CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2020, n. 24775
Stato passivo del Fallimento – Credito a titolo di TFR ed ultime tre mensilità – Difetto di prova – Mancata sottoscrizione delle buste paga prodotte – Assenza di data certa
Rilevato che
1. con decreto 23 marzo 2017, il Tribunale di Siracusa rigettava l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 98 l. fall.., da E.S. avverso lo stato passivo del Fallimento L. s.r.l., da cui era stata escluso il credito, dalla medesima insinuato, di € 10.696,69 a titolo di T.f.r. e ultime tre mensilità (novembre e dicembre 2011 e gennaio 2012). Esso ne riteneva il difetto di prova per la mancata sottoscrizione delle buste paga prodotte, in violazione dell’art. 1 L. 4/1953, nell’inapplicabilità dell’art. 2735 c.c. e nella loro inopponibilità, in assenza di data certa, al curatore avente qualità di terzo in sede di accertamento dello stato passivo. Né l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato (asseritamente dal 10 novembre 2010 al 17 gennaio 2012) era sostenuta da idonea documentazione e neppure dalla prova testimoniale esperita, essendo anzi risultata la dismissione dalla società del compendio aziendale, comodato in uso a terzi il 20 novembre 2011;
2. con atto notificato il 21 aprile 2017, E.S. ricorreva per cassazione avverso il decreto con tre motivi, cui la curatela fallimentare resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.;
3. il P.G. rassegnava le proprie conclusioni, a norma dell’art. 380bis 1 c.p.c., nel senso dell’accoglimento del ricorso;
Considerato che
1. la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1 L. 4/1953, 115, primo comma e 116 c.p.c., 2697, 2704 e 2735 c.c., per erronea esclusione del credito da rapporto di lavoro subordinato, validamente provato dalle buste paga recanti (ancorché non la sottoscrizione o la sigla datoriale, tuttavia) il timbro di L. s.r.l., non essendo poi state disconosciute dalla curatela, che anzi ne aveva dichiarato in memoria difensiva la provenienza dall’azienda, trattandosi di documentazione meccanicamente elaborata dal suo consulente e pertanto pienamente comprovanti l’esistenza del rapporto di lavoro; peraltro, risultando comprovata l’esistenza del rapporto dal cd. Unificato Lav o UNILAV (individuante tutti gli elementi del rapporto di lavoro tra le parti ed equivalente, per la sua forma scritta a norma dell’art. 4, primo comma D.M. Lavoro 30 ottobre 2007, in G.U. n. 299 del 27 dicembre 2007, ad una lettera di assunzione o ad un contratto di lavoro, siccome recante tutte le informazioni prescritte dall’art. 1, primo comma d.lg. 152/97), prodotto nel giudizio di opposizione ed opponibile, in quanto munito di data certa di trasmissione al curatore, che neppure lo aveva contestato (primo motivo);
2. esso è infondato;
2.1. in via di premessa, giova ribadire il principio generale di terzietà del curatore in sede di accertamento del passivo (Cass. 12 agosto 2016, n. 17080; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21273; Cass. s.u. 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass. s.u. 28 agosto 1990, n. 8879), essendo peraltro noto che l’inopponibilità riguardi la data della scrittura prodotta, ma non il negozio: sicché, esso e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso (Cass. 7 ottobre 1963, n. 2664; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4705; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2319; Cass. 22 marzo 2018, n. 7207);
2.2. il Tribunale ha correttamente applicato (a pg. 2, terzo capoverso, prima parte del decreto) i principi in materia di efficacia probatoria, in merito al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro e pienamente valide come prova, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro (Cass. 1 settembre 2015, n. 17413): ferma restando, tuttavia, la facoltà della curatela controparte di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 5 luglio 2019, n. 18169; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32395);
2.3. nel caso di specie, esse sono, in particolare, consistite nell’opposizione, da parte del curatore: del mancato rinvenimento in contabilità di riscontro alcuno del rapporto di lavoro; dell’insufficienza della documentazione prodotta; della concessione il 20 novembre 2011 dalla società fallita a terzi in comodato d’uso dell’immobile e dei beni strumentali per l’esercizio dell’attività; sicché, il Tribunale ha accertato, in esito ad un attento ed argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie nella loro complessiva acquisizione (inidoneità della dichiarazione Unilav, in assenza di produzione del contratto o del libretto di lavoro, né del CUD e genericità, oltre che inattendibilità, dei testi escussi: così agli ultimi due capoversi di pg. 2 del decreto), la carenza di prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato;
2.4. il motivo si risolve allora nella contestazione della valutazione probatoria a fondamento dell’accertamento in fatto del Tribunale, insindacabile in sede di legittimità qualora esso, come nel caso di specie, sia congruamente argomentato, tenuto conto del rigoroso ambito devolutivo circoscritto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415);
3. la ricorrente deduce poi violazione o falsa applicazione degli artt. 2099, 2119, secondo comma c.c. e 36 Cost., per la spettanza del credito per ultime tre mensilità (novembre e dicembre 2011 e gennaio 2012) e T.f.r. insinuato allo stato passivo, sul presupposto della comprovata esistenza del rapporto di lavoro, vigente fino alla sua risoluzione, non avvenuta prima del fallimento, essendovi stata solo una ininfluente “flessione o addirittura un azzeramento” dell’attività, con la cessione in godimento a terzi del capannone industriale da fine novembre 2011, ad esclusione degli uffici amministrativi (secondo motivo);
4. esso è assorbito dal rigetto del primo;
5. la ricorrente deduce infine violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto la propria soccombenza, nonostante la fondatezza della domanda (terzo motivo);
6. esso è inammissibile;
6.1. non si tratta, infatti, di una censura in senso tecnico, ma di una generica lamentela sull’esito del giudizio d’appello, sul presupposto ipotetico di un accoglimento, che sarebbe spettato, della domanda, invece rigettata con la conseguente soccombenza denunciata come erronea;
3. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna la lavoratrice alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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