CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 maggio 2021, n. 14990
Licenziamento collettivo – Violazione dei criteri di scelta – Cambio di mansione pochi mesi prima del recesso
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 1, co. 47 e segg. L. n. 92/12, depositato il 14 luglio 2017, la T. adiva il Tribunale di Milano lamentando la illegittimità del licenziamento intimatole dalla P.C.R. Italia (PCR) il 27.12.16 al termine della procedura di mobilità ex L. 223/91 adottata nell’ottobre 2016 (e conclusasi con accordo sindacale) nella quale si denunciava un esubero di 7 unità lavorative.
In particolare la ricorrente, impiegata inquadrata nel 2° livello, lamentava di aver sempre svolto la mansione di “antenna garanzia” nell’ambito del settore “garanzie” sino al dicembre 2015 allorquando, a seguito della soppressione della relativa mansione, veniva adibita ad altre dequalificanti mansioni con l’intento di allontanarla dalla compagine aziendale per poi venire licenziata nell’ambito del suddetto licenziamento collettivo in quanto la mansione da ultimo svolta, ossia quella di “addetto archivio” (ricoperta dal luglio 2016), era stata dichiarata in esubero.
Lamentava dunque la ricorrente che, essendo stata adibita da parte della società alla mansione di “addetto archivio” solo “temporaneamente”, non avrebbe dovuto essere inserita tra i profili in esubero.
Chiedeva pertanto la condanna della società resistente alla reintegra nel posto di lavoro con pagamento delle mensilità medio-tempore maturate o in subordine la condanna al pagamento dell’indennità di cui all’art. 18 S.L.
Si costituiva la PCR contestando l’asserito comportamento vessatorio, precisando come i cambi di mansione fossero determinati dalla soppressione della funzione di “antenna garanzie” sin dal dicembre 2015; che già dall’apertura della mobilità (ottobre 2016) era stata indicata la soppressione della mansione di “addetta archivio” che era quella da ultimo ricoperta dalla T. (dal luglio 2016), e che tale procedura era stata vagliata dalle parti sociali, le quali avevano dato atto della correttezza della procedura.
All’esito della discussione orale, il primo giudice emetteva ordinanza di parziale accoglimento del ricorso presentato dalla T. ed in particolare annullava il licenziamento e condannava la resistente alla reintegra della T. nel posto di lavoro ed al pagamento dell’indennità risarcitoria nel limite massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto percepita, detratto l’eventuale aliunde perceptum.
Proponeva opposizione la società.
Il Tribunale con sentenza n. 1571/18 confermava l’ordinanza opposta e l’illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta, chiarendo che ciò derivava dalla collocazione presso l’archivio solo provvisoria e solo da poco assegnata alla T.
Avverso tale sentenza proponeva reclamo la società; la T. resisteva all’impugnazione.
Con sentenza depositata il 24.9.18, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo, condividendo gli accertamenti di fatto e le valutazioni in diritto svolte del Tribunale.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi, cui resiste la T. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, cui resiste la società con controricorso.
Motivi
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4, co.9, 5, co.1, e 24, co.1, L. n. 223/91, osservando che la sentenza impugnata aveva ritenuto che la illegittimità della procedura non derivava dalla soppressione della mansione di addetta agli archivi, sicché tale soppressione doveva ritenersi, a prescindere dal fatto che l’adibizione ad essa della T. fosse definitiva o provvisoria, non potendo peraltro il giudice sindacare il merito delle scelte imprenditoriali.
Il motivo è infondato.
A prescindere infatti dalla considerazione che la Corte di merito non ha affatto statuito la legittimità della soppressione della posizione lavorativa di addetto agli archivi (né avrebbe potuto farlo, trattandosi di scelte insindacabili dell’imprenditore), deve comunque evidenziarsi che la sentenza impugnata ha ribadito un elementare principio di civiltà giuridica e di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, quello secondo cui non è conforme a tali canoni il licenziamento di un dipendente addetto a mansioni diverse da quelle considerate in esubero ed adibita a queste ultime solo pochi mesi prima del recesso.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 c.p.c., 2697 c.c., 4, co.9 e 5, L. n. 223/91.
Lamenta che la lavoratrice non aveva mai dedotto di essere fungibile rispetto ad altri lavoratori e non aveva comunque assolto l’onere di dimostrare l’illegittima applicazione dei criteri di scelta, indicando i lavoratori rispetto ai quali la scelta avrebbe dovuto essere effettuata.
Il motivo è infondato poiché, lamentato da parte della ricorrente (ed acclarato dalla Corte di merito) che ella non poteva essere licenziata in quanto solo provvisoriamente (e peraltro solo da pochi mesi) adibita all’archivio, sarebbe stato onere della società provare che la scelta, in base ai criteri adottati (e neppure specificati) dalla società, era corretta.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato, restando così assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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