CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14047
Accertamento – Dichiarazione dei sostituti d’imposta – Violazione degli obblighi – Mancata esecuzione delle ritenute alla fonte – Irregolare tenuta delle scritture contabili – Sanzioni
Rilevato che
con sentenza n. 125/06/12 pubblicata il 5 giugno 2012 la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese n. 147/1/11 con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla C.G. Costruzioni Generali s.r.l. avverso gli avvisi di accertamento nn.R2Y070200181/2006, R2Y070200182/2006, R2Y070200235/2006, R2Y0702000005/2007, R2Y070100092/2009, con i quali l’Agenzia delle Entrate contestava, in relazione agli anni d’imposta dal 2001 al 2005, alla stessa società la violazione degli obblighi relativi alla dichiarazione dei sostituti d’imposta, la mancata esecuzione delle ritenute alla fonte su parte dei compensi corrisposti ai propri lavoratori dipendenti, la violazione degli obblighi relativi alla contabilità per irregolare tenuta delle scritture contabili, avendo omesso di indicare nel Libro paga tutte le voci retributive corrisposte ai dipendenti e da sottoporre a tassazione, irrogando le conseguenti sanzioni di legge, ed avverso gli atti di contestazione nn. R2YC00200126/2006, R2YC00200127/2006, R2YC00200135/2006, R2YC00200046/2007, R2YCOO 100068/2009, con i quali la medesima Agenzia delle Entrate, contestava alla stessa società, per i medesimi anni, il mancato versamento delle ritenute alla fonte da operare sui compensi corrisposti ai lavoratori dipendenti, irrogando le sanzioni di legge;
che la Commissione tributaria regionale ha considerato che, tenuto conto del tipo di attività della società in questione impegnata in lavori di ristrutturazione e manutenzione presso aziende clienti dislocate in varie località, era normale che i lavoratori dipendenti fossero necessariamente trasferiti da una sede ad un’altra per cui parte del relativo compenso inserito in busta paga avesse natura risarcitoria e quindi esclusa dall’imponibile fiscale;
che l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso detta sentenza affidato a due motivi;
che la C.G. (…) s.r.l. resiste con controricorso;
considerato
che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 51, commi 1 e 5, del d.P.R. n. 917/1986, 7, 23, 42 del d.p.r. n. 600/1973 e 3, comma 1 del d.P.R. n. 602/1973 in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3. cod. proc. civ. In particolare si deduce che, poiché la trasferta è caratterizzata dalla temporaneità del mutamento del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, ai fini della corretta applicazione delle previsioni di cui all’art. 51, comma 5, del d.P.R. n. 917/1986, è indispensabile che la sede di assunzione del lavoratore sia anche il luogo in cui il lavoratore è chiamato normalmente a svolgere la propria attività lavorativa; pertanto, laddove la sede di assunzione costituisce, invece, un mero riferimento per la gestione burocratica del rapporto di lavoro ed il lavoratore viene normalmente chiamato a svolgere la propria attività in altro luogo, le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di “indennità di trasferta” e di “rimborso chilometrico” non beneficiano del trattamento fiscale previsto dalla norma citata;
che con il secondo motivo si lamenta, in subordine, insufficiente motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in relazione alla circostanza per cui i lavoratori dipendenti della C.G. (…) s.r.l., fin dal giorno dell’assunzione, hanno sempre lavorato presso il cantiere cui sono stati adibiti;
che il primo motivo è fondato. La sentenza impugnata muove da una nozione arcaica di retribuzione quale corrispettivo della mera prestazione lavorativa, sicché tutto ciò che non è mirato direttamente a tale compenso risulterebbe fuori dal sinallagma contrattuale. In realtà la dottrina e la giurisprudenza di questa Corte da tempo hanno chiarito che il nesso di corrispettività esistente tra l’obbligazione di prestare la propria attività lavorativa e quella relativa alla retribuzione assume una connotazione particolare, rispetto alla corrispettività propria dei contratti di scambio, in quanto deve tenersi conto dell’implicazione della persona del lavoratore nell’adempimento dell’obbligazione di lavorare e della funzione che, di conseguenza, la retribuzione assolve quale mezzo di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia (art. 36 Cost., secondo cui essa deve essere proporzionata e, in ogni caso, sufficiente). Ne deriva che la retribuzione non costituisce quindi soltanto il corrispettivo della effettiva prestazione di lavoro, ma, piuttosto, dell’impegno complessivo e personale assunto da chi si obbliga a lavorare alle dipendenze e nell’interesse altrui. Ed infatti, il lavoratore ha diritto alla retribuzione, o ad una indennità che ne fa le veci, anche in situazioni nelle quali non v’è adempimento della obbligazione di lavorare, come ad es. nel caso di malattia, infortunio, gravidanza, puerperio (art. 2110 cod. civ.); nel caso di permessi previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva; o ancora, a causa della riduzione dell’orario di lavoro o della sospensione temporanea del lavoro, determinate dalla crisi dell’azienda presso la quale il lavoratore presta servizio o da processi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione dell’azienda stessa. Si può dunque ritenere che rientrano nel concetto di retribuzione non solo gli emolumenti corrisposti in funzione dell’esercizio dell’attività lavorativa, ma anche tutti gli importi che, pur senza trovare riscontro in una precisa prestazione lavorativa, costituiscono adempimento di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto ed hanno origine e titolo nel contratto di lavoro (Cass. 25 gennaio 2001 n. 1018; Cass. 15 maggio 1987 n. 4501). Inoltre, la retribuzione deve essere commisurata non solo al risultato produttivo ed al tempo impiegato, ma altresì alle condizioni soggettive ed oggettive in cui tale risultato si consegue (art. 36 Cost.; Cass. sez. un. 10 novenbre 1982 n. 5923; Corte Cost. 22 gennaio 1987 n. 16). In particolare, per quanto riguarda la prestazione lavorativa in situazione di trasferta, la giurisprudenza di questa (forte è ferma nel ritenere che normalmente essa comporta un maggior disagio, che deve essere appositamente compensato, sicché la relativa indennità generalmente ha una duplice funzione, risarcitoria o meglio restitutoria delle maggiori spese sopportate nell’interesse del datore di lavoro, e retributiva del maggior disagio (Cass. 6 giugno 1998 n. 5592; Cass. 13 agosto 1987 n. 6939; Cass. 7940/1985; Cass. 5542/1985; Cass. 6508/1985). I principi elaborati in tema di indennità di trasferta vanno applicati anche ai dipendenti cantieristi dell’attuale controricorrente, e non è perciò più applicabile al caso in esame il precedente orientamento giurisprudenziale che porterebbe a considerare come interamente retributivi i compensi corrisposti agli odierni trasfertisti (per riferimenti Cass. 28 gennaio 1989 n. 818; Cass. 5 febbraio 1988 n. 1223). L’individuazione delle due componenti, restitutoria e retributiva, è compito del giudice del merito, il quale non è vincolato dal nomen juris usato dal contratto collettivo o dalle parti (Cass. 16 novenbre 1987 n. 364; Cass. 15 settembre 1987 n. 7247). Ciò precisato in punto di diritto, la motivazione della sentenza impugnata sulla funzione in concreto svolta dalla indennità di trasferta in esame, e sulla sua correlazione con la necessità di adibire i lavoratori in sede lontana da quella della società datrice di lavoro appare conseguentemente disattendere i principi di diritto sopra esposti;
Che il secondo motivo è assorbito;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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