CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 marzo 2021, n. 7329
Imposte dirette – Deduzioni – Compensi agli amministratori non deliberati in assemblea – Indeducibilità
Rilevato che
1. La società U. s.r.l. impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale di Genova l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate le aveva contestato ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 un maggior reddito di impresa, un maggior valore della produzione netta a fini IRAP, nonché minori costi a fini IVA, e irrogato sanzioni, chiedendo, in via principale, l’annullamento dell’atto impositivo e, in subordine, il riconoscimento della deducibilità delle spese relative all’acquisto di carburante, nonché di tutti gli oneri corrisposti agli amministratori della società.
Avverso la decisione di rigetto la contribuente propose appello reiterando le deduzioni e le richieste svolte in primo grado.
Con sentenza n. 90/02/14, depositata il 28 gennaio 2014, la Commissione tributaria regionale della Liguria riformò parzialmente la decisione impugnata, ritenendo fondata la censura con la quale la contribuente aveva lamentato il mancato riconoscimento della deducibilità dell’intero compenso corrisposto agli amministratori, in considerazione del fatto che ne risultava documentata la corresponsione ai soci, che era stata prodotta la dichiarazione del reddito percepito dall’amministratore socio e che nel verbale dell’assemblea l’erogazione dei compensi risultava, sia pure in parte, deliberata, così che l’omessa deduzione si risolveva in una doppia tassazione non consentita.
3. Avverso tale pronuncia ricorre l’Agenzia delle entrate affidandosi ad un unico motivo.
La società U. s.r.l. resiste con controricorso illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso si denunzia – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la falsa applicazione dell’art. 95 del d.P.R. n. 917 del 1986 e degli artt. 2389, primo comma, e 2364, primo comma, nn. 1 e 3, cod. civ.
L’Amministrazione ricorrente, dopo aver precisato che la questione sottoposta a questa Corte riguarda esclusivamente la deducibilità della parte dei compensi corrisposti dalla società contribuente ai propri amministratori (in misura di € 113.300,00),
che non risulta supportata da una delibera dell’assemblea, richiama l’orientamento di legittimità secondo il quale, ai fini della deducibilità di tale onere, non è sufficiente la mera approvazione del bilancio nel quale il compenso è accolto, occorrendo, per contro, una deliberazione esplicita.
1.1. In via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione formulata dalla U. s.r.l. sul presupposto che si sarebbe formato il giudicato sul capo della sentenza qui gravata, con il quale è stato stabilito che «risulta per tabulas (mod. 770/2007) sia la corresponsione ai soci nonché la dichiarazione del reddito percepito dall’amministratore socio, oltre al fatto che nel verbale dell’assemblea si è deliberata seppure solo in parte l’erogazione dei compensi. Sicché l’omessa deduzione si risolve di fatto in una doppia tassazione non consentita».
Ad avviso della controricorrente, poiché il ricorso per cassazione investe la sola falsa applicazione dell’art. 95 del d.P.R. n. 917 del 1986, senza che alcuna deduzione sia stata svolta sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 163 del predetto decreto, l’affermazione secondo la quale i costi in questione sarebbero deducibili in applicazione del divieto di doppia imposizione sarebbe divenuta definitiva.
Il rilievo non merita condivisione in quanto non si confronta con il principio secondo il quale il giudicato interno si forma soltanto sulle parti della sentenza concernenti questioni che siano indipendenti da quelle investite dai motivi di impugnazione, mentre non si determina sull’effetto – quale è, nel caso di specie, la doppia tassazione che, ad avviso dei giudici d’appello, scaturirebbe dal mancato riconoscimento della deducibilità del costo relativo al compenso per gli amministratori – della qualificazione della fattispecie alla stregua di un determinato paradigma normativo.
Poiché soltanto una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, è suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, l’impugnazione che riguardi uno soltanto di tali elementi, riapre la cognizione sull’intera questione che forma oggetto della ridetta statuizione, la quale, quindi, può essere nuovamente considerata anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di impugnazione (Cass. Sez. 2, 7/5/2020, n. 8645; Cass. Sez. 2, ord. 17/4/2019, n. 10760; Cass. Sez. 6-L, ord. 8/10/2018, n. 24783; Cass. Sez. L, 4/2/2016, n. 2217; Cass. Sez. 2, 28/9/2012, n. 16583).
2. Il ricorso erariale è fondato.
Secondo un indirizzo interpretativo ampiamente condiviso da questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, primo comma, cod. civ., non sia stabilita nell’atto costitutivo, è necessaria un’esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio (in questi termini Cass. Sez. 6-5, ord. 8/6/2016, n. 11779; Cass. sez. 5, 4/9/2013, n. 20265; Cass. Se. 5, 19/7/2013, n. 17673; Cass. Sez. U., 29/8/2008, n. 21933).
E’ stato, inoltre, precisato che la necessità della preventiva delibera assembleare è funzionale alla certezza del costo (Cass. Sez. 5, 7/3/2014, n. 5349; Cass. Sez. 5, 28/10/2015, n. 21953).
Pertanto, i compensi corrisposti agli amministratori non sono deducibili se non previamente deliberati (Cass. Sez. 5, n. 5349 del 2014, cit.), atteso che la specifica delibera assembleare costituisce la fonte dell’obbligazione patrimoniale (Cass. Sez. 5, n. 21953 del 2015, cit.).
Occorre, infine, precisare che, contrariamente a quanto opinato dalla controricorrente, l’adesione alla richiamata impostazione non conduce alla violazione del divieto di doppia imposizione previsto dall’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, dal momento che tale previsione postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto, condizione che non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni (in questi termini Cass. Sez. 5, 21/12/2018, n. 33217; Cass. 20/2/2020, n. 4400; Cass. Sez. 5, 16/6/2011, n. 19687).
La Commissione tributaria regionale della Liguria, riconoscendo la deducibilità, da parte della U. s.r.I., dei compensi corrisposti ai propri amministratori, nonostante la delibera assembleare li avesse approvati solo in parte, e ritenendo a tal fine sufficiente la prova del relativo versamento e la produzione della dichiarazione dei redditi degli stessi amministratori, non si è uniformata ai suindicati principi.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio per nuova decisione alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione, alla quale è demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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