CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2020, n. 26532
Tributi – IRES – Cessione quote di partecipazione – Plusvalenza – Agevolazione participation exemption – Maggior versamento non dovuto – Credito – Rimborso – Legittimità
Ritenuto che
La società S. srl in liquidazione proponeva opposizione al silenzio rifiuto dell’Agenzia delle Entrate in merito ad una istanza di rimborso di euro 541.926, versata nell’ambito dell’IRES per l’anno 2007, come conseguenza della asserita erronea indicazione di una plusvalenza derivante dalla cessione di quote di sua proprietà nella partecipata B.M. srl, avvenuta nel 2007, mentre tale plusvalenza avrebbe dovuto essere parzialmente esente ai sensi dell’art. 87 del dpr 917 del 1986 (c.d. participation exemption).
La CTP di Napoli rigettava il ricorso per mancanza di uno dei requisiti necessari per l’applicazione dell’agevolazione, e cioè quello della commercialità della società partecipata nei tre anni anteriori al realizzo, mentre la CTR della Campania accoglieva l’appello della società, ritenendo che l’appellante avesse provato un, seppur ridotto, svolgimento di attività commerciale effettiva, e spettasse all’ufficio dimostrare il contrario.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ufficio sulla base di un motivo.
Si costituisce la società con controricorso.
Considerato che
Con l’unico motivo l’ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 87 comma 1 lett. d) tuir, nonché dell’art. 2697 c.c.(art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.).
La CTR ha errato nel ritenere nella specie applicabile l’istituto della participation exemption, mancando uno dei requisiti di cui all’art. 87 tuir e, in particolare, quello della commercialità della società partecipata nei tre periodi di imposta anteriori al realizzo.
Il motivo è inammissibile.
Lo stesso coinvolge, infatti, esclusivamente valutazioni di fatto attinenti alla natura commerciale o meno dell’attività svolta dalla società controllata.
Va premesso, infatti, che il regime agevolativo della c.d. participation exemption, invocato dalla contribuente, spetta a condizione, tra l’altro, che la società partecipata svolga attività commerciale.
Al riguardo, si veda diffusamente sul suddetto istituto, nonché sul requisito della commercialità, sez. V, n. 12138 del 2019.
Nella specie, la CTR ha riconosciuto tale requisito, ritenendo così che la contribuente avesse diritto all’agevolazione, mentre l’ufficio contesta tale conclusione, sostenendo che, poiché la società partecipata non svolgeva attività commerciale, il regime suddetto non sarebbe applicabile, e non spetterebbe quindi il richiesto rimborso.
La CTR ha affermato correttamente tale principio dopo di che, ha deciso sulla base di un’analisi degli elementi di fatto.
Ora, nel ricorso l’ufficio denuncia che la CTR ha disatteso la tesi della non commercialità dell’azienda partecipata (B.M. srl) affermando che quest’ultima si basava solo sulla esiguità del volume d’affari nell’anno 2004 (euro 6.500); l’ufficio sostiene invece che la non commercialità doveva essere valutata sulla base della carenza di struttura organizzativa, della non titolarità di utenze della assenza di costi di locazione di immobili, della assenza di dipendenti e di beni.
Il motivo prosegue ribadendo che la verifica dello svolgimento di attività commerciale deve essere fattuale, ed elenca una serie di circostanze di fatto relative all’attività della società, che confermerebbero la mancanza di svolgimento di attività commerciale (identità di sede sociale con la controllante, di cui si adombra in questo modo la fittizietà, scarsità di fatture attive e passive che, peraltro, avevano determinato in capo alla controllata una perdita, lasciando intendere che queste fossero incompatibili con una reale attività commerciale).
Così facendo, però, il motivo si traduce in maniera evidente nella sostanziale richiesta a questa Corte di rivalutare elementi fattuali, non consentita in questa sede.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico dell’ufficio ricorrente e, considerato il valore della causa, si liquidano in euro 6.000.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in euro 6.000 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
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