CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18878
Tributi – Estinzione della società – Effetto successorio in capo ai soci
Rilevato che
1. il signor A.D., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società D. sas di D.A. e c., nonché il sig. B.D., in proprio e nella qualità di socio della predetta società, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Torino n. 124/22/13, depositata il 13 dicembre 2013, con cui era stata riformata la decisione di primo grado in quella sede impugnata, che aveva a sua volta annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società sopra citata e degli odierni ricorrenti;
2. il ricorso è affidato a nove motivi;
3. l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 cod. civ., artt. 24 e 111 Cost.;
2. il primo motivo è infondato;
3. secondo la costante interpretazione che la giurisprudenza di questa S.C. dà dell’art. 2495, comma 2, cod. civ., nel testo introdotto dall’art. 4 del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione della società, i rapporti giuridici (attivi e passivi) pendenti alla data di estinzione si trasmettono ai soci e non possono essere più fatti valere dagli organi della società ormai estinta (orientamento inaugurato da Cass., Sez. Un., 22/02/2010, nn. 4060, 4061, 4062 e ribadito da Cass. 17/12/2013, n. 28187, Cass. 05/05/2017, n. 11100, Cass. 21/12/2018, n. 33278, tra le altre);
4. il fenomeno appena descritto concerne anche le società di persone (Cass. 15 novembre 2016, n. 23269, Cass. 12 luglio 2018, n. 18465);
5. deve dirsi pertanto corretta la motivazione della CTR, nella parte in cui ha affermato, in tal modo riformando la sentenza di primo grado, che l’estinzione della società prima dell’introduzione del giudizio di primo grado determinava l’inammissibilità delle azioni in origine esercitate dal signor A.D., nella qualità di legale rappresentante della società D. sas di D.A. e C., pacificamente estinta nel 2005;
6. con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omessa considerazione, da parte della sentenza impugnata, del fatto che gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società erano stati autonomamente impugnati da ciascuno dei soci;
7. il motivo è infondato, poiché, ripercorrendo attentamente la motivazione della sentenza impugnata, ci si avvede che nessuna omissione è ad essa addebitabile sul punto;
8. in via preliminare, va osservato che la CTR, con la sentenza impugnata, si è pronunciata non soltanto sui ricorsi avverso gli avvisi originariamente indirizzati alla società, proposti da A.D. quale ex legale rappresentante della stessa e sfociati nelle sentenze di primo grado n. 84/16/11 e 85/16/11, ma anche – previa riunione dei relativi procedimenti – sui ricorsi originariamente presentati in proprio dagli ex soci A.D. e B.D., sfociati rispettivamente nelle sentenze di primo grado n. 88/16/11 e 86/16/1, che erano stati indirizzati non solo contro gli avvisi emessi direttamente nei loro confronti per i redditi di partecipazione, ma anche contro l’avviso emesso nei confronti della società;
9. diversamente da quanto affermato in ricorso, tuttavia, la CTR non si è limitata a esaminare i fatti alla base degli avvisi indirizzati alla società solo sotto il profilo dell’ammissibilità degli appelli presentati da A.D. quale ex legale rappresentante della società estinta, ma li ha valutati anche sulla base delle contestazioni mosse dagli ex soci;
10. dopo aver infatti correttamente affermato che l’estinzione della società determina un fenomeno successorio, in forza del quale i creditori della società possono coltivare le proprie legittime pretese nei confronti di altri soggetti (che la sentenza individua a pag. 8, quanto alle società in accomandita semplice, negli accomandatari, nei liquidatori colpevoli e negli accomandanti, nei limiti della quota di liquidazione), la sentenza è passata a esaminare “gli Avvisi di accertamento in capo ai soci, relativi ai redditi da partecipazione, cui è allegata copia integrale dell’accertamento in capo alla società” (sempre pag. 8, ultimo cpv.);
11. nel far ciò, dapprima ha dichiarato ammissibili i ricorsi introduttivi dei due soci, proprio in ragione del fatto che gli accertamenti nei loro confronti “contengono tutti gli elementi per una corretta individuazione dei motivi delle rettifiche poiché contengono, in allegato, copia integrale degli accertamenti” e che “essi sono stati del resto tempestivamente impugnati” (pag. 9, secondo cpv.), per poi procedere all’esame del merito della controversia, avvalendosi appunto delle risultanze dell’accertamento della società e giungendo a riconoscerne la legittimità;
12. in conclusione, la CTR ha dichiarato la legittimità degli avvisi emessi nei confronti dei soci dopo avere, in via pregiudiziale, dichiarato la legittimità degli avvisi contro la società, vale a dire proprio secondo la scansione logica utilizzata dai ricorrenti negli originari ricorsi e che gli stessi ricorrenti accusano di non aver seguito;
13. con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o la falsa applicazione dell’art. 10 del trattato Corte EDU e degli art. 167, 168, 178 della direttiva 2006/112;
14. con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.;
15. il terzo e il quarto motivo, legati da intima connessione e perciò da esaminare congiuntamente, sono infondati;
16. sostiene parte ricorrente che la CTR avrebbe fatto mal governo dei princìpi fondamentali del diritto comunitario in materia di diritto alla detrazione dell’IVA, direttamente applicabili alle fattispecie nazionali;
17. in particolare, la sentenza impugnata si inserirebbe in una prassi nazionale, contrastante con il diritto U.E., che nega al contribuente il diritto alla detrazione dell’IVA per il fatto che l’emittente della fattura nei suoi confronti avrebbe commesso irregolarità, senza pretendere che l’Amministrazione finanziaria dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessazione si inscriveva in un’operazione fraudolenta di evasione dell’imposta;
18. tale prassi contraddirebbe le regole sull’onere della prova nelle fattispecie riconducibili alle cd. frodi carosello;
19. in effetti, secondo un orientamento ormai consolidato, in tema di recupero dell’IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una cd. “frode carosello”, essa ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l’inesistenza del fornitore, ma anche, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il cessionario sapeva (o avrebbe potuto sapere, con l’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta), che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta; solo una volta fornita tale prova, incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di detta consapevolezza e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (v. Corte di giustizia 3 ottobre 2019, Altic, C-329/18, par. 31; Corte di giustizia 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C 277/14, par. 50; Cass., Sez. V, 30/10/2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 30/10/2018, n. 27555; Cass., Sez. V, 24/08/2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20/04/2018, n. 9851);
20. nel caso di specie, tuttavia, non risulta che la sentenza impugnata abbia contraddetto tali princìpi;
21. la CTR ha infatti affermato (a pag. 10 della motivazione) che il giudice tributario ha primariamente il compito di valutare i “requisiti della gravità, precisione e concordanza degli indizi raccolti dall’Amministrazione, confrontati con le argomentazioni contrarie fornite dai contribuenti” e che tale valutazione deve riguardare anche l’elemento soggettivo, e cioè la consapevole partecipazione alla frode da parte della cessionaria o quantomeno “che la stessa si fosse posta negligentemente posta in una condizione di non saperlo”;
22. nel riformare poi la decisione di primo grado, la CTR ha spiegato che essa aveva preso in considerazione precisi elementi presuntivi (tra i quali l’entità dei beni trasferiti, le dichiarazioni dei terzi, il prolungato rapporto tra cessionario ed emittente) e li aveva giudicati idonei a dimostrare “che il contribuente non poteva non sapere del comportamento fraudolento dell’intermediario” (pag. 8, primo capoverso della motivazione);
23. la CTR ha dunque correttamente applicato le regole sull’onere della prova, come elaborate dalla citata giurisprudenza, attribuendo all’Amministrazione l’onere, anche tramite presunzioni, di dimostrare non solo l’elemento oggettivo quanto l’elemento soggettivo in ordine all’inesistenza dell’inesistenza del fornitore, ma anche l’assenza di buona fede del cessionario in ordine a tale inesistenza, salvo poi concludere nel senso dell’effettivo assolvimento di tale onere nel caso di specie;
24. con il quinto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sen si dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omessa considerazione, da parte della sentenza impugnata, dei documenti prodotti dai contribuenti, dimostrativi del fatto che tutti gli acquisti sarebbero avvenuti da soggetti italiani;
25. il motivo è infondato;
26. la sentenza impugnata ha ricondotto le operazioni compiute dalla D. al fenomeno delle cd. frodi carosello, di cui ha offerto una analitica descrizione, spiegando che essa “si basa sull’intermediazione di operatori (generalmente fittizi) che provvedono a importare per conto dei rivenditori nazionali autoveicoli acquistati in ambito comunitario senza pagare l’IVA dovuta, ma fatturandola regolarmente nella cessione al rivenditore nazionale … tali operazioni, per andare a buon fine, devono essere però coperte da una regolare gestione documentale in cui risulta che il rivenditore in questione ha versato il tributo all’intermediario” (pag. 9, quarto cpv.);
27. su queste basi e ritenendo “assodato che non è in discussione la correttezza formale della documentazione contabile” (pag. 11, primo cpv.), la CTR ha poi ritenuto provato che gli operatori fossero in realtà enti fittizi e, partendo da questo elemento indiziario (e da altri), è giunta alla conclusione della sussistenza della frode (pag. 11);
28. alla luce di questi passaggi della motivazione, due sono le strade ipotizzabili;
29. a) o si ritiene che la CTR, dando per certa la correttezza formale dei documenti abbia ritenuto che anche l’intestazione delle fatture d’acquisto a soggetti italiani rientrasse nello schema della frode e costituisse il presupposto formalmente corretto per godere della detrazione dell’IVA, nel qual caso manca l’omissione dedotta dai ricorrenti e dunque il motivo è in realtà inammissibile;
30. b) o si ritiene che la CTR abbia trascurato tale elemento probatorio, nel qual caso però difetterebbe la decisività, perché, anche se esaminato, quell’elemento sarebbe stato soverchiato dagli altri elementi posti a base della decisione e non avrebbe dunque determinato un esito diverso della controversia (come invece tuttora è richiesto, anche nella vigenza del nuovo art. 360, comma 1, n. 5, secondo costante giurisprudenza, a partire da Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e fino a Cass. 29/10/2018, n. 27415);
31. con il sesto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omessa considerazione, da parte della sentenza impugnata, del fatto che l’acquisto e la vendita dei beni oggetto delle operazioni soggette a IVA sarebbero avvenuti a prezzi concorrenziali;
32. il motivo è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza;
33. i ricorrenti sostengono di aver dimostrato la non concorrenzialità dei prezzi di vendita degli autoveicoli e dunque di non aver tratto un reale vantaggio dalla supposta frode, avendo prodotto, nel corso del giudizio di primo grado, le fatture di acquisto e di vendita e gli estratti di una rivista specializzata, al fine di confrontare i prezzi praticati con quelli di mercato, e, nelle controdeduzioni d’appello, la richiesta di archiviazione del Pubblico ministero nell’ambito del procedimento penale;
34. nel far ciò, tuttavia, i ricorrenti non indicano specificamente in quale fase del giudizio di primo grado tali documenti siano stati prodotti, sì da consentire al Collegio di valutare la tempestività e la congruità della produzione documentale;
35. con il settimo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la falsa applicazione dell’art. 20 del d. lgs. 20 marzo 2000, n. 74, perché la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto dell’esito di archiviazione del procedimento penale iniziato nei confronti del ricorrente A.D.;
36. il motivo è infondato, poiché l’art. 20 del d. lgs. n. 74 del 2000 si limita a escludere la sospensione del processo tributario per la pendenza del procedimento penale sugli stessi fatti, senza regolare sotto nessun altro aspetto i rapporti tra i due procedimenti; d’altronde, in nessun passo della sentenza impugnata si rinviene un riferimento a un effetto sospensivo, neppure implicito, del procedimento tributario nei confronti del ricorrente per effetto della pendenza o dell’esito di quello penale, dovendosi pertanto escludere che la CTR abbia applicato l’art. 20;
37. con l’ottavo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omessa motivazione e la carenza di prova in ordine alla posizione del contribuente e alla indebita detrazione dell’IVA;
38. il motivo è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza;
39. il ricorrente A.D. sostiene di aver dimostrato la propria estraneità alla frode già in sede di contraddittorio con l’Ufficio (pag. 27 del ricorso), ma, oltre a non aver spiegato quali documenti avesse in tale sede prodotto, ha mancato anche di specificare in quale fase del giudizio di primo o secondo grado si sia discusso di tali questioni, sì da consentire al Collegio di valutare se le circostanze che si affermano non esaminate avessero formato oggetto di discussione tra le parti (come richiede l’art. 360, comma 1, n. , nuovo testo);
40. con il nono motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, l’omessa o carente motivazione in ordine alla verifica fiscale, eseguita dai funzionari regionali dell’Agenzia delle entrate;
41. il motivo è inammissibile, perché, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., è onere del ricorrente indicare in che senso il fatto su cui si sarebbe registrata l’omessa motivazione è decisivo ai fini del giudizio, ciò che il ricorrente non ha fatto, limitandogi a contestare il merito della motivazione della CTR;
42. ne consegue il rigetto del ricorso;
43. le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. nr. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidandole in complessivi euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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