CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7381
Tributi – Accertamento sintetico del reddito – Incrementi patrimoniali e spese per consumi incompatibili con reddito dichiarato – Prova contraria – Contratto di mutuo e risparmi personali – Legittimità
Ritenuto che
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 101/08/2012, depositata il 27.09.2012 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale, in riforma della decisione del giudice provinciale, aveva accolto l’opposizione di P.S. all’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2003.
Ha riferito che a seguito di verifiche ex art. 38 co. 4, d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, era notificato alla contribuente un avviso di accertamento, fondato sul riscontro di incrementi patrimoniali e di spese per consumi. Era stato così rideterminato sinteticamente il suo reddito, con conseguente accertamento di maggiori imposte ai fini Irpef e addizionali comunali, applicando inoltre le sanzioni.
Contestando gli esiti dell’accertamento, la P. aveva introdotto il contenzioso, definitosi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano con la sentenza n. 250/18/2009, che aveva rigettato il ricorso. La pronuncia era stata impugnata dinanzi alla Commissione tributaria regionale, la quale, con la sentenza ora al vaglio della Corte, aveva accolto l’appello annullando l’atto impositivo. I giudici regionali avevano riconosciuto la documentazione, allegata dalla contribuente già in sede di contraddittorio, a sostegno della disponibilità dei capitali impiegati per l’acquisto di due immobili e per sostenere le spese di gestione di una autovettura e di una unità abitativa. In particolare hanno ritenuto che gli incrementi patrimoniali e le spese sopportate nell’anno 2003 fossero giustificate dalla esibizione di un contratto di mutuo, dell’importo di € 457.112,00 concesso dal dott. G., nonché da risparmi personali della contribuente.
L’Agenzia ricorrente censura la sentenza della Commissione tributaria regionale lombarda con due motivi:
con il primo per violazione e falsa applicazione degli artt. 38, d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. per avere erroneamente attribuito valore probatorio ad un documento, attestante un finanziamento ricevuto dalla P., che secondo l’Ufficio era invece inidoneo alla prova richiesta dalla norma;
con il secondo per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione.
La contribuente si è costituita, contestando i motivi dell’avverso ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.
Considerato che
Va premesso che l’atto impositivo fu notificato alla P. nel 2008. Con esso, sulla base dell’acquisto di due unità abitative a fine 2006, nonché di spese di gestione di una autovettura e di una abitazione in locazione, incompatibili con il reddito della controricorrente, ai sensi dell’art. 38 cit. ratione temporis vigente, fu rideterminato sinteticamente il reddito degli anni 2003-2007, e in particolare, con riguardo a quello dell’annualità oggetto del presente giudizio, nella misura di € 121.582,00.
Con i due motivi, che possono essere trattati unitariamente perché tra loro connessi, l’Ufficio sostiene che la pronuncia di annullamento sia viziata per inosservanza delle regole probatorie che presidiano l’accertamento sintetico, e comunque per l’erroneo apprezzamento formulato dalla Commissione a proposito della documentazione allegata dalla contribuente a sostegno degli investimenti e degli impegni di spesa.
Essi sono infondati.
L’Agenzia, a fronte di spese pari ad € 792.030,00, ha giustificato solo € 230.000,00 per il mutuo contratto dalla P., mentre ha ritenuto inconferente l’ulteriore documentazione prodotta dalla contribuente, relativa al finanziamento ottenuto dal G., dell’importo di € 457.112,00, di cui vi è una scrittura privata con timbro postale comprovante la data del contratto, nonché dichiarazioni rilasciate dallo stesso mutuante presso l’Agenzia, a conferma del prestito concesso.
Sotto il profilo dell’errore di diritto, la giurisprudenza di legittimità, in ordine alla prova in tema di accertamento sintetico, ha affermato che ai sensi dell’art. 38, quarto comma, cit., una volta che l’Amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo è onerato della prova che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti ovvero da finanziamenti di terzi (Cass., 13602/2018).
D’altronde, sempre con riguardo alla formulazione dell’art. 38 vigente ratione temporis, è stato evidenziato che il contribuente, il quale deduca che la spesa effettuata derivi dalla percezione di ulteriori redditi, è onerato della prova sulla disponibilità di detti redditi, nonché sull’entità degli stessi e della durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (Cass., 1510/2017). In particolare si è riconosciuto che la prova contraria a carico del contribuente può essere assolta mediante la produzione del contratto di mutuo, idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale delle somme utilizzate per l’acquisto del bene (cfr. Cass., 31124/2018, nella quale si afferma la sufficienza della prova costituita dalla allegazione del mutuo, senza necessità di dover dimostrare anche le motivazioni dell’erogazione e le garanzie che la supportano). In altri termini non è richiesta la prova specifica della fonte del pagamento, ma che sussistano elementi anche indiziari, atti a desumere tale convincimento.
Ebbene nel caso di specie, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità, la Commissione tributaria regionale ha valorizzato la documentazione allegata dalla P., comprovante il prestito personale da lei ricevuto dal G., rilevando che <<l’atto portava data certa del 9 dicembre 2005, annullata con timbro postale>>. Ha peraltro evidenziato che quella scrittura privata, che l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto inconferente ai fini della esistenza di una provvista capace di supportare gli impegni di spesa sostenuti per l’acquisto degli immobili e per le spese di gestione di taluni beni mobili e immobili, sia stata poi dalla medesima Amministrazione utilizzata per procedere ad un ulteriore accertamento fiscale, nei confronti dello stesso mutuante G., ai fini della applicazione dell’imposta di registro sull’atto negoziale di mutuo.
Risulta allora priva di pregio la pretesa dell’Agenzia, secondo cui non era sufficiente quella scrittura privata, per essere invece necessaria la produzione di documentazione bancaria, quale prova della effettiva disponibilità, in capo alla P., delle somme concesse a mutuo dal G..
Al contrario di quanto preteso dall’Ufficio, la documentazione bancaria non costituisce prova unica per dimostrare la disponibilità del reddito con cui sostenere le spese, essendo invece idonea e sufficiente una documentazione che sostenga, con elementi certi o anche indiziari, purché gravi, precisi e concordanti, la disponibilità di mezzi economici che spieghino e giustifichino la manifestazione di spesa del contribuente.
A tal fine la scrittura privata offerta all’Amministrazione finanziaria, attestante la stipula di un contratto di mutuo, con consequenziale insorgenza di obbligazioni tra mutuante e mutuataria, non solo non è stata disconosciuta dall’Agenzia, ma ha costituito essa stessa il fondamento per un ulteriore accertamento nei confronti di G. ai fini dell’imposta di registro.
Ciò evidenzia la rilevanza che a tale documento è stato attribuito dalla stessa Amministrazione, che non può poi negarne valore ai fini della dimostrazione, indiziaria, della disponibilità da parte della P. della provvista idonea ad affrontare gli acquisti immobiliari successivamente avvenuti, i cui importi assorbono la gran parte del maggior reddito contestato alla contribuente.
Le ragioni appena svolte sono utili al rigetto del secondo motivo, con cui si denuncia il vizio motivazionale della decisione, quando non ne si voglia dichiarare l’inammissibilità a seguito della riformulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Alla soccombenza della ricorrente segue la sua condanna alle spese del giudizio, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia alla rifusione in favore della P. S. delle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 5.200,00 per competenze, oltre spese calcolate nella misura forfettaria del 15% e accessori di legge.
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