CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 febbraio 2021, n. 3083
Tributi – Accertamento – Costi per acquisti da società “cartiere” – Presunzione di compartecipazione alla frode fiscale – Onere di prova contraria – Asseverazione della contabilità – Insufficiente
Rilevato che
Con sentenza n. 163/28/12, depositata il 28 novembre 2012 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, avverso la sentenza n. 203/3/11 della Commissione provinciale tributaria di Pavia che aveva accolto i ricorsi della F. srl (consolidante) e della P.I. srl (consolidata) contro gli avvisi di accertamento per imposte dirette ed IVA 2002-2004-2005.
La CTR, per quanto in questo giudizio rileva, osservava in particolare che, pur essendovi dubbi non infondati circa la natura di “cartiere” di alcune tra le società intrattenenti rapporti commerciali con le ricorrenti, l’Ente impositore non aveva assolto pienamente il proprio onere di provare la compartecipazione della P.I. – alla frode IVA in contesto, in quanto era stato dalla società asseverato, contabilmente e documentalmente, di avere ricevuto, pagato e regolarmente rivenduto le merci oggetto della fatturazione contestata, sicché in ultima analisi non si potevano avere dubbi sull’effettività delle correlative operazioni; rilevava inoltre che analoghe considerazioni avevano indotto il giudice penale al proscioglimento del legale rappresentante prò tempore di P.I. dall’accusa mossagli ex art. 2, d.lgs. 74/2000 in relazione all’annualità 2003.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
Resistono con controricorso le società contribuenti.
Considerato che
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 2697, 2729, 39, comma 1, lett. d), dPR 600/1973, 19, 54, comma 2, dPR 633/1972, 109, TUIR, poiché la Commissione tributaria regionale, pur ammettendo che le società cedenti i beni oggetto delle fatture contestate erano da considerarsi delle “cartiere” ossia soggetti inesistenti/evasori totali, ribaltando tuttavia il conseguente onere probatorio e ritenendo sufficiente la prova della regolarità contabile e finanziaria delle operazioni contestate, aveva affermato l’infondatezza delle riprese correlativamente portate dagli atti impositivi impugnati.
La censura è fondata.
Va ribadito che:
– «In tema d’I.V.A., l’Amministrazione finanziaria, che contesti la cd. “frode carosello”, deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di “cartiera”, l’inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’I.V.A.) e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente, che ha portato in detrazione l’I.V.A, la prova contraria di aver concluso realmente l’operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni, non essendo a tal fine sufficiente la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti» (Cass. n. 17818 del 09/09/2016, Rv. 640767 – 01);
-«In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (Cass., n. 9851 del 20/04/2018).
La CTR lombarda ha assunto una decisione in chiaro contrasto con più aspetti di tali principi di diritto ed in particolare ha dato rilievo determinante/dirimente alla regolarità contabile/finanziaria delle operazioni, completamente ed ingiustificatamente svalutando la pacifica natura di “cartiere” delle società cedenti delle merci.
Il giudice tributario di appello inoltre quanto al profilo della “consapevolezza” da parte della P.I. della natura frodatoria delle transazioni in contestazione, si è limitata a valorizzare l’assoluzione penale del suo legale rappresentante (péraltro per un’annualità fiscale diversa), così ponendosi in altrettanto evidente contrasto con principi di diritto secondo i quali «Nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare» (Cass., n. 10578 del 22/05/2015, Rv. 635637 – 01); «In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commésso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario» (Cass. n. 8129 del 23/05/2012); «In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.),. deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio» (Cass., n. 28174 del 24/11/2017, Rv. 646971 – 01).
In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR affinchè, attenendosi agli enunciati principi di diritto, proceda a nuovo esame della controversia e provveda anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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