CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 settembre 2020, n. 19637
Tributi – IVA – Eccedenza d’imposta – Soggetto estero – IVA di rivalsa su operazioni passive in Italia – Mancata indicazione del credito in dichiarazione – Diritto al rimborso
Fatti di causa
1. La L.L.D.S.M. S.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. dist. di Pescara, depositata il 15 novembre 2016, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il suo ricorso contro il silenzio rifiuto serbato dall’Ufficio su una sua istanza di rimborso di un credito i.v.a.
1.1. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che il credito vantato aveva ad oggetto l’i.v.a. di rivalsa assolta nell’anno 2006 in relazione ad operazioni passive poste in essere in Italia.
2 II giudice di appello ha disatteso il gravame della contribuente, rilevando che, in relazione al credito in oggetto, quest’ultima aveva presentato una prima istanza di rimborso ai sensi dell’art. 35-ter, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la quale era stata respinta dall’Amministrazione finanziaria per difetto del requisito della mancata residenza nel territorio italiano, con provvedimento non oggetto di impugnazione.
Ha evidenziato, quindi, che, ai fini del soddisfacimento del credito, avrebbe dovuto indicare lo stesso nella sua dichiarazione e che, conseguentemente, non era possibile attivare il rimedio esperito dell’azione di cui all’art. 21, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, atteso il suo carattere residuale.
3. Il ricorso è affidato a tre motivi.
4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
4. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 30, primo comma, e 38-ter, d.P.R. n. 633 del 1972, per aver la sentenza impugnata escluso il diritto della società contribuente al rimborso dell’eccedenza dell’i.v.a. detraibile in relazione alla mancata presentazione della relativa dichiarazione i.v.a.
2. Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni legislative, per aver il giudice di appello ritenuto che la presentazione di un’istanza di rimborso nelle forme errate dell’art. 38-ter, d.P.R. n. 633 del 1972, determinasse la consumazione del diritto di credito.
3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 30, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, e 21, d.lgs. n. 546 del 1992, per aver la Commissione regionale escluso che la contribuente potesse attivare il rimedio dell’azione di restituzione di cui a tale ultima disposizione, in ragione del suo carattere residuale e dell’assenza di rimedi tipici non utilizzati.
3.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono fondati.
La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad i.v.a. e finalizzati ad operazioni imponibili (così, Cass., Sez. Un., 8 settembre 2016, n. 17757).
Tale principio è coerente con la giurisprudenza unionale la quale ha ripetutamente affermato che «il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi» (così, tra le altre, Corte Giust., 11 dicembre 2014, Idexx).
Infatti, se per la migliore operatività dell’imposta armonizzata e per prevenire le frodi, è consentito introdurre particolari obblighi, questi non devono rimettere in discussione la neutralità dell’imposta, per cui l’amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo.
Il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è, dunque, ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta.
L’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza i.v.a., che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va, pertanto, riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, essendo, a tal fine, poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi.
3.2. Deve aggiungersi che la fattispecie in esame, avente ad oggetto un credito i.v.a. maturato con riferimento ad anno d’imposta in cui non risultava presentata la relativa dichiarazione, non può essere ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 30, d.P.R. n. 633 del 1972, che disciplina la detrazione o il rimborso della eccedenza d’imposta nell’ipotesi in cui il credito risulti dalla dichiarazione regolarmente presentata, la quale presuppone una dichiarazione ritualmente presentata.
Alla domanda di rimborso non rientrante tra quelle previste dall’art. 30, d.P.R. n. 633 del 1972, e perciò non contemplata da disposizioni specifiche, trova applicazione il rimedio residuale di all’art. 21, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, che consente la presentazione di una domanda di restituzione, nel rispetto del termine di due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione (cfr., in tema, Cass., ord., 11 maggio 2017, n. 11652).
4. La sentenza impugnata va, dunque, cassata e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. dist. di Pescara, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. dist. di Pescara, in diversa composizione.
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