Commissione Tributaria Regionale per la Calabria, sezione 3, sentenza n. 406 depositata il 23 gennaio 2020
Come statuito dalla Corte Costituzionale, l’obbligo della PA di rispettare le sentenze emesse dall’autorità giudiziaria ordinaria passate in giudicato, si applica anche in ambito tributario
Il comparto delle accise comprendente per definizione legislativa tutta l’imposizione indiretta sulla produzione e sui consumi prevista con la denominazione di “imposta di fabbricazione o di consumo” e corrispondenti sovrimposte – è regolato dal D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (“Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative” – Tua).
L’art. 2 del Tua contiene una puntuale specificazione del presupposto impositivo che si sviluppa in una fattispecie a formazione complessiva che sorge al momento della fabbricazione (od importazione) del prodotto sottoposto ad accisa ma l’esigibilità del tributo è posticipata all’atto di immissione al consumo del prodotto stesso nel territorio dello Stato.
Fino al momento dell’immissione al consumo le merci rimangono in un regime fiscale sospensivo, circolando nel territorio dell’UE e venendo tassate nel Paese di destinazione.
La circolazione intracomunitaria in regime sospensivo dei prodotti soggetti ad accisa deve avvenire esclusivamente tra depositi fiscali (c.d. interconnessione) ed attraverso l’utilizzo di apposita documentazione (Documento Amministrativo di Accompagnamento – DAA).
Le merci andate perdute o distrutte in regime di sospensione per caso fortuito o forza maggiore (cioè per fatti non imputabili al soggetto passivo a titolo di dolo o colpa grave ovvero a lui imputabili per colpa lieve) o che hanno subito cali naturali o tecnici (nei limiti di ammanco fissati forfetariamente in via presunti va da appositi decreti ministeriali) fruiscono di un abbuono di imposta.
È stato peraltro precisato che i quantitativi che risultano mancanti in sede di presentazione, verifiche e controlli si sottraggono all’imposizione a sensi dell’art. 4 del Tua (e dell’art. 37 del Tuld) solo quando si tratti di perdite di volume o di peso in dipendenza di fenomeni fisici, chimici o biologici ovvero di dispersioni o vanificazioni della merce medesima durante il deposito od il trasporto senza utilizzazione o manipolazione, per cui la perdita del bene dovuto a furto o rapina (che provocano entrambi lo “spossessamento”) non ne comporta il venir meno, ma solo la sottrazione a vantaggio dell’autore del delitto che consente comunque al bene sottratto di entrare nel circuito commerciale rimanendo così assoggettato ad imposta.
L’art. 2 del decreto legislativo citato annovera,quindi, come obbligati solidali il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo (il garante del pagamento del tributo) e chiunque nei confronti del quale si verifichino i presupposti di esigibilità dell’imposta: in pratica il fabbricante (sempre e comunque) e l’intermediario tramite il quale viene immessa al consumo la merce (compreso il trasportatore).
È stato, infatti affermato in tema di fraudolenta evasione dell’imposta di fabbricazione che deve ritenersi assoggettato al tributo oltre che alle sanzioni penali non solo il produttore ma chiunque sottragga o concorra a sottrarre il prodotto (nella specie olii minerali) dell’imposta all’accertamento ed al pagamento. Con riferimento al carburante per uso in agricoltura è prevista l’agevolazione che necessita della attivazione di quelle procedure che normalmente tutti gli agricoltori attivano per potere acquistare a prezzo ridotto e presso autorizzati rivenditori il gasolio da utilizzare per le lavorazioni agricole.
L’agevolazione per il gasolio agricolo è data, oltre a scontare l’IVA al 10%, anche come riduzione al 22% del valore della accisa, con un risparmio per ogni litro di gasolio venduto.
Come meglio specificato nella risoluzione del Ministero delle Finanze del 12/06/1990 prot. 430039, per accedere alla riduzione in fattura dell’aliquota e quindi vedersi applicata l’IVA al 10% .per l’acquisto di gasolio per autotrazione, è necessario che gli agricoltori acquirenti sottoscrivano una dichiarazione attestante la specifica destinazione agricola del prodotto.
La dichiarazione va consegnata al fornitore al momento dell’acquisto/ordine del prodotto.
Ciò posto, la pretesa tributaria dell’A.F. consiste nel recupero delle accise sul carburante come immesso al consumo a seguito della vendita a soggetti risultati privi dei requisìti prescritti dal D.M. 454 del 2001 e pertanto gravante sul ricorrente.
La pretesa troverebbe fondamento nell’art. 2 del TUA secondo comma lettera a) del d.lgs. 504 del 1995.
Tale prospettazione non è stata condivisa dai giudici di prime cure sul presupposto della non aderenza della fattispecie de qua alla normativa posta a base dell’avviso di accertamento impugnato.
I giudici hanno infatti sostenuto che l’art. l comma 1 della lett. e) definisce deposito fiscale “l’impianto in cui vengono fabbricati, trasformati, detenuti ricevuti o spedìti prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione alle condizioni stabilite dall’Amministrazione finanziaria”.
Il regime di sospensiva è “il regime fiscale applicabile alla fabbricazione, trasformazione, alla detenzione e alla circolazione dei prodotti soggetti ad accisa fino al momento dell’esigibilità dell’accisa o del verificarsi di una causa estintiva del debito d’imposta”.
Nel caso di specie, il M. è titolare di una autorizzazione rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per l’esercizio di un deposito commerciale di carburanti, senza alcun riferimento all’applicazione del regime di sospensiva, operando il soggetto, diversamente in regime di accisa assolta.
L’Ufficio ha invece ribadito la sussistenza dei presupposti per l’esigibilità dell’accisa derivante dall’unico fatto generatore ovvero la vendita al consumo a soggetti privi dei requisiti di legge per fruire dell’agevolazione fiscale di cui al DPR 454 del 2001, non ravvisando alcuna distinzione tra deposito fiscale e deposito commerciale, ai fini del trattamento fiscale.
Inoltre, l’Ufficio ha ritenuto del tutto ininfluente, in sede tributaria, la pronuncia penalle che ha assolto il M. dal reato di truffa perpetrato dagli acquirenti finali, escludendo altresì l’operatività della successiva disposizione di cui all’art. 4 della D. lgs 504 del 1995 invocata dal ricorrente.
Il Collegio ritiene, invece, nell’ambito dei rapporti tra giudizio tributario e penale, fatta salva l’autonomia tra i due giudizi, che l’accertamento della responsabilità penale ha effetti sulla riscossione delle accise, come rilevato dalla Suprema Corte nella sentenza 27 gennaio 2003, n. 1191 e nella precedente pronuncia 10 luglio 1992, n. 840 (in Mass. Giur. It., 1992), secondo le quali l’iscrizione a ruolo del tributo dopo l’assoluzione in sede penale costituisce atto illegittimo ed è fonte – ex art. 2043, cod. civ. di responsabilità aquiliana dell’Amministrazione finanziaria per violazione sia dell’obbligo di conformarsi al giudicato penale, sia dei principi di legalità, imparzialità di buona amministrazione dettati dall’art. 97 Cost..
A tal proposito la Corte Costituzionale nelle sentenze 23 marzo 1992, n. 120, in materia di giudicato penale, e 18 luglio 1997, n. 264 (in Giur. cost., rispettivamente, 1992, 1025 e 1997, 2424) ha ritenuto che il principio fissato dall’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E – abolitrice del contenzioso amministrativo – che la Pubblica Amministrazione debba conformarsi alla sentenza passata in cosa giudicata emessa dall’autorità giudiziaria ordinaria (penale o civile che fosse) risulta applicabile anche in materia tributaria senza che vi fosse bisogno di un apposito richiamo della normativa fiscale.
Nel caso di specie, la denuncia dei fatti al A.G.penale è stata fatta dall’Ufficio a chiusura della verifica fiscale e riguarda i medesimi fatti da cui è scaturito l’avviso di accertamento tributario (vendita illegittima del carburante posta in essere artifizi e raggiri dei consumatori finali ai quali è risultato estraneo il venditore, tenuto al versamento dell’accisa).
In definitiva, assorbite tutte le eccezioni formalie sostanziali sollevate da entrambe le parti, la pretesa dell’Ufficio va considerata infondata e non provata e rigettato l’appello dell’Ufficio.
La natura e la specificità della controversia dedotta in giudizio, che si appalesa non pienamente aderente alla normativa richiamata dall’Ufficio, e in assenza di specifica giurisprudenza sul caso analogo, giustificano la compensazione delle spese anche del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, definitivamente decidendo,
l’appello dell’Ufficio e conferma la sentenza della CTP di Catanzaro.
Spese compensate.
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