CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5166
Tributi – Accertamento – Rimborso di parte delle somme versate a titolo di definizione agevolata delle sanzioni a seguito del perfezionamento dell’accertamento con adesione – Esclusione
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 236/39/13, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 4.07.2013, con la quale, in riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, era accolto l’appello della società D., avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto alla richiesta di rimborso della somma di € 12.217,50.
Riferisce che, a seguito della notifica di avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2005, la società contribuente aveva tempestivamente provveduto, a titolo di definizione agevolata ex art. 17 co. 2, d.lgs. n. 472/1997, al pagamento delle sanzioni nella misura di 1/4 di quanto irrogato. Provvedeva anche alla presentazione della richiesta di accertamento con adesione per la definizione delle pretese fiscali, che parimenti si concludeva con riduzione delle imposte. A questo punto richiedeva il rimborso del maggior importo versato a titolo di sanzioni rispetto al calcolo eseguito sulle imposte definite con l’accertamento per adesione. Seguiva il silenzio della Amministrazione e l’instaurazione della controversia sul silenzio-rifiuto. Il giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli si concludeva con il rigetto del ricorso. La decisione era però impugnata dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, che con la sentenza ora al vaglio della Corte accoglieva l’appello.
L’Agenzia si duole della sentenza con tre motivi:
con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 17 d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per aver erroneamente riconosciuto il diritto al rimborso di parte delle somme versate a titolo di definizione agevolata delle sanzioni, a seguito del perfezionamento dell’accertamento con adesione;
con il secondo per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per carente esposizione dei motivi di fatto e di diritto della sentenza;
con il terzo per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per non aver argomentato sul riconosciuto diritto al rimborso.
Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, con ogni conseguente statuizione.
L’intimata, cui risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi.
Considerato che
Il primo motivo del ricorso, con cui l’Agenzia sostiene I’error iuris in cui è incorso il giudice d’appello nel riconoscere il diritto al rimborso di parte delle somme versate a titolo di definizione agevolata delle sanzioni a seguito del perfezionamento dell’accertamento con adesione, è fondato e trova accoglimento.
Questa Corte ha affermato che l’atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni è autonomo rispetto al procedimento di accertamento del tributo, cui le sanzioni ineriscono. Pertanto, qualora il contribuente abbia optato, ai sensi dell’art. 17 co. 2, d. lgs. n. 472/1997, per la definizione agevolata di queste ultime, deve escludersi la ripetizione delle somme pagate bonariamente a prescindere dall’esito del processo avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo alle imposte, anche qualora favorevole al contribuente, dovendosi ritenere definitivamente chiuso a quel momento il rapporto tra contribuente e fisco in ordine alle altre conseguenze sanzionatorie delle violazioni già rilevate (Cass., ord. n. 25747/2013; n. 18740/2015). In continuità con il suddetto principio, e proprio in una fattispecie in cui il giudice d’appello aveva riconosciuto il diritto del contribuente alla restituzione delle somme già versate a titolo di definizione agevolata delle sanzioni, si è anche affermato che il versamento della somma notevolmente inferiore a quella concretamente irrogabile, effettuato ex art. 17, co. 2 cit., definisce irrevocabilmente ogni questione inerente l’aspetto sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione, precludendo all’amministrazione finanziaria di irrogare maggiori sanzioni ed al contribuente di ripetere quanto già pagato (cfr. Cass., sent. n. 25577/2017). A questi principi il Collegio intende dare continuità.
La Commissione regionale campana invece non ha tenuto conto dei principi affermati nella giurisprudenza di legittimità, senza peraltro offrire una motivazione adeguata a spiegare le diverse conclusioni cui è pervenuta.
L’accoglimento del primo motivo assorbe gli altri.
Considerato che:
La sentenza va pertanto cassata e, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio può essere deciso anche nel merito ex art. 384 co. 2 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.
All’esito del giudizio segue la regolamentazione delle spese, che possono compensarsi per i gradi di merito, mentre la società va condannata, nella misura liquidata in dispositivo, per le spese relative al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente. Compensa le spese processuali dei gradi di merito e condanna la D. s.r.l. alla rifusione in favore della ricorrente delle spese del processo di legittimità, che liquida in € 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.
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