CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 novembre 2020, n. 24891
Tributi – Accertamento – Ditta individuale – Indagini bancarie – Estensione della verifica ai familiari conviventi – Presunzione società di fatto
Rilevato che
La Guardia di Finanza di Vallo della Lucania – a seguito di una verifica parziale espletata nei confronti della ditta individuale G.A., esercente attività d’intermediazione immobiliare e di lavori edili, essendo emerse gravi irregolarità fiscali per il periodo dal 2000 al 2007 (la ditta, che aveva intrapreso l’attività nel 1998, risultava avere presentato un’unica dichiarazione dei redditi solo per l’anno 1999) – procedeva ad accertamenti bancari nei confronti del succitato A.G., che estendeva ad alcuni suoi familiari conviventi, precisamente al padre A.G. ed alla sorella M.A.G..
L’esito delle indagini bancarie era compendiato in duplice processo verbale di constatazione, notificato rispettivamente il 27 novembre 2007 ed il 24 ottobre 2008, a seguito dei quali l’Agenzia delle Entrate territorialmente competente, ipotizzando l’esistenza di una società di fatto tra i tre suddetti familiari, la cui gestione, quale amministratore di fatto era riconducibile al sig. A.G., notificava diversi avvisi di accertamento, all’A.G. quale amministratore di fatto dell’anzidetta società, per il recupero a tassazione dell’IVA e dell’IRAP non versate, nonché in proprio quale socio della stessa per la ripresa a tassazione dell’IRPEF in relazione ai maggiori redditi non dichiarati, derivanti dalla partecipazione alla società di fatto.
Ugualmente erano notificati ad A.G. ed a M.G. avvisi di accertamento quali soci dell’anzidetta società di fatto, avendo presunto l’Amministrazione finanziaria quote di partecipazione uguali tra i tre familiari.
Per quanto attiene alla presente vicenda processuale erano notificati ai predetti, separatamente, avvisi di accertamento relativamente all’anno d’imposta 2001.
Impugnati gli atti impositivi dai rispettivi destinatari, la Commissione tributaria provinciale (di seguito CTP) di Salerno, riuniti i ricorsi, li rigettò.
Avverso la sentenza della CTP di Salerno i contribuenti proposero appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Campania – sezione staccata di Salerno, cui l’Agenzia delle Entrate resistette con proprie controdeduzioni, ribadendo la legittimità del proprio operato.
Con sentenza n. 77/04/13, depositata il 30 gennaio 2013, non notificata, la CTR rigettò l’appello proposto dai contribuenti, confermando l’impugnata sentenza.
Avverso detta pronuncia della CTR della Campania – sezione staccata di Salerno – hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, A.G., in proprio e nella pretesa, da parte del fisco, qualità di amministratore di fatto, A.G. e M.G., contestando nuovamente i ricorrenti la ricostruzione validata dalla sentenza impugnata circa la sussistenza di una società di fatto tra i suddetti familiari, e conseguentemente, le rispettive qualità di amministratore di fatto e di soci della società medesima.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
In altra analoga controversia, chiamata alla medesima adunanza in camera di consiglio, avente il n. RG 20507/2013, è stata depositata memoria da parte contribuente, poi replicata, telematicamente, anche per il presente giudizio, a seguito del rinvio a nuovo ruolo dell’adunanza in camera di consiglio, originariamente fissata per l’11 marzo 2020, per le disposizioni derivanti dall’emergenza sanitaria, con nuova fissazione dell’adunanza ex art. 380 bis. 1, al 16 luglio 2020.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 37 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 51 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ..
I ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata erroneamente non avrebbe rilevato l’illegittimità della verifica fiscale espletata nei confronti dell’A.G., alla quale sono poi conseguiti gli accertamenti bancari espletati anche su conti correnti nelle disponibilità dei familiari in oggetto, sui quali A.G. aveva delega ad operare, atteso che la sede della ditta individuale dell’A.G. coincide con la sua abitazione, ragione per la quale l’accesso, tanto ai fini IVA (art. 52 del d.P.R. n. 633/1972), quanto ai fini delle imposte dirette (giusta il rinvio alla succitata norma operato dall’art. 33, primo comma, del d.P.R. n. 600/1973), doveva essere autorizzato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vallo della Lucania, non potendo a tale mancanza sopperire il successivo decreto del Procuratore medesimo quanto all’autorizzazione, per l’utilizzazione a fini fiscali, degli accertamenti bancari.
2. Con il secondo motivo i contribuenti sviluppano ugualmente duplice ordine di censure, per violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 37 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 51 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e per insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., lamentando che, erroneamente, la sentenza impugnate non ha rilevato la nullità degli atti impositivi perché emessi all’esito di procedimento viziato, anche in ordine all’acquisizione dei dati relativi ai conti correnti, ivi compresi quelli dei familiari, da ritenersi terzi rispetto alla verifica fiscale riguardante la ditta individuale G.A., per il quale soltanto risultava rilasciata l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, priva, peraltro, dell’indicazione dei gravi indizi di violazione della legge fiscale.
3. Con il terzo motivo di ricorso i contribuenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 37 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 51 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché violazione degli artt. 7, primo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212, e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., ed ancora insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., laddove la sentenza impugnata ha escluso che gli atti impositivi fossero carenti sotto il profilo motivazionale, come invece dedotto dai contribuenti, per mancata allegazione ai medesimi (e/o per mancata riproduzione del contenuto), dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria e degli atti presupposti.
4. Con il quarto motivo i contribuenti lamentano violazione dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ed ancora insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato la relativa questione riproposta come motivo d’appello dai contribuenti, circa l’eccepita nullità degli atti impositivi per mancata osservanza dell’anzidetto termine di sessanta giorni tra la notifica del processo verbale di constatazione e quella degli avvisi di accertamento.
5. Con il quinto motivo i contribuenti denunciano violazione dell’art. 12, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ed insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di rilevare la nullità della verifica espletata, essendo stata omessa, all’inizio della medesima, l’informazione al contribuente, prevista dalla citata norma dello Statuto del contribuente, circa le ragioni che l’abbiano giustificata e l’oggetto che la riguarda, ciò comportando, secondo i ricorrenti, la nullità di tutti gli accertamenti effettuati.
6. Con il sesto motivo i contribuenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2247 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ed insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., peraltro attraverso un’erronea esposizione dei fatti processuali, come di qui a breve avrà modo di chiarirsi, nella parte in cui la sentenza impugnata ha riconosciuto la sussistenza di società di fatto tra i tre familiari G. e la qualità di amministratore di fatto della stessa in capo al G.A., sebbene mancasse la prova in atti degli elementi fattuali che la giurisprudenza di questa Corte considera occorrenti come indici rivelatori della sussistenza di società di fatto.
7. Infine, con il settimo motivo di ricorso, i contribuenti denunciano violazione degli artt. 3 e 74 della legge 29 settembre 1973, n. 597 (ndr artt. 3 e 74 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597), 32, 38, 39 e 41 del d.P.R. 29 settembre n. 600, 51 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha riconosciuto, a fronte dell’accertamento induttivo di ricavi non contabilizzati e dunque di reddito imponibile non dichiarato in ragione dell’esercizio di fatto di un’attività sociale, quei costi incidenti sulla loro formazione, sebbene non risultanti dalla contabilità né dalla dichiarazione.
8. Appare necessario svolgere una premessa di carattere comune a tutti i motivi di ricorso, nei quali i contribuenti hanno ritenere di cumulare un duplice ordine di censure, per violazione, o falsa applicazione di norme di diritto e per carenza di motivazione.
8.1. Quest’ultimo è stato riferito, in ogni motivo di ricorso, quanto all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ad una delle sue formulazioni anteriori alla modifica da ultimo apportata dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 134.
8.1.1. Nella fattispecie in esame è dato rilevare la sentenza impugnata è stata depositata in data 30 gennaio 2013, nella vigenza, ormai, del testo novellato dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che delinea il vizio di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
8.1.2. Orbene, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054): «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciarle in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione».
8.1.3. Onde, a seguito della riforma del 2012 – proseguono le Sezioni Unite – scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
8.2. Ne consegue l’inammissibilità di ogni censura, nell’ambito di ciascuno dei motivi di ricorso, riferita alla denunciata insufficienza motivazionale, risultando la sentenza impugnata idonea a consentire appieno il controllo su ciascuna delle rationes decidendi, come d’altronde si evince dalla stessa articolazione dei diversi motivi da parte dei contribuenti in ordine alle denunciate violazioni o false applicazioni di norme di diritto contestualmente dedotti.
9. Venendo all’esame di queste ultime, il primo motivo di ricorso è inammissibile.
9.1. L’Amministrazione finanziaria, nel proprio controricorso, ha eccepito l’inammissibilità del motivo, stante la novità della questione, dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, non essendo essa stata mai sollevata nei gradi di merito.
9.2. Rilevato che nella sentenza impugnata non vi è traccia alcuna della relativa problematica, era onere dei contribuenti ricorrenti esplicitare quando e dove la relativa questione, concernente il difetto dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 52, primo comma, del d.P.R. n. 633/1972 e 33, primo comma, del d.P.R. n. 600/1973, ad eseguire l’accesso presso la sede della ditta G.A., essendo quest’ultima coincidente con la casa di abitazione del titolare della ditta medesima, fosse stata posta dinanzi al giudice tributario di merito.
9.3. Detto onere è rimasto inadempiuto da parte dei contribuenti, pur a seguito del deposito di memoria, atteso che nulla è stato in proposito addotto in replica all’avversa eccezione d’inammissibilità della questione per la sua proposizione, per la prima volta, nel giudizio di cassazione.
9.4. Il motivo pertanto incorre in palese difetto di autosufficienza, ciò determinandone l’inammissibilità (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 13 dicembre 2019, n. 32804; Cass. sez. 1, 22 dicembre 2005, n. 28480).
10. Il secondo motivo è infondato.
10.1. Una volta dichiarata l’inammissibilità del primo motivo, non sussiste, infatti, l’eccepita nullità derivata degli accertamenti bancari disposti a seguito della verifica fiscale eseguita presso la ditta G.A..
10.2. Rimane, pertanto, priva di autonomo rilievo, pure la censura relativa al difetto di motivazione della diversa autorizzazione, acquisita agli atti del giudizio di merito, del Procuratore della Repubblica all’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari.
10.3. Premesso che essa ha espressamente previsto (trattasi di fatto non controverso), nell’ambito di procedimento penale, la facoltà di utilizzazione ai fini fiscali, in deroga all’obbligo di segreto di cui all’art. 329 cod. proc. pen., dei dati acquisiti – ciò che rende sicuramente utilizzabili ai fini della notificazione degli avvisi di accertamento, l’esito degli accertamenti bancari espletati, risultanti da prospetti allegati al processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza resi noti alle parti – è evidente che il riferimento alla necessità dell’indicazione della sussistenza dei gravi indizi di violazione delle norme fiscali, di cui i contribuenti lamentano la mancanza, è previsto dalle norme di cui in epigrafe in relazione all’accesso domiciliare per il quale necessiti l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ai sensi degli artt. 52 del d.P.R. n. 633/1972 e 33 del d.P.R. n. 600/1973.
11. Il terzo motivo è inammissibile in relazione all’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ. (cfr. Cass. SU 21 marzo 2017, n. 7155).
11.1. Questa Corte ha più volte affermato la legittimità della motivazione per relationem dell’avviso di accertamento col contenuto del processo verbale di constatazione già conosciuto dal destinatario (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 20 dicembre 2018, n. 32597; Cass. sez. 5, 20 dicembre 2017, n. 30560), e tale indirizzo va ribadito in questa sede, non avendo i ricorrenti offerto, nell’illustrazione delle relative censure, nuovi elementi idonei a giustificare il mutamento di detto indirizzo.
12. Ugualmente è inammissibile il quarto motivo, col quale i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 12, settimo comma, della l.n. 212/2000 per non essere stato rispettato il termine dilatorio previsto da detta norma di sessanta giorni, salvo casi di particolare e motivata urgenza, tra il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni e la notifica dell’avviso di accertamento, in modo da consentire al contribuente di comunicare osservazioni e richieste da valutarsi da parte dell’ufficio impositore.
12.1. Vero è che la CTR, nella sentenza impugnata, nel respingere il relativo motivo di gravame dei contribuenti avverso la sentenza di primo grado con la motivazione che ciò implicherebbe mera irregolarità e non nullità dell’accertamento, ritenendo altresì l’urgenza immanente nella prossimità del decorso del termine di decadenza (in ciò ponendosi in contrasto con i principi affermati da Cass. SU 29 luglio 2013, n. 18184 e successiva giurisprudenza conforme), sembra supporre che, nel caso di specie, detto termine non sia stato rispettato.
12.2. Tuttavia, atteso che l’Amministrazione finanziaria nel proprio controricorso ha espressamente contestato che vi sia stata violazione di detto termine, assumendo che gli atti impositivi sarebbero stati notificati nell’aprile 2009, ben oltre i sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione in data 24 ottobre 2008, era onere dei contribuenti, in relazione al requisito della specificità del motivo di ricorso, chiarire esattamente le rispettive date ed indicare la relativa allocazione degli atti nel giudizio di merito onde consentire alla Corte la verifica di quanto addotto.
12.3. I ricorrenti sono venuti meno a detto onere, non solo non specificando nel corpo del motivo di ricorso le relative date, ma aggiungendo ulteriori elementi di confusione nella memoria, in cui dapprima si assume che il processo verbale di constatazione sarebbe stato notificato il 4 dicembre 2008, mentre ciascun contribuente avrebbe ricevuto notifica dell’avviso di accertamento di cui era destinatario il 4 aprile 2009 (con l’osservanza, in tal caso, del termine succitato), salvo, poi a dire (pag. 11) che il processo verbale di constatazione sarebbe stato consegnato (“redatto”) il 24 ottobre 2008, con notifica degli avvisi di accertamento in data 4 dicembre 2008.
12.4. Non essendo in questo caso la Corte, con riferimento al vizio denunciato, correttamente riferito all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giudice del fatto processuale, deducendosi la nullità degli avvisi di accertamento che si sarebbe verificata anteriormente al processo, il difetto di specificità del motivo nel precisare con chiarezza le date della consegna del processo verbale di constatazione e di notifica degli avvisi di accertamento, essenziale al suo scrutinio da parte della Corte, impone la declaratoria di inammissibilità del motivo stesso, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..
13. Il quinto motivo, nella parte in cui prospetta l’error in iudicando che vizierebbe la sentenza impugnata per non avere rilevato la nullità della verifica fiscale espletata in relazione all’omissione, all’inizio della verifica medesima, dell’informazione al contribuente di cui all’art. 12, secondo comma, della citata legge n. 212/2000, incorre, anch’esso, così come già rilevato in ordine al terzo motivo, nella c.d. inammissibilità meritale, secondo quanto chiarito dalla citata Cass. SU n. 7155/2017.
13.1. L’esposizione della censura non si confronta, infatti, con il consolidato indirizzo espresso in materia dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 28 dicembre 2018, n. 33572; Cass. sez. 5, ord. 9 novembre 2018, n. 28612), secondo cui «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto ad accertamenti fiscali, l’Amministrazione finanziaria non ha l’onere di comunicare preventivamente l’oggetto della verifica, atteso che nel procedimento tributario un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a pena d’invalidità dell’atto non sussiste al momento della raccolta delle informazioni e degli elementi di prova, ma solo, eventualmente e ove espressamente sancito, in una fase successiva, quando l’Amministrazione intenda adottare nei confronti di un contribuente, sulla base dei dati raccolti, un atto potenzialmente lesivo», né, pertanto, offre elementi atti a determinare un mutamento del succitato indirizzo.
14. Il sesto motivo è del pari inammissibile in relazione ad un duplice profilo.
14.1. In primo luogo l’esposizione del fatto processuale non è conforme all’effettivo svolgimento del processo, facendosi riferimento ad appello che sarebbe stato proposto dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, del quale i contribuenti avrebbero eccepito il difetto di specificità, laddove l’appello è stato in questo caso proposto dai contribuenti avverso la sentenza della CTP che ne ha determinato la soccombenza in primo grado.
14.2. In secondo luogo, per effetto della già affermata inammissibilità della censura, contestualmente formulata nel sesto motivo di ricorso in esame, quanto alla lamentata carenza motivazionale in relazione al parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è ormai intangibile l’accertamento svolto dal giudice di merito in punto di affermata sussistenza di società di fatto tra i tre familiari G.. A ciò consegue che, essendo stata ciascuna decisione sulla questione in oggetto mediata dall’esame delle risultanze istruttorie da parte del giudice tributario d’appello, la censura riferita al vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 2247 cod. civ., circa l’insussistenza, in astratto, degli indici rivelatori della costituzione di una società di fatto tra i tre familiari G., non può incidere sull’accertamento di fatto, che ha acquisito definitività, riguardo all’affermata sussistenza, da parte della CTR, tra questi della società di fatto, il cui amministratore è stato individuato nel sig. A.G..
15. Il settimo motivo, infine, va anch’esso dichiarato inammissibile in relazione al disposto dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ..
15.1. I ricorrenti, nel lamentare che l’impugnata sentenza non avrebbe considerato che, ad un maggior reddito d’impresa non dichiarato, accertato induttivamente, dovevano corrispondere maggiori costi idonei a determinarlo, trascurano la circostanza che, nella fattispecie in esame, l’esistenza di una società di fatto tra i G., con i relativi ricavi dalla stessa conseguiti, è stata rilevata anche a mezzo delle movimentazioni bancarie sui rispettivi conti correnti, donde l’esistenza di presunzione legale relativa, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, dell’equiparazione a ricavi sia dei versamenti, sia dei prelevamenti, salvo che il contribuente non provi che i versamenti siano stati registrati in contabilità e che i prelevamenti, anziché costituire acquisizione di utili, siano serviti al pagamento di determinati beneficiari.
15.2. A fronte di ciò, pertanto, i ricorrenti, dovevano opporre una prova contraria circa la sussistenza e l’entità di detti costi e non potevano limitarsi, così come, invece, in concreto, hanno fatto nel motivo di ricorso in esame, a contrapporre una mera affermazione di carattere generale in punto di sussistenza di costi deducibili, atteso che non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti, mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 24 luglio 2012, n. 13035; Cass. sez. 5, 6 ottobre 2010, n. 20735; Cass. sez. 5, 9 settembre 2005, n. 18016).
16. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere pertanto rigettato.
17. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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