CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 giugno 2021, n. 15800
Personale degli enti territoriali – Diritto alla stabilizzazione del personale precario ex L. 296/2006 – Accordo sindacale – Nessun obbligo dell’ente o diritto in capo ai singoli lavoratori – Sopravvenuto divieto di nuove assunzioni da parte delle Province – Rispetto del c.d. patto di stabilità interno
Ritenuto che
la Corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame proposto da P.B.A. avverso la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno con la quale era stata disattesa la domanda con cui la predetta aveva chiesto accertarsi il suo diritto alla stabilizzazione presso al Provincia di Ascoli Piceno, ai sensi della L. 296/2006, artt. 1 co. 558 ss.;
la Corte d’Appello, premesso che le norme non consentivano di ravvisare un obbligo legale di assunzione, riteneva che l’accordo sindacale raggiunto ed in cui si definiva un piano di stabilizzazione, non potesse fondare, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, né un obbligo dell’ente, né un diritto in capo ai singoli lavoratori, peraltro comunque insussistente in forza del sopravvenuto divieto di nuove assunzioni da parte delle Province;
la Corte territoriale riteneva quindi che non potesse accogliersi la domanda originaria, né quella risarcitoria, comunque fondata su di un insussistente obbligo a contrarre, avanzata in esito alle sopravvenienze normative di vincolo alle assunzioni presso le Province;
P.B.A. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, mentre la Provincia di Ascoli Piceno è rimasta intimata;
Considerato che
con il primo motivo la ricorrente afferma la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 1, co. 558 e 560 della L. 296/2006 in relazione all’esistenza di uno specifico accordo sindacale di stabilizzazione di lavoratori precari, raggiunto in data 23.5.2008 e recepito con delibera dell’ente n. 233/2008; la ricorrente, ammesso e non concesso che già dalle norme di legge non discendesse un obbligo alla stabilizzazione, sosteneva che non fosse certamente vietato all’Ente vincolare il proprio successivo comportamento attraverso uno specifico accordo sindacale volto a pianificare tale stabilizzazione;
il secondo motivo afferma invece la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’accordo sindacale non contenesse la previsione di un obbligo da parte dell’ente di assumere il personale munito dei requisiti previsti per la stabilizzazione, come doveva invece desumersi dal fatto che un intento programmatico era stato ivi sancito solo per il personale che avesse maturato i requisiti dei tre anni di anzianità entro il 2010, a riprova del fatto che per il personale in cui favore tali presupposti si erano già determinati entro il 2009 sussisteva un vero e proprio impegno coercibile;
il terzo motivo afferma la violazione e falsa applicazione dell’art. 16, co. 9, d.l. 95/2012, convertito in L. 135/2012, contestandosi l’assunto della Corte territoriale secondo cui, comunque, la stabilizzazione della ricorrente sarebbe stata impedita dal sopravvenire della predetta normativa, con cui era stato fatto divieto alle Province di assumere personale a tempo indeterminato; la ricorrente sostiene in via principale che ad essa non potesse applicarsi tale divieto, fondandosi il suo diritto su assunzioni resesi doverose antecedentemente all’entrata in vigore di quella norma e prospettando in via subordinata, qualora lo ius superveniens fosse da ritenere tale da impedire il riconoscimento di un diritto precedentemente sorto, l’esistenza di un obbligo di risarcimento del danno per essere stato il comportamento inadempiente della controparte ad avere determinato l’impossibilità del perseguimento del diritto rivendicato;
il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) rimarcando come esistessero «ed in abbondanza – le risorse economiche per stabilizzare tutti i precari ed in particolare la lavoratrice Amadio», e ciò sulla base delle risorse del Fondo Sociale Europeo e delle risultanze delle prove documentali e testimoniali, da cui emergeva che pur dopo il diniego di assunzione della ricorrente, erano stati «pagati molti altri lavoratori»;
la stabilizzazione del personale precario secondo la disciplina della L. 296/2006 richiede, per quanto attiene alle autonomie regionali e locali (co. 557), oltre a requisiti soggettivi analoghi a quelli di cui al co. 519 (ovverosia la presenza in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o il conseguimento di tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o sulla base di servizio svolto per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge), la ricorrenza dei comuni presupposti di coerenza con la dotazione organica, quale formata sulla base dei fabbisogni, e con le disponibilità finanziarie, rispetto agli enti locali specificamente vincolate al rispetto del c.d. patto di stabilità interno, ovverosia dei massimi di spesa determinati a partire dall’art. 31 L. 183/2011 e successive norme di disciplina dell’istituto;
nel caso di specie la stessa ricorrente adduce che l’ente abbia frapposto alla sua stabilizzazione una «insuperabile incompatibilità economico-finanziaria»’, a fronte di criteri di legge certamente non eludibili anche alla luce dell’eccezionalità della normativa di stabilizzazione (Cass. 2 ottobre 2020, n. 21200) è evidente che un accordo sindacale di individuazione dei tempi delle stabilizzazioni non poteva certamente essere fonte di obblighi per la P.A.; l’assunzione dei dipendenti pubblici non può infatti essere regolata con modalità cogenti attraverso la contrattazione collettiva, ma promana dal ricorrere dei requisiti di legge e\o dall’utile svolgimento delle procedure selettive o concorsuali, sicché gli eventuali accordi sindacali non possono che avere un mero effetto programmatico;
la stabilizzazione della ricorrente non poteva dunque prescindere dalla ricorrenza dei presupposti di coerenza con le dotazioni organiche di cui si è detto, nonché, per quanto qui interessa, dalla ricorrenza dei presupposti finanziari, anche in ragione del previsto obbligo di rispetto del patto di stabilità; il richiamo fondante all’accordo sindacale non è dunque giuridicamente corretto e ciò comporta, con il rigetto del primo motivo, l’assorbimento del secondo e del terzo motivo;
d’altra parte, allorquando, con il quarto motivo, la ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare la sussistenza delle risorse economiche necessarie, quanto da essa addotto, con riferimento alle «ingenti risorse del Fondo Sociale Europeo», che avrebbero consentito stabilizzazioni «prima, durante e dopo» la vicenda della Amadio, risulta eccessivamente generico per apprezzare la necessaria decisività della denunciata omissione (art. 360 n. 5 c.p.c.);
infatti, non vengono neppure riportati i passaggi degli elementi probatori da cui si dovrebbe desumere tale capienza ed anche il riferimento al fatto che, dopo il diniego alla Amodio, «con quei fondi europei venivano pagati molti altri lavoratori» è di una genericità palesemente inadeguata ad integrare un idoneo motivo di ricorso nei termini di cui alla norma sul rito testé citata, a fronte di regole finanziarie del tutto stringenti, di cui si è detto, la cui osservanza imporrebbe una assai più specifica deduzione;
il ricorso va quindi complessivamente disatteso, senza nulla statuire sulle spese di giudizio, essendo la Provincia di Ascoli Piceno rimasta intimata;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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