CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 marzo 2020, n. 7103
Tributi – IRPEF – Previdenza complementare – Settore bancario – Trattamento pensionistico integrativo (cd. «zainetto») – Tassazione
Fatti e ragioni della decisione
Con ricorso proposto innanzi alla CTP di Roma, M.D. impugnava il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza di rimborso delle trattenute operate ai fini IRPEF nell’anno 2006, con riferimento alle somme erogate dal Fondo di Previdenza complementare gestito dalla COMIT (Banca Commerciale Italiana). La CTP accoglieva il ricorso ed avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate interponeva appello, che veniva rigettato dalla CTR Lazio con la sentenza indicata in epigrafe.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
La parte intimata non si è costituita.
Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente censura la sentenza d’appello per violazione degli artt. 17, comma 2, 48, comma 2, lett.a) del t.u.i.r., vigente ratione temporis (ora 19 e 51 del t.u.i.r.) laddove ha ritenuto detraibili, dall’imponibile di cui al fondo di previdenza complementare, i contributi versati dal lavoratore sino al 1994.
Il ricorso è fondato.
Questa Corte è ferma nel ritenere che la prestazione di capitale che un fondo di previdenza complementare per il personale di un istituto bancario (nella specie, il Fondo di previdenza complementare per il personale della Banca Commerciale Italiana) effettui in favore di un ex dipendente, in forza di accordo risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento (cd. «zainetto»), costituisce, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, reddito della stessa categoria della «pensione integrativa» cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di pensione.
Ragion per cui la base imponibile su cui calcolare l’imposta è costituita dall’intera somma versata dal fondo, senza che sia possibile defalcare da essa i contributi versati, in quanto, ai sensi della lett.a) dell’art. 48 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003), gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge (Cass., n. 11156/2010; Cass., n. 23030/2014; Cass. n. 124/2018; Cass. n. 17965/2019).
Il giudice di appello, riconoscendo il diritto al rimborso, non si è attenuto agli indicati principi.
Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384, comma 2 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso proposto dal contribuente.
Le spese relative ai gradi del giudizio di merito vanno integralmente compensate tra le parti, mentre le spese relative al giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dal contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese relative ai gradi del giudizio di merito e condanna il controricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
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