CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2020, n. 10884
Società – Fallimento – Concordato preventivo – Inammissibilità della domanda – Ricorso per Cassazione
Fatti di causa
1. — Il 4 agosto 2016 S.D. s.n.c. di G.D. e T.S. proponeva reclamo avverso la sentenza con cui il Tribunale di Padova, in data 25 luglio 2016, aveva dichiarato il fallimento della società sulla base della affermata inammissibilità della domanda di concordato preventivo (come da decreto dello stesso Tribunale reso in pari data).
La Corte di appello di Venezia, pronunciando sull’impugnazione proposta, la respingeva. Osservava, in particolare, che la proposta concordataria, la quale prevedeva il soddisfacimento integrale dei crediti da lavoro dipendente, il soddisfacimento in ragione del 50% degli altri creditori privilegiati e il soddisfacimento, in ragione del 12,61%, dei creditori in chirografo, non poteva aver seguito giacché introduceva un criterio di ripartizione diverso da quello legale: rilevava, in particolare, che doveva essere osservata la prescrizione di cui all’art. 160, comma 2, l. fall., secondo cui il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prefazione; in tal senso, ad avviso del giudice distrettuale, non era possibile procedere alla soddisfazione dei crediti di rango inferiore se prima non fossero stati soddisfatti per intero quelli di grado poziore.
La stessa Corte osservava, poi, che, in conseguenza del rigetto del primo motivo di reclamo, risultavano assorbiti gli altri. Affermava, peraltro, che tali censure risultavano essere infondate, dando conto delle ragioni del proprio convincimento.
2. — La sentenza è impugnata per cassazione da S.D. con un ricorso che consta di cinque motivi e che è illustrato da memoria.
Resiste con controricorso la curatela fallimentare della società.
Ragioni della decisione
1. — Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione ed erronea o falsa applicazione dell’art. 160, comma 2, l. fall., anche in relazione all’art. 177, comma 3, l. fall.. Dopo aver osservato che la pronuncia impugnata sarebbe frutto di una lettura ancorata a una superata visione pubblicistica dell’istituto del concordato, la società istante rileva come sia ben possibile procedere al soddisfacimento dei crediti di rango inferiore in assenza di un integrale estinzione dei crediti di grado poziore, ove «vi sia una scala e cioè una misura, progressivamente discendente, del soddisfacimento dei creditori». In tal senso, la decrescente e graduata soddisfazione dei diritti di prelazione, attuata attraverso l’assegnazione, ai crediti di grado più elevato, di una maggiore percentuale di pagamento, non altererebbe l’ordine della legge e troverebbe fondamento giustificativo in presenza di una condizione: l’attribuzione ai crediti privilegiati declassati di un trattamento complessivamente più favorevole rispetto a quello che essi riceverebbero all’esito della liquidazione fallimentare e rispetto a quello riservato ai crediti di natura chirografaria. Il secondo mezzo lamenta la violazione ed erronea o falsa applicazione dell’art. 56 l. fall., dell’art. 45 l. fall. e dell’art. 1360 c.c..
La censura investe l’affermazione con cui la Corte di appello aveva ritenuto non compensabile il credito chirografario di cui M.I. s.r.l. si era resa cessionaria, prima del deposito della domanda di concordato, col prezzo d’acquisto dell’azienda, in ipotesi di sua aggiudicazione: per la precisione, la detta società era affittuaria dell’azienda di S.D. e risultava aver acquistato dalla locatrice il credito avente ad oggetto i canoni di locazione non corrisposti dalla ricorrente; nel contratto di affitto di azienda tra M.I. e S.D. sarebbe stata poi prevista la compensazione di tale credito con il debito relativo al prezzo di acquisto dell’azienda (pag. 4 della sentenza impugnata, ove sono riassunti i rilievi svolti dal Tribunale sulla vicenda portata al suo esame). Sostiene la ricorrente che l’assunto della Corte di appello, secondo cui non era possibile compensare un credito concorsuale antecedente alla domanda di concordato con un credito della massa, sorto successivamente, non aveva fondamento, dal momento che, per un verso, i contratti di cessione del credito e di affitto di azienda erano opponibili alla procedura e, per altro verso, l’aggiudicazione dell’azienda costituiva condizione sospensiva i cui effetti dovevano retroagire al momento in cui erano stati conclusi i richiamati negozi.
Il terzo motivo oppone l’omesso esame dì un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, oltre che la violazione ed erronea o falsa applicazione degli artt. 45 l. fall. e 1360 c.c.. Vi si deduce che la Corte di appello non aveva considerato che i contrapposti crediti derivanti dalle pattuizioni contenute nei contratti di cessione del credito e di affitto dì azienda erano stati oggetto di compensazione volontaria; la ricorrente torna poi a far valere la questione circa gli effetti dell’avveramento della condizione. Con il quarto motivo à lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla possibilità di destinare il ricavato della vendita dei beni personali dei soci al soddisfacimento dei creditori personali degli stessi e la violazione ed erronea o falsa applicazione dell’art. 2741 c.c.. Lamenta la ricorrente che la Corte di merito non si era pronunciata sul motivo di reclamo con cui era stata censurata l’affermazione, da parte del giudice di primo grado, secondo cui il piano e la proposta concordataria riguardavano la società, e dunque il soddisfacimento dei creditori di quest’ultima, con la conseguenza che la destinazione all’attivo di beni personali dei soci avrebbe determinato che essi fossero devoluti in favore della massa dei creditori della società.
Il quinto mezzo oppone la violazione ed erronea o falsa applicazione dell’art. 163 bis l. fall.. La doglianza investe l’assunto, espresso dalla Corte di appello, per cui lo sconto, dal prezzo d’acquisto dell’azienda, dei canoni di affitto corrisposti dall’affittuaria in costanza del rapporto non sarebbe giustificato perché attribuirebbe un vantaggio incompatibile con l’espletamento di una gara realmente competitiva. Rileva l’istante che la previsione contrattuale richiamata non avrebbe potuto ostacolare la vendita dell’azienda con siffatta procedura.
2. — Il primo motivo è infondato.
Come è noto, l’art. 160, comma 2, l. fall., nello stabilire i limiti cui è soggetta la proposta di concordato, prevede: da un lato, che essa possa prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, ma sempre che «il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d)»; dall’altro, che il trattamento stabilito per ciascuna classe non possa «avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione».
La questione posta col primo mezzo di censura è se tale disciplina imponga l’integrale pagamento del credito di rango superiore prima di soddisfare quello di grado inferiore o se, piuttosto, sia ammessa la falcidia del credito di grado poziore e il pagamento parziale del credito di rango più basso, a condizione che al primo sia assicurato un trattamento più favorevole rispetto a quello riservato al secondo.
In realtà, la prima delle condizioni poste dall’art. 160, comma 2, implica che l’ammontare della somma ritraibile dalla liquidazione concorsuale segni il limite minimo di soddisfacimento dei creditori privilegiati: e da tale limite si desume che il creditore chirografario non possa vedere adempiuta, neanche parzialmente, la propria obbligazione se il presumibile valore di realizzo dei beni su cui insiste il diritto di prelazione non consenta di soddisfare i creditori privilegiati.
Ciò significa, in concreto, che, in presenza di un diritto di prelazione incidente su di un bene specifico (ipoteca, pegno, privilegio speciale) il credito che ne è assistito possa essere soddisfatto parzialmente, in concorso con i crediti in chirografo, se il valore del detto bene sia inferiore all’ammontare del credito: in questo caso, infatti, il conseguimento di quanto spettante in forza del diritto di obbligazione dipende dall’ammontare ritraibile dalla liquidazione del bene su cui insiste la prelazione (da cui sono esclusi i creditori chirografari) e dal valore degli altri beni (su cui concorrono i creditori chirografari).
Ove, poi, venga in questione — come nel caso in esame — un privilegio generale sui mobili e tali beni siano incapienti rispetto alle ragioni di credito dei titolari di tale diritto di prelazione, i crediti privilegiati non potranno essere ulteriormente falcidiati a beneficio di quelli chirografari: diversamente si ammetterebbe che, sulla medesima massa attiva, creditori di rango inferiore (quali sono quelli in chirografo) siano soddisfatti prima che lo siano, per l’intero, i creditori di rango poziore. E un tale risultato urterebbe, come è evidente, non solo col principio per cui il piano concordatario deve assicurare la soddisfazione dei creditori privilegiati in misura almeno pari a quella cui gli stessi potrebbero aspirare, in ragione della loro collocazione preferenziale, in caso di liquidazione, ma anche con la regola che vieta di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.
Ciò non esclude che i creditori chirografari possano essere soddisfatti pur in presenza di beni, oggetto del privilegio generale, che risultino essere insufficienti ad assicurare il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati; ciò accadrà ove essi abbiano la possibilità di concorrere su beni immobili oppure in presenza della c.d. finanza esterna, alle condizioni indicate da Cass. 8 giugno 2012, n. 9373: e cioè allorché l’apporto del terzo risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell’attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, nè un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no.
Nella fattispecie, come si è detto, si fa questione della possibilità di sottoporre a falcidia, a beneficio dei creditori chirografari, crediti garantiti da privilegio generale, ma in tale situazione non è possibile sfuggire a questa alternativa: o í beni avevano un valore eccedente i crediti garantiti, e allora questi dovevano essere soddisfatti per l’intero; o i beni avevano un valore inferiore rispetto ai crediti privilegiati, e allora i creditori in chirografo non avrebbero potuto essere soddisfatti, risultando prioritario il soddisfacimento di quelli muniti di garanzia.
Deve dunque ritenersi che in tema di concordato preventivo, a norma dell’art. 160, comma 2, l. fall., il soddisfacimento parziale dei creditori muniti di privilegio generale possa trovare un fondamento giustificativo solo nell’incapienza del patrimonio mobiliare del debitore, sicché il soddisfacimento dei creditori chirografari non può che dipendere, in tal caso, dalla presenza di beni immobili (ovviamente per la parte che non è deputata a garantire i creditori che vantino un titolo di prelazione su di essi) o da liquidità estranee al patrimonio del debitore stesso.
3. — I restanti motivi sono inammissibili, giacché ineriscono a profili che, come in precedenza accennato, sono restati assorbiti (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata): in conseguenza, le considerazioni svolte sul punto dal giudice del gravame risultano essere prive di decisività. Mette conto qui di ricordare che è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata non costituente una ratio decidendi della medesima (per tutte: Cass. 10 aprile 2018, n. 8755; in generale, sull’inammissibilità del ricorso su questioni assorbite cfr.: Cass. 1 marzo 2007, n. 4804; Cass. 5 novembre 2014, n. 23558).
4. — Il ricorso è in conclusione rigettato.
5. — Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
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