connessa allʹadempimento dellʹobbligo, secondo la formulazione dellʹart.
2, comma 1‐bis, da parte dellʹente previdenziale direndere noto, nelle forme previste dalla norma, al datore di lavoro lʹaccertamento delle violazioni, nonché le modalità e termini per eliminare il contenzioso in sede penale, a differenza di quanto previsto dal quadro normativo previgente alla riforma di cui al d.lgs. 24 marzo 1994, n. 211,
che attribuiva al datore di lavoro la mera facoltà di provvedere a detto versamento entro sei mesi dalla scadenza del termine per lʹadempimento senza collegarlo ad un obbligo di contestazione o comunicazione da parte dellʹente previdenziale.
Lʹesercizio della facoltà di fruire della causa di non punibilità, pertanto, può essere precluso solo dalla scadenza del termine di tre mesi previsto dallʹart. 2, comma 1‐bis, ultimo periodo, a decorrere dalla contestazione o dalla notifica dellʹavvenuto accertamento delle violazioni ovvero da un atto ad esso equipollente che ne contenga tutte le informazioni sì che lʹaccesso alla causa di non punibilità risulti concretamente assicurato.
Incombe, perciò, in primo luogo sullʹente previdenziale lʹobbligo di assicurare la regolarità della contestazione o della notifica dellʹaccertamento delle violazioni e attendere il decorso del termine di tre mesi, in caso di inadempimento, prima di trasmettere la notizia direato al pubblico ministero.
Sarà, poi, compito dello stesso pubblico ministero verificare che lʹindagato sia stato posto concretamente in condizione di esercitare la facoltà di fruire della causa di non punibilità, notiziando, nel caso di esito negativo di detta verifica, lʹente previdenziale perché adempia allʹobbligo di contestazione o di notifica dellʹaccertamento delle
violazioni imposto dallʹart. 2, comma 1‐bis, d.l. n. 463 del 1983.
Analogamente, il giudice di entrambi i gradi di merito dovrà provvedere alla verifica che lʹimputato sia stato posto in condizione di fruire della causa di non punibilità, accogliendo, in caso di esito negativo, lʹeventuale richiesta di rinvio formulata dallʹimputato, finalizzata a consentigli di provvedere al versamento delle ritenute, tenuto conto che la legge già prevede la sospensione del decorso della prescrizione per il periodo di tre mesi concesso al datore di lavoro per il versamento, sicché tale sospensione giustifica il rinvio del dibattimento anche in assenza di una
espressa previsione normativa. Per dare concretezza ed effettività allʹesercizio della facoltà da parte dellʹimputato di effettuare il versamento delle ritenute allʹente previdenziale si deve rilevare che lʹavviso dellʹaccertamento inviato dallʹente al datore di lavoro contiene lʹindicazione del periodo cui si riferisce lʹomesso versamento delle ritenute ed il relativo importo, la indicazione della sede dellʹente presso il quale deve essere effettuato il versamento entro il termine di tre mesi allʹuopo concesso dalla legge e lʹavviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità.
Per avere la certezza, quindi, che lʹimputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità il giudice di merito, così come prima di lui il pubblico ministero, dovranno verificare, nel caso di omessa notifica dellʹaccertamento, se lʹimputato sia stato raggiunto in sede giudiziaria da un atto di contenuto equipollente allʹavviso dellʹente previdenziale che gli abbia consentito, sul piano sostanziale, di esercitare la facoltà concessagli dalla legge.
11. Al quesito posto alle Sezioni Unite, avente ad oggetto la possibile equivalenza del decreto di citazione a giudizio alla notifica dellʹavviso di accertamento delle violazioni, pertanto, deve essere data risposta nel senso che ʺil decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dellʹavviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato allʹimputato, contiene gli elementi essenziali del predetto avvisoʺ.
Consegue da quanto rilevato che deve essere ritenuto tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, il versamento delle ritenute previdenziali effettuato dallʹimputato nel corso del giudizio, allorché risulti che lo stesso non ha ricevuto dallʹente previdenziale la contestazione o la notifica dellʹaccertamento delle
violazioni o non sia stato raggiunto nel corso del procedimento penale da un atto che contenga gli elementi essenziali dellʹavviso di accertamento, come precisati. Se, poi, il procedimento sia pervenuto in sede di legittimità, senza che lʹimputato sia stato posto in grado di fruire della causa di non punibilità, deve essere disposto lʹannullamento con rinvio della sentenza per consentirgli di fruire della facoltà concessa dalla legge.
12. Nel caso in esame è stato accertato dai giudici di merito che non vi è stata la contestazione delle violazioni da parte dellʹINPS per irritualità della notifica dellʹavviso di accertamento. Il decreto di citazione a giudizio emesso nei confronti di Susanna Sodde inoltre contiene la indicazione solo parziale degli elementi propri dellʹavviso di accertamento e, cioè, quelliriferentisi al periodo di omesso versamento delle somme trattenute sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti, che, però, non risultano quantificate, mentre non era stato dato avviso allʹimputata della possibilità difruire della causa di non punibilità prevista dalla legge.
Consegue da quanto rilevato che nei confronti dellʹimputata non è mai decorso il termine di decadenza previsto dallʹart. 2, comma 1‐bis, d.l. n. 463 del 1983 e, pertanto, il versamento delle ritenute effettuato dalla Sodde in data 24 settembre 2008, di cui era stata prodotta prova allʹudienza del 3 novembre 2010 dinanzi alla Corte territoriale, doveva essere ritenuto tempestivo dai giudici di merito, che avrebbero dovuto rilevare e dichiarare lʹesistenza della causa di non punibilità alla data del versamento, che ha preceduto lʹintervento di qualsiasi successiva causa di non punibilità.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio per essere lʹimputata non punibile ai sensi dellʹart. 2, comma 1‐bis, d.l. n. 463 del 1983. Lʹaccoglimento del primo motivo diricorso rende superfluo lʹesame degli ulteriori motivi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata essendo lʹimputata non punibile ai sensi dellʹart. 2, comma 1‐bis, del d.l. n. 463 del 1983.
Così deciso il 24 novembre 2011
Depositata in cancelleria il 18/01/2012
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