CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5720 del 23 marzo 2016
Le spese di sponsorizzazione fino a 200.000,00 euro sono considerate sempre spese di pubblicità
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 227/2010/39, depositata il 13 ottobre 2010 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 1192008-14 della Commissione tributaria provinciale di Caserta e confermava l’avviso di accertamento notificato il 6 ottobre 2007 nei confronti di DIVEAL S.r.l. per l’anno d’imposta2004 (IVA, IRPEG, IRAP).
2. Il giudice di appello motivava la decisione ritenendo che l’atto impositivo fosse fondato su un processo verbale di constatazione che aveva fatto emergere gravi incongruenze contabili e fiscali “con particolare riferimento al confronto effettuato tra la documentazione contabile di parte appellata e quella di altre aziende alla prima collegate nonche’ al recupero a tassazione posto in essere per costi ed oneri illegittimamente detratti”. Osservava che la contribuente aveva portato in detrazione “costi ed oneri sostenuti da una società terza, la DIMA S.r.l.” nonche’ costi di sponsorizzazione che “non avendo portato rilevanti e significati incrementi nelle vendite” avrebbero dovuto essere classificati come mere spese pubblicitarie.
Aggiungeva che corretta era la ripresa a tassazione “per quanto riguarda le spese relative alla gestione delle auto intestate alla DIVEAL S.r.l. e il pagamento delle sanzioni cosi’ come già correttamente disposto dai giudici di prime cure”.
3. Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 36 proc. trib. e consequenziale nullità della sentenza d’appello laddove, a suo dire, la decisione sarebbe priva di motivazione “o, quanto meno, connotata da una motivazione assolutamente insufficiente”.
2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza d’appello per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” sotto due profili, (a) in primo luogo laddove, in tema di sponsorizzazione, la C.t.r. non specifica nel dettaglio le fonti dalle quali avrebbe tratto il proprio convincimento senza spiegare il senso logico e giuridico del rilievo dato “a rilevanti e significativi incrementi nelle vendite”; (b) in secondo luogo laddove, in merito all’utilizzo della propria sede, trascura di valutare i rapporti contrattuali di DIVEAL S.r.l. con la trasportatrice DIMA S.r.l..
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8, e dell’art. 108, comma 2, e art. 109, comma 5, del TUIR. Censura la sentenza d’appello laddove trascura che, per l’art. 90, comma 8, cit. il corrispettivo in denaro o in natura a favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e le altre istituzioni previste costituisce spesa di pubblicità entro l’importo massimo di duecentomila Euro e che, secondo la circolare n. 21 del 22 aprile 2003 e in virtu’ di presunzione assoluta, i corrispettivi erogati possono essere dedotti ai sensi dell’art. 108, comma 2, del TUIR. Osserva, inoltre, che non v’e’ ragione per dubitare dell’inerenza della sponsorizzazione di una squadra di basket di serie C1 (dilettanti) avendo documentato un rapporto percentuale tra costi pubblicitari e fatturato annuo congruo e adeguato all’attività d’impresa.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 109 del TUIR laddove la sentenza d’appello trascura i rapporti tra DIVEAL S.r.l., grossista di prodotti alimentari, e DIMA S.r.l., ditta di autotrasporto, di talche’ il comodato d’uso della propria sede sociale si giustificava per la convenienza di avere in loco gli automezzi che dovevano trasportare la merce e di fruire consequenzialmente di tariffe agevolate.
5. Il primo motivo non e’ fondato.
L’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioe’ nei casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (Cass. n. 25972 del 10 dicembre 2014). Il che non accade nel caso in esame, atteso che, sia pure succintamente, il giudice d’appello ha enunciato le rationes decidendi individuandole: a) nel contenuto del processo verbale di constatazione; b) nella detrazione di “costi ed oneri sostenuti da una società terza, la DIMA S.r.l.”; c) nella detrazione di costi di sponsorizzazione che “non avendo portato rilevanti e significati incrementi nelle vendite” avrebbero dovuto essere classificati come mere spese pubblicitarie; d) in altre considerazioni già presenti nella sentenza della C.t.p..
6. La prima censura del secondo motivo e il correlato terzo motivo sono fondati e vanno congiuntamente accolti.
L’art. 90, comma 8, della legge finanziaria 2003 (n. 289/2002) stabilisce: “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonche’ di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 Euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’art. 74, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917” (vedi ora art. 108).
Il thema decidendum della vertenza attiene, dunque, alle condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità quando queste coinvolgono soggetti ritenuti dal legislatore del 2003 meritevoli di peculiare tutela giuridica, ossia le compagini sportive dilettantistiche.
In generale, ai sensi dell’art. 108 del TUIR, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Pertanto, di norma, le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della norma menzionata, ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale (Cass. n. 3433 del 2012; conf. n. 10914 del 2015 e n. 27482 del 2014). Dunque, di solito, laddove non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dallo sponsor, le relative spese non possono essere considerate di pubblicità, e come tali integralmente deducibili, ma devono ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dall’art. 108 del TUIR e dalle disposizioni secondarie attuative (es.
ora quelle del D.M. 19 novembre 2008).
Per la dottrina, invece, una peculiare esimente alla normativa ed alla giurisprudenza sin qui esaminata e’ prevista dagli enunciati dell’art. 90, comma 8, della legge finanziaria 2003 laddove il corrispettivo in denaro o in natura in favore di compagini sportive dilettantistiche costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a duecentomila Euro, spesa di pubblicità volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’art. 108, comma 2, del TUIR (già art. 74).
L’amministrazione finanziaria, con la circolare n. 21/E del 22 aprile 2003 (8), chiarisce: “La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate – nel limite del predetto importo – comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante ai sensi dell’art. 74, comma 2, del TUIR nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio medesimo e nei quattro anni successivi”. Indi evidenzia che “la fruizione dell’agevolazione in esame e’ subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni: 1) i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante; 2) deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima” (conf. risoluzione 23 giugno 2010, n. 57/E).
In sintesi, e’ proprio il comma 8 dell’art.90 a qualificare ex lege tali spese come pubblicitarie, se (a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica, (b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa, (c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor, (d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.). Dunque, correttamente la ricorrente lamenta che il giudice d’appello abbia elusi gli snodi logici e giuridici della vicenda trascurando il contenuto esplicito degli accordi intercorsi tra la contribuente e la Virtus Monte di Procida, squadra militante nel campionato di basket di serie dilettanti (C1 maschile) e in particolare la circostanza che l’erogazione nummaria e’ stata pattuita nei limiti di legge a fronte dell’impegno da parte della Virtus Monte di Procida di aggiungere alla propria la denominazione DIVEAL e di apporre il logo di tale società sulle divise, nella cartellonistica del campo da gioco e sulle locandine degli eventi sportivi. Di tali patti in ricorso si dà contezza con riferimento ai dati essenziali per reperirli nell’incarto processuale cosi’ rispettando quelle forme di virtuose di autosufficienza delineate dalle sezioni unite (sent. n. 22726 del 2011). Altrettanto correttamente la contribuente si duole del fatto che, a fronte dei sospetti elusivi in termini di antieconomicità adombrati dall’Agenzia, la C.t.r. abbia trascurato la non rilevante incidenza del costo di sponsorizzazione rispetto agli oltre 11,2 milioni di Euro di ricavi globalmente esposti in bilancio.
6. La seconda censura del secondo motivo e il correlato quarto motivo non sono fondati e vanno congiuntamente rigettati.
La C.t.r., nel convalidare l’operato del fisco, assume che la DIVEAL S.r.l. abbia portato in detrazione nel proprio bilancio relativo all’esercizio 2004 costi ed oneri inerenti a una società terza la DIMA. S.r.l. La ricorrente sostiene che, invece, il giudice d’appello non abbia inteso il senso dei patti tra le due società contenuti in un contratto di comodato che assicurava a DIMA. S.r.l. ospitalità nella sede di DIVEAL S.r.l. e a quest’ultima di spuntare tariffe di trasporto piu’ convenienti e di aver sotto mano i mezzi su cui caricare la merce.
Sennonche’ non si tratta tanto di eventuale violazione di norme tributarie sull’inerenza dei costi quanto di asserite carenze d’interpretazione dalla fattispecie negoziale vigente che, in disparte da difetti di autosufficienza, avrebbe dovuto essere denunciata con riferimento specifico all’inosservanza delle norme di ermeneutica contrattuale (Cass. n.22889 del 2006 e n. 13587 del 2010), relativamente sia all’interpretazione testuale, sia al comportamento delle parti successivo alla conclusione dell’asserito contratto (vedasi PVC).
Peraltro, il reddito d’impresa e’ determinato dalla differenza tra i ricavi percepiti e i costi sostenuti. In tesi generale, ai fini reddituali, le somme da incassare per il riaddebito dei costi ad altri soggetti economici per l’uso comune di uffici e/o sedi non costituisce reddito e quindi non rileva quale componente positivo, mentre il costo sostenuto puo’ essere dedotto dal contribuente titolare solo parzialmente, vale a dire per la parte riferibile alla attività da lui svolta e non anche per la parte (riaddebitata o) da riaddebitare ad altri. Infatti la parte di costo (riaddebitata o) da riaddebitare non e’ inerente alla attività da questi svolta e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo.
In altri termini, i rimborsi astrattamente spettanti non costituiscono per l’intestatario di uffici e/o sedi, condiviso con altri soggetti economici, componenti positivi di reddito bensi’ minori costi di gestione. Tale impostazione, dunque, fa si’ che si debba realizzare un’esposizione sostanziale delle spese effettivamente sostenute se e in quanto inerenti all’attività economica realmente svolta da ciascuno, altrimenti risolvendosi l’imputazione integrale dei costi a uno solo dei soggetti condividenti in una sorte di liberalità indiretta, pacificamente non deducibile (conf. Cass. n. 16035 del 2015, in tema di reddito da lavoro autonomo).
Ne’ vale a contrastare tali principi l’astratta allegazione di pretesi benefici di tariffa e di carico che nel ricorso restano a livello di mera enunciazione priva di reale concretezza (es.
riscontri nella scheda contrattuale) e di comparazione con le risultanze dell’accertamento fiscale e del processo verbale di constatazione, cosi’ come non emerge neppure se DIMA S.r.l. fosse vettore esclusivo di DIVEAL S.r.l. od operasse anche per clienti terzi. La regola della specificità, infatti, serve a determinare esattamente l’oggetto del devolutum non potendosi il giudice di legittimità sostituire alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura. Diversamente, in casi come quello di specie, sarebbe demandato alla Corte il compito d’identificare quali documenti e quali parti di essi la parte ricorrente intende, con le critiche contenute nel ricorso, demandare all’esame del giudice di legittimità.
8. In conclusione, il ricorso deve essere parzialmente accolto, nei sensi sopra indicati sub 6, e la sentenza d’appello deve essere cassata in parte qua, con rinvio al giudice competente che, in diversa composizione, dovrà procedere a nuovo esame del punto accolto e regolare le spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il ricorso nei sensi indicati in motivazione, cassa in relazione la sentenza d’appello e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.
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