CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 7462 depositata il 25 febbraio 2020
Falsa corrisponsione alla lavoratrice dell’indennità di maternità – Conguaglio degli importi fittiziamente indicati con quelli da lui dovuti all’Inps – Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316 ter c.p. – Importo inferiore alla soglia di punibilità di euro 3.999,96 – Pluralità di condotte avvinte dalla continuazione
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, a seguito di gravame interposto dall’imputato D.A.L. avverso la sentenza emessa in data 30.11.2016 dal locale Tribunale, ha confermato la decisione con la quale l’imputato è stato riconosciuto responsabile del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. e condannato a pena di giustizia perché quale legale rappresentante della società W. Srl, esponendo falsamente di aver corrisposto alla lavoratrice S.V. l’indennità di maternità ed ottenendo dall’INPS il conguaglio degli importi fittiziamente indicati con quelli da lui dovuti al medesimo istituto, conseguiva indebitamente contributi pubblici pari ad euro 19.352,00.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce unico motivo di violazione dell’art. 316 ter cod. pen. in relazione alla affermazione di responsabilità che doveva essere esclusa in quanto i nove modelli DM10 mensilmente presentati erano ciascuno di importo inferiore alla soglia di punibilità di euro 3.999,96 prevista dall’art. 316 ter cod. pen., versandosi in una pluralità di condotte avvinte dalla continuazione. La Corte, assumendo l’esistenza di un unico comportamento fraudolento dal quale sarebbero conseguite in automatico le nove indebite compensazioni, ha omesso di individuarlo in concreto come pure ha apoditticamente affermato che l’orientamento espresso dalla nota ministeriale dell’11.10.2016 in ordine alla corretta applicazione dell’art. 316 ter cod. pen. – che fa leva sulle singole condotte mensili – è stato superato da successiva giurisprudenza che omette di indicare.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
2. Ritiene, invero, la Corte che il Giudice di merito, abbandonando le diverse ragioni al riguardo esposte dalla prima decisione (v. pg. 10 della prima sentenza), ha affermato – ai fini del superamento della soglia di euro 3999,96 fissata per la rilevanza penale della condotta – l’unicità della condotta, facendo erroneamente leva sull’unicità della determinazione volitiva e richiamando altresì un precedente di legittimità non pertinente.
3. E’ stato affermato che integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter cod. pen., e non quelli di truffa o di appropriazione indebita o di indebita compensazione ex art. 10-quater D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, cosi percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni (Sez. 2, n. 15989 del 16/03/2016, Fiesta, Rv. 266520). Con detta decisione è stato chiarito che <<Il reato si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’I.N.P.S. (sulla base dei dati indicati sui modelli DM10) i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo cosi – tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto – a percepire indebitamente l’erogazione dell’ente pubblico Tuttavia non sfugge che trattandosi di contestazione per reato continuato ex art. 81 cpv. cod. pen. legato al fatto che, quantomeno all’epoca delle condotte in contestazione, i c.d. “Mod. DM10” erano caratterizzati da prospetti mensili con i quali il datore di lavoro ebbe a denunciare all’I.N.P.S. le retribuzioni ai dipendenti, ai fini della corretta valutazione dell’eventuale superamento della soglia indicata dal comma 2 dell’art. 316 ter cod. pen. oltre la quale la condotta diventa penalmente rilevante non si potrà che tenere conto anche di tale profilo>>.
4. Osserva la Corte che la compensazione dei contributi dovuti all’INPS avviene sulla base di dichiarazioni mensili (sulle modalità, v. S.U. Sez. U, n. 10424 del 18/01/2018, Del Fabro, Rv. 272163). Con il modello DM 10 il datore di lavoro prospetta mensilmente all’Inps le retribuzioni pagate, i contributi dovuti e il conguaglio con prestazioni anticipate al lavoratore. Pertanto, facendo figurare una falsa anticipazione, il datore di lavoro omette di versare i contributi, prelevati al lavoratore in busta paga (versamento che va effettuato con F24 nel il termine del giorno 16 del mese successivo a quello dei contributi). Secondo le istruzioni INPS (circolare n. 15 del 2006), << la compensazione degli importi a credito può essere effettuata con il modello F24, anche utilizzando più modelli, comunque entro 12 mesi dalla scadenza del termine di presentazione del DM 10/2″. Decorso il termine di dodici mesi, comunque nel caso in cui il datore di lavoro per motivi diversi non può portare a compensazione il credito (es. incapienza nel limite compensabile con modello F24 ecc.), dovrà essere presentata all’INPS la domanda di rimborso, o di compensazione ordinaria con altri contributi a debito del datore di lavoro». Quindi può sostenersi che le false attestazioni nei modelli potrebbero far conseguire al datore di lavoro un indebito credito compensabile nell’anno solare.
5. La sentenza deve, pertanto, essere annullata con rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Milano affinché – per l’accertamento del superamento della soglia di punibilità prevista dall’art. 316-ter cod. pen. – si verifichino le concrete modalità attraverso le quali l’imputato abbia recuperato le somme falsamente dichiarate anticipate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
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