Corte di Cassazione ordinanza n. 5496 depositata il 28 febbraio 2020
IRAP – studio associato – avvocato
Rilevato che:
1. G.U. ricorre, con quattro motivi, illustrati con una memoria ex art. 380-bis 1. cod. proc. civ., nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, indicata in epigrafe, che – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza del contribuente di rimborso dell’IRAP, versata per le annualità dal 2005 al 2008, per l’esercizio dell’attività di avvocato, libero professionista – ha respinto l’appello del contribuente, confermando la sentenza di primo grado;
2. a sostegno della decisione, la CTR ha affermato che: «Nella fattispecie la CTP ha giustamente ritenuto che il sig. G.U. esercita la propria attività in un contesto che non può dirsi privo di qualsiasi apporto produttivo. Il fatto che il professionista sia o meno associato è ininfluente rilevando piuttosto la circostanza che in tale ipotesi è legittimo presumere che il ricorrente si avvantaggi dei relativi benefici organizzativi, aggiungendo alla propria capacità professionale quel quid pluris che fa scattare il presupposto impositivo dell’IRAP.» (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata);
Considerato che:
1. con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2, del d.lgs. n. 446/1997, il ricorrente assume di avere dimostrato, nei gradi di merito, che negli anni in esame non era associato allo “Studio legale M.M.”, con il quale ha solo condiviso i locali destinati all’esercizio dell’attività professionale; facendo leva su tale elemento di fatto, censura la CTR che, pur avendo riconosciuto che, negli anni di riferimento, egli non era associato, ha poi erroneamente concluso che fosse sufficiente la presenza del legale fiorentino in una struttura associativa al fine di ritenerlo, automaticamente, dotato di un’autonoma organizzazione;
2. con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36, 61, del d.lgs. n. 546/1992, 118 disp. att. cod. proc. civ., il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata, per motivazione apparente, in quanto in essa non è r.g. 18785/2016 Cons. cst. Riccardo Guida stato indicato il percorso logico-argomentativo seguito dalla CTR per ritenere che il contribuente disponesse di un’autonoma organizzazione;
3. con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, cod. civ., 7, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere presunto la sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, ancorandolo ad un fatto – lo svolgimento dell’attività professionale in forma associata – che non era dimostrato e, ancora, senza tenere conto della documentazione prodotta dal contribuente a sostegno della propria tesi difensiva, ferma la considerazione conclusiva che (secondo la prospettazione del ricorrente) la prova per presunzioni non sarebbe ammissibile nel processo tributario;
4. con il quarto motivo, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si censura la sentenza impugnata, per un verso, per non avere vagliato la serie fattuale offerta dal contribuente e, per altro verso, per essere fondata sulla presunzione che il professionista svolgesse la propria attività in forma associata, per il solo fatto che il legale (che, in realtà, non era associato) aveva la disponibilità di una stanza all’interno di uno studio legale associato;
5. il secondo motivo, da esaminare prioritariamente per la natura del vizio dedotto (motivazione apparente), è fondato;
va richiamato l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 7/04/2014, nn. 8053 e 8054), per il quale: «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.»;
onde, a seguito della riforma del 2012 – proseguono le sezioni unite – scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata;
le sezioni unite, inoltre, hanno statuito che: «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione).» (Cass. sez. un. 3/11/2016, n. 22232);
nella controversia tributaria in esame, con riferimento al tema del decidere – riconducibile alla ricorrenza o meno del presupposto dell'”autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2, del d.lgs. n. 446/1997 – , la CTR ha completamente omesso d’illustrare le ragioni del proprio convincimento;
in particolare, la Commissione non ha spiegato sulla base di quali elementi fattuali ha ritenuto “associato” l’avvocato fiorentino, il quale, dal canto suo, nei gradi di merito, aveva prospettato la tesi opposta (che la CTR ha omesso di esaminare), sostenendo che (negli anni in discussione) non era “associato”, ma aveva avuto a disposizione una stanza in uno studio associato;
questo elemento di fatto era decisivo e rappresentava il perno dell’intero ragionamento presuntivo, ossia il “fatto noto” da cui poteva essere evinto il “fatto ignorato” dell’esistenza di un’autonoma organizzazione;
al riguardo, questa Corte ha affermato che: «In tema di assolvimento dell’onere probatorio sul requisito dell’autonoma organizzazione, è stato detto che il professionista, qualora sia inserito in un’associazione professionale, sebbene eserciti anche una distinta e separata attività, diversa da quella svolta in forma associata, al fine di sottrarsi all’applicazione del tributo è tenuto a dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati dall’adesione alla detta associazione.» (Cass.24/11/2016, n. 24088; conf.: 16/05/2019, n. 13158);
segue la stessa direttrice il recente arresto di legittimità, secondo cui: «In tema di IRAP, il professionista (nella specie, commercialista) il quale sia inserito in uno studio associato, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da quella espletata in forma associata, ha l’onere di dimostrare, al fine di sottrarsi all’applicazione dell’imposta, la mancanza di autonoma organizzazione, ossia di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire agli aderenti vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta quali, ad esempio, le sostituzioni in attività – materiali e professionali – da parte di colleghi di studio, l’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni, la possibilità di conferenze e colloqui professionali o altre attività allargate, l’utilizzazione di servizi collettivi e quant’altro caratterizzi l’attività svolta in associazione professionale.» (Cass.15/01/2019, n. 766);
nella specie, la CTR è incorsa nell’error in procedendo di una “motivazione apparente”, laddove, usando vaghe espressioni assertive, è giunta alla perentoria determinazione che il contribuente svolgesse l’attività di avvocato in forma associata, per inferirne l’esistenza del presupposto impositivo dell’IRAP, per di più, senza minimamente soffermarsi sulle circostanze di fatto offerte dall’appellante a dimostrazione della tesi contraria;
6. i rimanenti tre motivi sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo motivo;
7. ne consegue che, accolto il secondo motivo del ricorso ed assorbiti gli altri, la sentenza è cassata, con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
PQM
la Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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