CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 4151 del 2 marzo 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – STUDI DI SETTORE – SCOSTAMENTI TRA RICAVI DICHIARATI E QUELLI PUNTUALI – PROVA CONTRARIA – DIMOSTRAZIONE PUNTUALE DI ERRORE NEL CLUSTER APPLICATO O DELL’ESISTENZA DI FATTI CHE GIUSTIFICANO LO SCOSTAMENTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 27.9.2006 l’ufficio di Pavia dell’Agenzia delle Entrate faceva notificare alla N.L. s.r.l. società produttrice di parti interscambiali per macchine utensili, un avviso di accertamento con cui in applicazione degli studi di settore riferiti al gruppo omogeneo di appartenenza in cui era stata inserita la contribuente e, segnatamente, dello studio di settore TD32U cluster 37, procedeva in ragione degli scostamenti reddituali riscontrati tra i ricavi dichiarati e quelli puntuali, a rettificare ai sensi degli artt. 62-sexies D.L. n. 331/93 e 39, comma primo, lett. d), D.P.R. n. 600/73 le dichiarazioni IVA, IRPEG ed IRAP della parte per l’anno 2004, determinando il maggior carico fiscale e liquidando imposte, interessi e sanzioni.
Avverso la sentenza di primo grado – che aveva accolto il ricorso della contribuente condividendo la tesi di questa che l’attendibilità degli studi di settore dovesse essere valutata in relazione alla specificità del caso concreto e che il cluster 37 non era nel caso di specie rappresentativo della realtà aziendale – interponeva appello l’Agenzia delle Entrate avanti alla CTR Lombardia che, in accoglimento del gravame, riformava l’impugnata sentenza. Ritenevano invero i giudici di secondo grado, dopo aver illustrato le modalità operative dell’accertamento basato sugli studi di settore, che “nella controversia in esame l’ufficio ha seguito correttamente l’anzidetta procedura”, mentre “la società ricorrente non ha fornito gli elementi che a suo parere potessero giustificare la mancata congruità degli studi di settore, limitandosi ad affermare di non riconoscersi nelle caratteristiche del cluster 37” ed a segnalare generiche difficoltà di mercato dovute all’introduzione dell’euro e alla concorrenza dei paesi emergenti. Del resto, osservavano più in generale, sebbene l’introduzione degli studi di settore sia fonte di una presunzione in favore dell’amministrazione, nondimeno si tratta di “presunzioni relative che ammettono la prova contraria”, sicché il contribuente che voglia contestarne l’applicazione “ha l’onere di attivarsi e dimostrare nella fattispecie in esame l’inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le presunzioni”, onere che essendo rimasto nella specie inadempiuto, non avendo la parte fornito alcuna prova a conforto del proprio assunto, rende l’accertamento legittimo e conseguentemente fondato l’appello dell’ufficio.
Per la cassazione di detta sentenza la N.L. s.r.l. promuove ricorso sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso l’erario.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente si duole per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. dell’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la CTR nell’applicazione dell’art. 39, comma primo, lett. d), D.P.R. n. 600/73, avendo essa basato la propria decisione “sull’assunto che l’applicazione degli studi di settore sia di per sé idonea, in caso di non congruità dei risultati, ad integrare il requisito previsto dall’art. 39, co. 1, lett. d), D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600”, sebbene secondo la più condivisibile giurisprudenza si ritenga che la mera applicazione degli studi di settore non sia sufficiente allo scopo, essendo onere dell’amministrazione integrarne il risultato mediante l’indicazione “di elementi contabili ed extracontabili collegati alla reale situazione aziendale” provvisti del necessario grado di gravità ed idoneità.
2.2. Il motivo non ha fondamento.
Come invero chiarito dalle SS.UU. (n. 26635/09) “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma la affianca, essendo indipendentemente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”. L’efficacia probatoria che si ritrae dalla determinazione induttiva dei ricavi operati in applicazione degli studi di settore non ricade dunque nell’ambito previsionale delineato dall’art. 39, comma primo, lett. d), D.P.R. n. 600/73 e non postula che il risultato reddittuale così conseguito sia integrato dall’acquisizione di conformi elementi di riscontro e che perciò l’amministrazione sia tenuta ad un’ulteriore attività di allegazione oltre a quella consistita nell’applicare al contribuente lo studio di settore corrispondente alla categoria di inclusione. Hanno del resto chiarito nella stessa occasione le SS.UU. che l’idoneità dello strumento parametrico ai fini di legittimare l’accertamento di ricavi maggiori rispetto a quelli dichiarati non discende ex se dalla mera applicazione alla fattispecie oggetto di verifica dello studio di settore ad essa relativo – costituendo invero gli studi di settore semplici estrapolazioni statistiche di indici di una normale redditività – “ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”, il quale ha in quella sede facoltà di provare, “la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame”, fermo restando che, se si astiene dal prendere parte al contraddittorio, “egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito”.
Nessun errore di diritto è perciò imputabile alla sentenza in disamina per aver ritenuto che l’operato dell’ufficio non fosse nella specie censurabile laddove questo ha ritenuto, in esito al contraddittorio attivato con la parte, di disattenderne motivatamente le ragioni e di confermare la scostamento reddituale verificato in base al cluster 37, posto invero, come la sentenza si dà cura di rimarcare, che nell’occasione “la società ricorrente non aveva fornito gli elementi che a suo parere potessero giustificare la mancata congruità con gli studi di settore, limitandosi ad affermare di non riconoscersi nelle caratteristiche del cluster 37, nel quale il codice di attività l’aveva compreso e a segnalare generiche difficoltà incontrate sul mercato estero a causa dell’introduzione dell’euro e della concorrenza dei paesi emergenti”.
3.1. Violazione e falsa applicazione di legge a mente dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. si lamentano con il secondo e terzo motivo di ricorso, risultando nella specie violati gli artt. 53 Cost., 62-bis e 62-sexies, D.L. n. 331/93, 39, comma primo, lett. d), D.P.R. n. 600/73 e il D.M. 17 MARZO 2005, in quanto la CTR avrebbe statuito la congruità dell’accertamento operato nella specie malgrado “l’azienda accertata presenti delle caratteristiche, tutte puntualmente dedotte, che la differenziano microscopicamente dal gruppo di appartenenza di cui al cluster 37” (secondo motivo) e gli elementi in senso contrario dedotti da essa ricorrente, che “aveva specificatamente indicato le ragioni basate su pacifici dati aziendali per le quali non era rappresentata da tale categoria con conseguente erroneità del dato reddituale accertato” ed aveva dedotto a maggior conferma la “contrazione” dei consumi di energia elettrica determinatasi nel periodo (terzo motivo).
3.2. Entrambi i motivi sono inammissibili postulando, sia pure attraverso la deduzione di un errore di diritto, la rivisitazione di un giudizio di fatto. Allorché invero la deducente lamenta che lo studio di settore non identifichi la realtà aziendale alla luce dei dati di fatto da essa allegati in senso contrario, solo impropriamente lamenta una violazione di legge, argomentando che la CTR sarebbe incorsa in un error in iudicando per aver preso in esame una situazione di fatto diversa da quella disciplinata dalle norme richiamate. Egli in buona sostanza si duole non già di un errore nell’applicazione delle norme – nel senso che è proprio al motivo di ricorso azionato ovvero ritenendo che la CTR abbia applicato una norma giusta ad una fattispecie sbagliata ovvero che abbia applicato la norma sbagliata alla fattispecie giusta – ma rappresenta, allegando gli indici fattuali di una difformità aziendale significativa rispetto allo standard considerato dal cluster 37, una situazione di fatto diversa rispetto a quella esaminata dall’ufficio e delibata dalla CTR, con ciò chiedendo che la Corte eserciti il proprio controllo non già sulla legalità della decisione, ma sulla logicità del ragionamento che la sorregge. Dunque prospettando in guisa di un insussistente errore di diritto, poiché i giudici di appello hanno rettamente applicato le norme giuste alla fattispecie giusta, quello che è più esattamente un vizio di motivazione.
4.1. E con il quarto motivo di ricorso svolto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., è appunto di un vizio di motivazione – qui dedotto sotto il profilo nella specie dell’insufficienza di quella adottata dal giudice di seconde cure per accogliere il gravame dell’ufficio, che si duole l’impugnante – assumendo che, sebbene si fosse eccepito da parte sua l’esistenza di macroscopiche differenze tra la propria realtà aziendale e quella oggetto di inquadramento nel cluster 37, in particolare in ordine all’organico del personale, alla superficie utilizzata, al tipo di produzione e di prodotto, alla dotazione di beni strumentali ed avesse altresì allegato la contrazione dei consumi di energia elettrica e la crisi attraversata dal settore, la sentenza impugnata “non contiene alcuna espressa e congrua motivazione quanto alla rilevanza od irrilevanza degli elementi dedotti a prova contraria” e sulle conseguenze che ne discendono sul piano probatorio in merito all’attendibilità dell’accertamento operato dall’ufficio.
4.2. Il motivo è infondato.
Nuovamente chiarendo che il vizio di motivazione insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, le SS.UU di questa Corte si sono date pure cura di precisare che un vizio motivazionale non è riconoscibile laddove “vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (n. 24148/13).
A tanto tende la lagnanza sollevata con il motivo in disamina dalla ricorrente, la quale, censurando la decisione del giudice territoriale sotto il profilo della coerenza logica rispetto ai dati fattuali offerti in cognizione, offre non solo una rappresentazione della realtà processuale testualmente smentita dal deliberato d’appello, (“le controdeduzioni dell’appellata non forniscono elementi di prova atti a dimostrare la erroneità dell’accertamento operato dall’ufficio con l’utilizzo degli studi di settore”), in ciò per vero cristallizzandosi un giudizio di fatto che è indice di una compiutezza di ragionamento, poiché la CTR ha mostrato di non ignorare le controdeduzioni della parte, ma nel potere di apprezzarne la concludenza che le compete in via esclusiva quale giudice del merito, ne ha esclusa ogni valenza decisoria; è, al contempo, pure di una congruenza della decisione, giacché il giudizio in parola è tutt’altro che generico, atteso che esso ha cura di ricondurre il rigetto delle obiezioni di parte alla loro inidoneità a di scalfire l’inquadramento della stessa nel cluster 37. Ma palesa altresì tutta la propria insoddisfazione per la decisione assunta dal giudice merito e, nell’istanza intesa a far valere con il motivo in disamina un insussistente vizio di motivazione, preconizza una rinnovata delibazione di quegli elementi di fatto già negativamente delibati dai primi giudici, impetrando la Corte di un sindacato che è del tutto estraneo ai suoi compiti istituzionali e che rende perciò il motivo insondabile.
5. Il ricorso va dunque conclusivamente respinto e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida nella somma di euro 5000,00 – oltre accessori.
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