CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2020, n. 16181
Tributi – Imposte sui redditi ed IVA – Cessione d’azienda – Accertamento plusvalenza – Determinazione sulla base della rettifica del valore di avviamento effettuata ai fini dell’imposta di registro – Illegittimità
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate ha notificato a D.B. un avviso d’accertamento, in materia di Irpef, Irap ed Iva, relative all’anno d’imposta 2003, con il quale ha recuperato a tassazione il maggior reddito imponibile derivante dalla plusvalenza realizzata dal contribuente per effetto della cessione dell’azienda, avente ad oggetto l’attività di bar e pizzeria, della quale era titolare.
Infatti l’Ufficio aveva già rettificato in aumento, ai fini dell’imposta di registro e relativamente al valore di avviamento, il corrispettivo della cessione dell’azienda dichiarato, ed il relativo accertamento era divenuto definitivo.
Tanto premesso, l’Agenzia ha proceduto all’accertamento sub iudice, basato sul maggior valore dell’azienda ceduta, come accertato irrevocabilmente ai fini dell’imposta di registro.
2. Il contribuente ha proposto ricorso avverso l’accertamento in materia di Irpef, Irap ed Iva, dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Benevento, che lo ha accolto.
3. L’ufficio ha impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi la Commissione tributaria regionale della Campania che, con la sentenza n. 97/31/2012, depositata in data 30 aprile 2012, ha accolto l’appello e, in riforma della decisione impugnata, ha respinto il ricorso del contribuente.
4. Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza d’appello, affidato a tre motivi.
5. L’Ufficio si è costituito con controricorso.
Considerato che
1. Preliminarmente, deve darsi atto che ricorrente ha depositato documentazione, definendola «relativa alla definizione agevolata dei carichi pendenti con l’Agenzia delle Entrate (rottamazione ter)», non notificata alla controparte, la cui riferibilità all’atto impositivo sub iudice non è tuttavia accertabile in base ai dati fiscali identificativi rappresentati negli allegati.
Pertanto, non vi sono i presupposti per sospendere il giudizio o dare atto della cessazione della materia del contendere, e deve procedersi alla decisione nel merito del ricorso.
2. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 e num. 5, cod. proc. civ., il contribuente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ.
Lamenta il ricorrente che il giudice a quo ha erroneamente affermato che la definitiva – perché non impugnata – rettifica in aumento del valore di avviamento dell’azienda ceduta, effettuata ai fini dell’imposta di registro da applicare all’atto di cessione, possa integrare, di per sé sola, la presunzione della sussistenza anche di una correlata plusvalenza imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva.
Il motivo è fondato, nei termini che seguono.
Infatti il giudice a quo, accogliendo l’appello dell’Agenzia, ha censurato la sentenza di primo grado perché si è discostata dall’orientamento costante di questa Corte secondo il quale l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale, realizzata a seguito di cessione immobiliare o d’azienda, sulla base del valore accertato definitivamente ai fini dell’imposta di registro, che si traduce nella presunzione di corrispondenza del prezzo incassato dalla cessione con il valore di mercato del bene ceduto, accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, con conseguente attribuzione al contribuente dell’onere della prova di avere, in concreto, venduto l’immobile o l’azienda ad un prezzo inferiore a quello così presunto. Tanto premesso, il giudice d’appello ha escluso che, nel caso di specie, il contribuente avesse fornito tale prova liberatoria.
Tuttavia, la decisione della CTR si è adeguata ad un orientamento giurisprudenziale anteriore alla sopravvenienza dell’art. 5, comma 3, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, il quale dispone che: «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347». Ritenuto che tale disposizione abbia valore di interpretazione autentica della disciplina previgente da essa richiamata, e quindi sia munita di efficacia retroattiva, questa Corte ha mutato l’orientamento appena esposto, escludendo che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione possa limitarsi a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass. n. 9513/2018; Cass. n. 19227/2017; Cass. n. 12265/2017; Cass. n. 6135/2016; Cass. n. 11543/2016). Pertanto, l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione IRPEF, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo invece provvedere l’Ufficio a individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, che supportino adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente (così, da ultimo, in motivazione, Cass. 30/01/2019, n. 2610; Cass. 04/04/2019, n. 9453).
Allegate pertanto dall’Ufficio le prove, anche presuntive, del maggior valore del cespite ceduto, rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, graverà su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria contraddire alle risultanze probatorie che siano state offerte dall’Agenzia.
La sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi e, pertanto, va cassata, con rinvio al giudice a quo, che dovrà traguardare gli elementi fattuali della controversia alla luce della predetta norma d’interpretazione autentica e dell’ esposto orientamento giurisprudenziale che ne ha fatto applicazione.
3. Restano assorbiti gli ulteriori motivi, con i quali il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 66 (già 79) d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in ordine ai criteri relativi alla determinazione della sussistenza di una plusvalenza ed alla sua quantificazione (secondo motivo); e, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 e num. 5, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in ordine all’applicazione del principio di non contestazione in materia di valutazione delle risultanze istruttorie.
P.Q.M.
Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, e dichiara assorbiti i restanti;
cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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