AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 06 agosto 2021, n. 533
Concessione del servizio di distribuzione del gas – Canone ex art. 46-bis, comma 4, della Legge 222/07 – Trattamento IVA
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società ALFA, (d’ora in poi anche ristante” o la “Società Concessionaria” o il “Gestore”) è soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte della società BETA, a capo dell’omonimo gruppo societario (di seguito il “Gruppo” o il “Gruppo BETA”) operante nella distribuzione del gas naturale, nonché nella vendita di gas e di energia elettrica, partecipando alla partnership costituita attraverso la società GAMMA.
ALFA è stata costituita in data …. Con efficacia dal …, la Società ha ricevuto in conferimento il ramo d’azienda avente ad oggetto l’attività di distribuzione di gas naturale già condotto dalla società DELTA, subentrando di diritto e senza soluzione di continuità nei rapporti giuridici esistenti attinenti al ramo d’azienda anzidetto.
Nello specifico, l’istante rende noto che la società ALFA ha in essere una convenzione di servizio con il Comune X avente ad oggetto l’attività di distribuzione di gas naturale (Allegato 2 – Convenzione di servizio). Tale convenzione non prevede alcun canone contrattuale, ma per effetto delle determinazioni assunte nel Verbale di Deliberazione di Giunta Comunale (Allegato 3 – Verbale di Deliberazione di Giunta Comunale del Comune X), avente ad oggetto la “Rideterminazione del canone di concessione del servizio di distribuzione del gas naturale ai sensi del combinato disposto art. 46-bis, comma 4 della Legge 222/07 e art. 23-bis, comma 10 della Legge 133/08 “assume rilevanza il c.d. “canone ex art. 46-bis D.L. 159/2007 convertito, con modificazioni, in Legge 222/2007, (di seguito anche solo “canone ex 46-bis ” o “canone C O.L.”) che consente agli Enti concedenti di implementare il proprio canone (nei limiti del 10% del Vincolo dei Ricavi della Distribuzione).
L’Istante fa presente che, in base all’art. 46-bis, comma 4 della Legge 222/07 citata, gli Enti locali possono richiedere o meno al Gestore, a fronte dell’affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas, un canone annuo (di seguito “canone contrattuale” o “canone convenzionale”), ad importo fisso ovvero parametrato al “Vincolo sui Ricavi di Distribuzione – VRD” (definito dall’Autorità Garante dell’Energia elettrica e del Gas e spettante al Gestore in funzione dei quantitativi di gas distribuiti e transitati nella rete). Tale canone, ove previsto e corrisposto ad Enti locali che rivestono la qualifica di soggetti passivi d’imposta, è assoggettato ad IVA.
Le peculiarità di detto canone sono essenzialmente due: 1) gli Enti concedenti possono richiederlo unilateralmente ed indipendentemente dal canone previsto nella convenzione di concessione; 2) ai gestori è data facoltà di recuperare direttamente in tariffa quanto corrisposto a detto titolo, previa autorizzazione dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente.
Considerato che per l’attività di distribuzione del gas il Comune X dichiara di rivestire la qualifica di soggetto passivo IVA, l’Istante chiede se il canone ex art. 46- bis del D.L. 159/2007 sia assoggettabile ad IVA, quale corrispettivo per il servizio ricevuto.
Posto quanto sopra, nel delineare la cornice legislativa e regolamentare che disciplina la fattispecie in esame, l’Istante riferisce che la riforma del settore della distribuzione del gas naturale, avviata a partire dal 2000 con il D.lgs. n. 164/2000, ha inteso liberalizzare tale segmento della filiera gas prevedendo che la concessione comunale del servizio venga affidata tramite gara pubblica ad operatori del settore per periodi non superiori a 12 anni.
Successivamente, con l’art. 46-bis del Decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, (convertito con modificazioni dalla L. 29 novembre 2007, n. 222), recante “Disposizioni in materia di concorrenza e qualità dei servizi essenziali nel settore della distribuzione del gas ” il legislatore ha previsto che tali gare per l’assegnazione del servizio fossero svolte, non più a livello comunale, ma a livello di Ambito Territoriale Minimo (ATEM), ossia da aggregazioni sovracomunali di dimensioni “ottimali” con riferimento a criteri di efficienza ed economicità del servizio. Al fine di incentivare tali aggregazioni sovracomunali (all’epoca non obbligatorie), il comma quattro del menzionato art. 46-bis stabilisce che “A decorrere dal 1 gennaio 2008, i comuni interessati dalle nuove gare di cui al comma 3 [le nuove “gare d’ambito “] possono incrementare il canone delle concessioni di distribuzione, solo ove minore e fino al nuovo affidamento, fino al 10per cento del vincolo sui ricavi di distribuzione di cui alla delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas n. 237 del 28 dicembre 2000, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 2001, e successive modificazioni, destinando prioritariamente le risorse aggiuntive all’attivazione di meccanismi di tutela relativi ai costi dei consumi di gas da parte delle fasce deboli di utenti”
L’Istante evidenzia che la ratio originaria, sottesa alla sopracitata disposizione, era quella di “indennizzare” la scelta – allora discrezionale – del Comune di non procedere alla gara uti singuli (con immediato vantaggio economico per l’Ente locale), ma di attendere, invece, la costituzione degli ATEM, quale soluzione considerata da privilegiare sotto gli aspetti della continuità, della sicurezza, della qualità e dell’economicità della gestione.
Con questo scopo, la richiamata disposizione prevede che i Comuni, nelle more della predisposizione delle gare d’ambito, possano incrementare il canone delle concessioni di distribuzione fino al 10% (ove il canone attualmente percepito sia minore del 10% stesso, o non sia percepito affatto) del “Vincolo sui ricavi di distribuzione” (VRD). A tal fine, i Comuni sono tenuti ad inviare formale richiesta al proprio Gestore, previa adozione di apposito atto deliberativo (di norma, di Giunta Comunale).
Successivamente, con l’entrata in vigore dell’art. 24 del D.lgs. 93/2011, tale opzione (gara singola piuttosto che gara d’ambito) è venuta meno, essendo fatto obbligo a tutti i Comuni di procedere alle gare unicamente tramite ATEM.
Allo stesso tempo, tuttavia, ai Gestori “uscenti” è esplicitamente imposto di mantenere la conduzione del servizio sino al subentro del distributore aggiudicatario della gara d’ambito (art. 14, comma 7, D.lgs. 164/2000).
Per i Comuni è dunque possibile chiedere l’incremento del canone sino al 10% del Vincolo dei Ricavi di Distribuzione (VRD) nel caso in cui siano soddisfatte le condizioni di applicazione della norma, ossia essenzialmente:
i avvenuta scadenza ope legis della convenzione originale;
ii non indizione della gara singola;
iii livello di canone annuo inferiore al 10% del VRD dell’epoca (anno 2007).
L’incremento del canone, ai sensi del comma 4 dell’art. 46-bis, non rappresenta una somma “liberamente disponibile” per il Comune, essendo previsto che le risorse aggiuntive percepite dai Comuni che si avvalgono di tale facoltà siano destinate – prioritariamente ma non esclusivamente – a meccanismi volti a ridurre il costo dei consumi di gas in capo alle fasce di utenti economicamente più deboli.
Va inoltre considerato che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas – con un intervento dapprima riferito al periodo di regolazione 2009-2012 e poi replicato nei successivi periodi – ha stabilito che, qualora il Comune, in applicazione del sopracitato art. 46-bis, richieda al Gestore un aumento fino al 10% del canone di concessione, il Gestore possa presentare un’apposita istanza tariffaria, per il riconoscimento dei maggiori oneri (cosa che non avviene per i canoni previsti direttamente dagli atti concessori).
Nello specifico, l’art. 59 del RTDG (“Regolazione delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020 – 2025” allegato alla deliberazione 570/2019/R/GAS), costituente la Parte II del TUDG (“Testo Unico delle disposizioni della regolazione della qualità e delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020-2025”) in vigore dal 01 gennaio 2020, prevede che: “59.2 Qualora i Comuni concedenti abbiano incrementato il canone delle concessioni di distribuzione ai sensi di quanto previsto dal comma 4 art. 46 bis del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, le imprese distributrici interessate possono presentare apposita istanza all’Autorità per il riconoscimento dei maggiori oneri derivanti per effetto di tali disposizioni, nei termini previsti dal comma 2.1 ” [ossia entro il 15 ottobre di ciascun anno].
59.3 Con riferimento alle disposizioni del comma 59.2, l’Autorità riconosce i maggiori oneri qualora ricorrano le seguenti condizioni:
a) sia fornita da parte delle imprese distributrici idonea documentazione relativa all’attivazione da parte dei Comuni dei meccanismi di tutela nei confronti delle fasce deboli di utenti, cui, secondo le disposizioni di legge, devono risultare destinati prioritariamente i fondi raccolti con l’incremento dei canoni;
b) il Comune non abbia assegnato una nuova concessione successivamente all’entrata in vigore della legge 29 novembre 2007, n. 222
c) la concessione deve essere scaduta.
59.4 L’ammontare massimo del riconoscimento dei maggiori oneri di cui al comma 59.1, determinato per ciascuna impresa distributrice c, con riferimento alla singola località i, COLc, i, è calcolato secondo la seguente formula: [.]
59.5 Il riconoscimento dei maggiori oneri di cui al comma 59.2 è limitato al periodo che intercorre dalla data di efficacia dell’aumento del canone fino alla data in cui viene aggiudicata la nuova gara.
59.6 L’impresa distributrice può istituire un ‘apposita componente tariffaria a copertura dei maggiori oneri di cui al comma 59.2, denominata canoni comunali, di cui è data separata evidenza in bolletta. Tale componente tariffaria è espressa in euro per punto di riconsegna ed è applicata ai soli punti di riconsegna siti nell’ambito del territorio comunale dove è stata deliberata la maggiorazione. Il valore di tale componente tariffaria è determinato dividendo il valore di COLc, iper il numero di punti di riconsegna atteso per l’anno t sulla base della miglior stima disponibile”.
In buona sostanza, la disposizione sopra riportata fa in modo che l’incremento del canone, laddove richiesto dai Comuni ai sensi dell’art. 46-bis in commento, possa essere oggetto di “riconoscimento in tariffa”, ossia addebitato in bolletta agli utenti finali (di quel Comune), senza gravare come onere economico sui Gestori.
L’Istante evidenzia, inoltre, che, a seguito della “liberalizzazione” del mercato del gas, il D. Lgs. 164/2000 ha stabilito, già dal 01/01/2003, la separazione funzionale, amministrativa e contabile tra Distributori e Venditori (c.d. unbundling), i quali svolgono due funzioni diverse e distinte tra loro: la gestione delle reti e dei servizi di vettoriamento e misura che rendono possibile la consegna del gas alle utenze, i primi, l’acquisto e la fornitura del gas ai Clienti finali, i secondi. In conseguenza, per ogni singola utenza:
– sono identificabili due rapporti giuridici (obbligatoriamente) distinti: il rapporto di distribuzione, che lega Distributore e Venditore (e disciplina le attività di gestione degli impianti connesse alla fornitura, es. attivazioni, sospensioni, ri-attivazioni, verifiche misuratori, ecc.), ed il rapporto di fornitura/somministrazione che lega quest’ultimo ed il Cliente finale;
– non sussiste (e non può sussistere) alcun rapporto negoziale diretto tra il Cliente finale e il Gestore.
Da questo consegue che l’implementazione tariffaria derivante dai canoni ex art. 46-bis, al pari dell’intera quota di pertinenza, è addebitata alle società di vendita operanti nell’impianto comunale, in proporzione al numero di utenze ed al volume di gas di pertinenza di ognuna.
Tanto premesso, sulla base del quadro normativo e regolamentare sopra richiamato, con riguardo agli adempimenti futuri, l’Istante chiede se la quota “incrementale” del canone, applicata ai sensi dell’art. 46-bis del D.L. n. 159/2007, sia soggetta ad IVA, quale corrispettivo di una prestazione di servizi, ovvero fuori campo IVA ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a) del DPR n. 633/72, quale mero riversamento di somme.
ALFA chiede, pertanto, se sia tenuta a corrispondere al Comune X l’IVA sui predetti canoni ex art. 46-bise portarla in detrazione, ai sensi dell’art. 19 del DPR 633 del 1972.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene che “il canone applicato ai sensi dell’art. 46-bis del D.L. n. 159/2007 e corrisposto al Comune X, anche in assenza di corrispettivo di concessione, sia da assoggettare ad IVA ad aliquota ordinaria, a titolo di corrispettivo di una prestazione di servizi nell’ambito del rapporto sinallagmatico tra l’Ente locale concedenti e la Società-Gestore [e], con riguardo agli adempimenti futuri, ritiene di dover corrispondere l’IVA sui canoni di cui all’art. 46-bis del D.L. n. 159/2007, [essendo poi] legittimata a portare detta imposta in detrazione ai sensi dell’art. 19 del DPR 633/1972” fatta salva “la disciplina del c.d. split payment, ai sensi dell’art. 17- ter del D.P.R. 633/72, ove ne ricorrano i presupposti di applicabilità”.
L’Istante evidenzia altresì che “il canone aggiuntivo versato dal Gestore al Comune non possa rappresentare un “mero riversamento” di quanto incassato dal Gestore a fronte del “ribaltamento” nella bolletta degli utenti finali (quindi fuori campo IVA). Ciò in quanto il riaddebito in bolletta, tramite l’apposita componente tariffaria denominata “canoni comunali”, si configura solo come facoltà eventuale. (…) Così, se la voce addebitata in bolletta e denominata “canoni comunali”è solo eventuale, mentre il Gestore è comunque tenuto al pagamento del canone aggiuntivo
spettante ai Comuni, non si può definire l’incremento ex art 46-bis del D.L. 159/2007 un “riversamento ” ai Comuni. Né si reputa ragionevole attribuire una diversa natura all’incremento di cui si discute, a seconda della mutevole circostanza che esso sia o meno oggetto di “recupero” da parte del Gestore mediante riconoscimento tariffario”.
A sostegno di quanto sopra, l’Istante richiama l’orientamento assunto da questa Agenzia in vari documenti di prassi. In particolare, richiama la Risoluzione n. 348/E del 07 agosto 2008 riguardo al trattamento IVA applicabile al canone e alla somma una tantum dovute ad un Comune per l’affidamento di distribuzione del gas, nonché la successiva Risoluzione n. 122/E del 6 maggio 2009, in tema di assoggettabilità ad imposta dei canoni corrisposti per la concessione in uso della rete fognaria comunale.
Parere dell’Agenzia delle entrate
In merito alla rilevanza agli effetti dell’IVA dell’attività di affidamento della gestione del servizio di distribuzione del gas naturale, le cui modalità sono disciplinate dal decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, la scrivente ha avuto modo di delineare il proprio orientamento nella risoluzione n. 348 del 7 agosto 2008, richiamata nelle premesse dall’Istante.
Nel citato documento di prassi è stato precisato che il Comune, nell’affidare il servizio di distribuzione del gas naturale, non agisce nella veste di pubblica autorità, in quanto i rapporti tra lo stesso ente locale ed il concessionario sono disciplinati da un contratto di servizio, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, del citato d.lgs. n. 164 del 2000, dalle cui disposizioni emerge che il rapporto tra le parti contraenti viene regolamentato sulla base di una pattuizione bilaterale che, pur presentando alcuni profili di natura amministrativa (in considerazione dell’interesse pubblicistico sotteso all’erogazione del servizio), concretizza una modalità di svolgimento dell’attività tipica degli operatori economici privati, basata sulla previsione delle reciproche obbligazioni e posizioni soggettive.
Riguardo alla nozione di “pubblica autorità”, la Corte di Giustizia, con sentenza del 14 dicembre 2000, causa n. C-446/98, ha precisato che per definire se un ente pubblico agisca o meno in veste di pubblica autorità non assumono alcuna rilevanza né l’oggetto e lo scopo dell’attività, né la circostanza che i beni utilizzati nello svolgimento dell’attività stessa appartengano al demanio o al patrimonio dell’ente pubblico, risultando, invece, determinanti le modalità di esercizio dell’attività. In particolare, il non assoggettamento ad IVA degli enti pubblici dipende dalla circostanza che detti enti agiscano in quanto “soggetti di diritto pubblico” oppure in quanto “soggetti di diritto privato”, cioè alle stesse condizioni giuridiche degli operatori economici privati. La Corte di Giustizia sottolinea, quindi, che l’unico criterio per distinguere le attività degli enti pubblici rese in quanto “soggetti di diritto privato” da quelle rese dagli stessi in quanto “soggetti di diritto pubblico” è il regime giuridico applicato in base al diritto nazionale.
Ciò implica un’analisi dell’attività svolta dall’ente pubblico nei propri rapporti con altri soggetti, per verificare se detta attività sia caratterizzata dall’esercizio di poteri di natura unilaterale e autoritativa o se si svolga su base sostanzialmente pattizia, attraverso una disciplina che individui, in via bilaterale, le reciproche posizioni soggettive.
La risoluzione n. 348 del 2008, evidenziando che i rapporti tra il Comune interpellante e il soggetto affidatario della gestione del servizio sono disciplinati da un contratto di servizio, ha chiarito che il canone percepito per l’affidamento del servizio va assoggettato ad IVA per la sussistenza dei presupposti impositivi (soggettivo ed oggettivo), ai sensi degli articoli 3 e 4 del DPR del 26 ottobre 1972, n. 633.
Preme peraltro ribadire che già con la risoluzione n. 361285 del 31 dicembre 1986 l’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di chiarire che la concessione del servizio di erogazione del gas, da parte di un Comune, sulla base di un atto negoziale, costituisce, per sua natura, attività economica non istituzionale, attratta nel campo di applicazione dell’IVA in virtù del DPR n. 633 del 1972, art. 3, comma 1.
Con riferimento al rapporto tra gli enti locali concedenti e la società concessionaria del servizio di distribuzione del gas metano, più di recente è intervenuta anche la Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 6233 del 27 marzo 2015, in linea con le indicazioni della prassi amministrativa dell’Amministrazione finanziaria, peraltro richiamata, ha precisato che “va premesso che il comma 5 dell’art 4 del decreto IVA stabilisce che sono considerate in ogni caso commerciali, anche se esercitate da enti pubblici, le attività di erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore. L’art. 4, p. 5, della “sesta direttiva ” (conf art. 13, 1, della “direttiva rifusa “) prevede che Stato, Regioni, Province e Comuni e gli altri organismi di diritto pubblico sono esclusi dal campo applicativo dell ‘IVA solo per le operazioni che esercitano quali pubbliche autorità. In maggior dettaglio: “Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. Se però tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza. In ogni caso, gli enti succitati sono sempre considerati come soggetti passivi per quanto riguarda le attività elencate nell’allegato D quando esse non sono trascurabili”. Tra le attività di cui all’allegato D è contemplata, sub 2, la “erogazione di acqua, gas, energia elettrica e vapore ” Dunque, tanto nel diritto nazionale, quanto in quello eurounitario, gli enti pubblici sono soggetti passivi, ai fini dell’IVA, per l’attività di erogazione del gas nel suo complesso” (orientamento confermato nella successiva sentenza Cass. civ. 14263 del 13-7-2016).
Tanto premesso, la fattispecie prospettata dall’Istante concerne la rilevanza o meno, agli effetti dell’IVA, del canone di concessione del servizio di distribuzione del gas naturale ai sensi del disposto dell’art. 46-bis, comma 4 della del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla L. 29 novembre 2007, n. 222.
La convenzione di servizio con il Comune X avente ad oggetto l’attività di distribuzione di gas naturale, (Allegato 2 – Convenzione di servizio stipulata con il Comune X), rispetto alla quale la società ALFA è subentrata per effetto del conferimento del ramo d’azienda da parte di DELTA, regolamenta tutta una serie di specifiche obbligazioni delle parti, tra cui, all’art. 6, l’impegno per l’azienda concessionaria ad eseguire la posa in opera delle condotte e gli allacciamenti, nonché all’art. 7 l’obbligo in capo all’azienda concessionaria a non richiedere alcun rimborso di oneri o contributi in dipendenza dei lavori di posa di distribuzione e di allacciamenti, salvo determinate specifiche deroghe. L’accordo non prevede, tuttavia, la pattuizione di un canone per la concessione del servizio in esame.
Per effetto delle determinazioni assunte nel Verbale di Deliberazione della Giunta Comunale (Allegato 3), avente ad oggetto la “Rideterminazione del canone di concessione del servizio di distribuzione del gas naturale ai sensi del combinato disposto art. 46-bis, comma 4 della Legge 222/07 e art. 23-bis, comma 10 della Legge 133/08”, la Giunta del Comune X ha deliberato di “determinare il nuovo canone concessorio di distribuzione del gas naturale nella misura del 10% del Vincolo dei Ricavi di Distribuzione, (…)”.
L’art. 46-bis, comma 4, del D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, prevede testualmente che “A decorrere dal 1 ° gennaio 2008, i comuni interessati dalle nuove gare di cui al comma 3 possono incrementare il canone delle concessioni di distribuzione, solo ove minore e fino al nuovo affidamento, fino al 10 per cento del vincolo sui ricavi di distribuzione di cui alla delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas n. 237del 28 dicembre 2000, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 2001, e successive modificazioni, destinando prioritariamente le risorse aggiuntive all’attivazione di meccanismi di tutela relativi ai costi dei consumi di gas da parte delle fasce deboli di utenti”.
La disposizione citata, dunque, stabilisce che l’Amministrazione Comunale, nel caso in cui siano soddisfatte le condizioni di applicazione previste dalla norma, ha la facoltà di incrementare il canone della concessione di distribuzione gas nella misura massima consentita pari al 10% del Vincolo Ricavi Distribuzione.
L’obbligo di pagamento del canone incrementale per il servizio di distribuzione del gas naturale da parte del concessionario nel periodo di prosecuzione del servizio, ex art. 46-bis, comma 4 della Legge 222/07, seppur avente fonte nella deliberazione da parte della Giunta del Comune (e non direttamente nell’accordo negoziale tra le parti), ha, in ogni caso, natura di corrispettivo per la concessione. A nulla rileva la circostanza che la convenzione con il Comune X non preveda un canone contrattuale; la natura incrementale del canone ex art. 46-bis, comma 4 della Legge 222/07 non può che avere la stessa natura di corrispettivo (e conseguentemente trattamento fiscale) dei canoni individuati dalle convenzioni di servizio.
Nel caso di specie, il Comune X ha affidato ad un soggetto esterno, la Società Istante, la gestione del servizio di distribuzione del gas, che la normativa comunitaria (art. 13, paragrafo 1, comma 3, della Direttiva CE n. 112 del 2006) e quella nazionale (art. 4, quinto comma, del DPR n. 633 del 1972) considerano in ogni caso commerciale anche se svolto da enti pubblici.
Tale affidamento assume rilevanza economica e conferisce carattere commerciale all’attività resa dall’ente locale nel rapporto con il soggetto gestore, garantendo il diritto dell’ente locale a percepire il canone, seppur, nel caso di specie, nelle modalità disciplinate dall’art. 46-bis, comma 4 della Legge 222/07. Trattandosi di corrispettivo (di regola integrativo, in questo caso corrispettivo ex novo) per la concessione del servizio, la natura dello stesso non muta per il fatto di aver fonte nella deliberazione da parte della Giunta del Comune.
Non inficia, inoltre, la natura di corrispettivo di tali somme il fatto che l’incremento del canone, ai sensi del comma 4 dell’art. 46-bis, non rappresenta una somma “integralmente disponibile” per il Comune, essendo previsto che le risorse aggiuntive percepite dai Comuni che si avvalgono di tale facoltà siano destinate – prioritariamente ma non esclusivamente – a meccanismi volti a ridurre il costo dei consumi di gas in capo alle fasce di utenti economicamente più deboli.
Posto quanto sopra, il canone percepito per l’affidamento del servizio va assoggettato ad IVA per la sussistenza dei presupposti impositivi (soggettivo ed oggettivo), ai sensi degli articoli 4 e 3 del DPR del 26 ottobre 1972, n. 633.
Per quanto concerne la previsione dell’art. 59 del RTDG (“Regolazione delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020 – 2025” allegato alla deliberazione Arera 570/2019/R/GAS), secondo cui, con riferimento ai maggiori oneri connessi all’aumento dei canoni comunali di concessione, “59.6 l’impresa distributrice può istituire un’apposita componente tariffaria a copertura dei maggiori oneri di cui al comma 59.2, denominata canoni comunali, di cui è data separata evidenza in bolletta. Tale componente tariffaria è espressa in euro (.) ed è applicata ai soli punti di riconsegna siti nell’ambito del territorio comunale dove è stata deliberata la maggiorazione (…) “si fa presente che tali somme non costituiscono riaddebito di spese, fuori campo IVA ex art. 15, comma 1, n. 3 del DPR 633/1972, in quanto il distributore non agisce nell’ambito di un contratto di mandato con rappresentanza, né il pagamento del canone al Comune può in alcun modo considerarsi come anticipazione in nome e per conto del singolo utente.
Ad evidenza di quanto sopra, si segnala che la disciplina di cui all’art. 59 del RTDG stabilisce, infatti, che la componente tariffaria denominata “canoni comunali” si configura solo come facoltà eventuale: il “riconoscimento in tariffa” dei maggiori oneri sopportati dal Gestore, infatti, non opera in via automatica quale mera conseguenza dell’esercizio della facoltà di aumento dei canoni ex art. 46-bis del D.L. 159/2007 da parte dall’Ente locale, richiedendo invece la presentazione di un’apposita istanza da parte del Gestore ad ARERA. L’Autorità riconosce i maggiori oneri solo qualora ricorrano le condizioni esplicitate dall’art. 59.3 del RTDG (in particolare, all’impresa distributrice è accordata la facoltà di introdurre il riconoscimento tariffario solo quando questa fornisca idonea documentazione relativa all’attivazione da parte dei
Comuni dei meccanismi di tutela nei confronti delle fasce deboli di utenti” a cui, secondo le disposizioni di legge, devono risultare destinati prioritariamente i fondi raccolti con l’incremento dei canoni). Inoltre, ai sensi del 59.4, è previsto un ammontare massimo del riconoscimento dei maggiori oneri, determinato, per ciascuna impresa distributrice, con riferimento alla singola località, COLc, calcolato secondo una specifica formula matematica.
In sostanza, l’art. 59 del RTDG, comporta, nei limiti della disciplina sopra esposta, una traslazione economica del maggior onere di concessione sostenuto dalla società, al di fuori di qualsiasi rapporto di mandato, non potendo il compenso medesimo essere considerato un costo sostenuto per conto del cliente.
Ciò posto, in forza del principio di onnicomprensività della base imponibile IVA, più volte illustrato dall’Amministrazione finanziaria (si veda, tra le altre, la risoluzione n. 20 del 20 marzo 1998), sulla base del disposto dell’articolo 13, comma 1, del DPR n. 633 del 1972, secondo cui “la base imponibile è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”, si è del parere che qualora vi sia l’eventuale riconoscimento della componente tariffaria denominata “canoni comunali”, con evidenza in bolletta, tale voce rileverà, agli effetti dell’IVA, costituendo parte integrante del corrispettivo per la fornitura di gas metano, nell’ambito del rapporto di fornitura/somministrazione verso il cliente, rilevando tali somme, ai fini IVA, anche nell’eventuale riaddebito indiretto che ogni gestore/società distributrice effettua nei confronti delle società di vendita operanti sui propri impianti.
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