CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 luglio 2021, n. 20435
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – IVA indetraibile da prò rata relativa all’acquisto di beni strumentali – Deducibilità integrale nell’anno di competenza – Legittimità
Fatti di causa
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Molise accoglieva parzialmente l’appello proposto da Istituto Neurologico Mediterraneo N. srl (breviter, N.) avverso la sentenza n. 10/3/09 della Commissione tributaria provinciale di Isernia che ne aveva respinto il ricorso contro gli avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2003-2004.
La CTR, nella parte che qui rileva, osservava in particolare che, per un verso, risultava corretta la pronuncia dei primi giudici in ordine alla ripresa per imposte dirette riguardante la mancata capitalizzazione/ammortamento dell’IVA indetraibile (per applicazione del prò rata) “incorporata” nel costo di acquisto di beni strumentali, per altro verso, che invece dovevasi escludere la correlata applicazione delle sanzioni, in applicazione dell’art. 8, d.lgs 546/1992, presentando la normativa applicabile a detta fattispecie obiettive condizioni di incertezza interpretativa.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società contribuente deducendo un motivo unico.
Anche l’Agenzia delle entrate propone ricorso contro la sentenza stessa, da considerarsi quale ricorso incidentale essendo stato notificato successivamente, deducendo due motivi.
Entrambe le parti resistono con controricorso ai rispettivi ricorsi.
Ragioni della decisione
Deve essere, in via preliminare, esaminata la questione degli effetti derivanti dalla circostanza che le conclusioni del Procuratore generale sono state formulate e spedite alla cancelleria della Corte in data 31 marzo 2021, dunque tardivamente (di un giorno) rispetto al termine prescritto dall’art. 23, comma 8-bis, del d.l. n. 137 del 2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020), che lo individua nel “quindicesimo giorno precedente l’udienza” (nella specie corrispondente al 30 marzo), prevedendo poi – in conformità alla regola generale – che i difensori delle parti possono depositare memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”.
Il Collegio ritiene che la tardività sia fonte di nullità processuale di carattere relativo, la quale, pertanto, resta sanata a seguito dell’acquiescenza delle parti ai sensi dell’art. 157 cod. proc. civ. Premesso, infatti, che l’intervento del Procuratore generale nelle udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e alle sezioni semplici della Corte di Cassazione è obbligatorio – a pena di nullità assoluta rilevabile d’ufficio (artt. 70 cod. proc. civ. e 76 ord. giud.) – in ragione del ruolo svolto dal Procuratore generale a tutela dell’interesse pubblico, la tempestività dell’intervento, in relazione al disposto del citato art. 23, comma 8-bis del d.l. n. 137/20, opera invece esclusivamente a tutela del diritto di difesa delle parti, con la conseguenza che deve ritenersi rimessa a queste ultime la facoltà – e l’onere – di eccepirne la tardività, in base alla disciplina prevista per le nullità relative.
Ciò posto, con l’unico motivo dedotto -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 83, primo comma, lett. b), dPR 917/1986 (ex art. 52), 5, d.lgs. 446/1997, 99, dPR 917/1986, poiché la CTR ha affermato la fondatezza della ripresa fiscale riguardante la deduzione dalla base imponibile delle imposte dirette dell’intera IVA relativa all’acquisto di un bene strumentale, ritenendo così violato il principio di competenza, poiché trattavasi di un costo “incorporato” nel bene acquistato che pertanto doveva seguirne l’ammortamento in quote annuali.
La censura è fondata.
Emerge dagli atti che la fattispecie concreta riguarda una ripresa fiscale per indebita deduzione di IVA indetraibile per prò rata quale componente negativa del reddito d’impresa della società contribuente negli anni 2003-2004.
N. aveva imputato integralmente a tali periodi di imposta l’IVA che non poteva detrarre in base al meccanismo del prò rata espletando attività di cura ospedaliera e l’agenzia fiscale ha invece contestato tale scelta “di competenza”, ritenendo che in relazione all’imposta assolta per l’acquisto di beni ammortizzabili questo onere dovesse essere “capitalizzato” in rate annuali seguendone il piano di ammortamento.
In sostanza la contribuente afferma che tale componente negativa deve qualificarsi come un costo generale e deve quindi detrarsi secondo la regola di cui all’art. 99, primo comma, dPR 917/1986, la quale prevede che «Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento».
N. sostiene altresì che tale condotta è legittimata dal “principio di derivazione” di cui all’art. 83 del dPR 917/1986, secondo il quale «Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, aumentato o diminuito dei componenti che per effetto dei principi contabili internazionali sono imputati direttamente a patrimonio le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione» e peraltro conforme alle regole di redazione del bilancio civilistico, dal quale appunto “deriva”.
Di contro l’Agenzia delle entrate è ferma nel ritenere che l’IVA indetraibile da prò rata relativa all’acquisto di beni strumentali non è “spesabile” nell’anno in cui è assolta, ma deve essere “capitalizzata” seguendo l’ammortamento del bene alla quale si riferisce, essendone una componente di costo.
Nel dare soluzione alla questione controversa bisogna partire dalla correlazione tra le due disposizioni del TUIR sopra citate e quindi esaminare il rapporto tra il principio generale di “derivazione” del reddito fiscale dall’utile civilistico (art. 83) e la norma specifica data per la deducibilità, quale componente negativa, delle imposte assolte dal contribuente possessore del primo (art. 99, primo comma). Quest’ultima disposizione legislativa fissa come regola l’indeducibilità delle «imposte sui redditi» e di «quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa»; come eccezione prevede invece che le altre imposte siano «deducibili nell’esercizio in cui è avvenuto il pagamento», così allo stesso tempo chiaramente sancendo la modalità contabile-tributaria della dedudicibilità integrale “per cassa” di queste altre imposte.
Ciò detto, va poi rilevato che per l’IVA c.d. “attiva” (dovuta dai committenti/cessionari) la rivalsa è, di regola, obbligatoria (art. 18, primo comma, dPR 633/1972) e ad essa si correla l’altrettanto generale diritto di detrazione dell’IVA c.d. “passiva” (pagata ai prestatori/cedenti) previsto dall’art. 19, primo comma, dPR 633/1972.
Tale disposizione legislativa tuttavia prevede che non è detraibile l’IVA relativa alle operazioni esenti (ovvero non soggette all’imposta, secondo comma) e che in caso di promiscuità tra operazioni imponibili ed operazioni esenti la detrazione va determinata secondo un criterio proporzionale (prò rata; quinto comma), nelle percentuali fissate dall’art. 19-bis, dPR 633/1972.
Orbene, nel caso di specie risulta pacifico che la N. eserciti attività ospedaliera, quindi in esenzione IVA (art. 10, primo comma, n. 19, dPR 633/1972), ma anche attività concretizzante operazioni imponibili, così ingenerandosi il meccanismo di detrazione del prò rata ed essendo dunque l’IVA assolta dalla società contribuente in parte detraibile ed in parte non detraibile.
Per la precisione sia l’agenzia fiscale in sede accertativa sia nella sentenza impugnata, anche con espresso riferimento alla motivazione della sentenza della CTP, si afferma che l’IVA oggetto delle contestazioni erariali era indetraibile al 100%.
Ed è sostanzialmente questa la ragione giuridica per la quale l’Ente impositore da una parte, i due giudici di merito dall’altra, hanno sostenuto/ritenuto che si tratti di un imposta che va integrata nel costo del bene per “imputazione diretta” ex art. 110, comma 1, lett. b), dPR 917/1986 e che afferendo l’imposta stessa a beni strumentali essa debba essere “ammortizzata” in quote annuali, secondo la previsione contabile e fiscale riguardante tali beni (rispettivamente art. 2426, primo comma, n. 2, cod. civ. e art. 102, dPR 917/1986). Tale impostazione non risulta tuttavia giuridicamente corretta.
Come detto, pacifico che nel caso di specie l’indetraibilità dell’IVA dipenda dall’applicazione del meccanismo, speciale, del prò rata, bisogna necessariamente tenere in conto delle sue concrete modalità attuative quali normativamente stabilite.
In particolare l’applicazione delle percentuali di detraibilità fissate dall’art. 19-bis, primo comma, dPR 633/1972, implicando valutazioni a consuntivo basate su una comparazione biennale, non sono compatibili con la previsione, specifica, di cui all’art. 99, primo comma, dPR 917/1986.
Sicché l’IVA indetraibile da prò rata, che sia o meno al 100%, comunque deve considerarsi un costo generale di esercizio, appunto in applicazione stretta ed assorbente dell’ultima disposizione legislativa citata, la cui specialità appare evidente, così come dev’essere opportunamente parametrata alle specifiche regole legislative di applicazione dell’IVA stessa.
Infatti, ben diversamente dalle altre ipotesi di indetraibilità (art. 19, secondo e quarto comma), riferendosi il “prò rata generale”, quale indubbiamente quello in questione, alle tipologie di attività esercitate dal soggetto passivo dell’imposta, la percentuale di indetraibilità intesa come “costo” complessivo ai fini delle imposte dirette non può essere “imputato” al singolo bene cui si riferisce l’operazione esente/imponibile, bensì alle attività medesime nel loro complesso.
In questo senso va data continuità ai principi di diritto che «In tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’I.V.A., non ammessa in detrazione ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, perché imputabile ad operazioni esenti, è deducibile dal reddito imponibile, rappresentando pur sempre un costo collegato ad operazioni che producono un ricavo» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11514 del 07/09/2001, Rv. 549204 – 01) e che «In tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’indetraibilità dell’IVA imputabile ad operazioni esenti poste in essere nell’ambito dell’attività propria del contribuente, prevista dall’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, non si traduce in una doppia imposizione dell’IVA, in quanto l’imposta non ammessa in detrazione è deducibile dal reddito imponibile, rappresentando pur sempre un costo collegato ad operazioni che producono un ricavo» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22243 del 21/10/2009, Rv. 610027 – 01).
Ed alla luce di dette considerazioni giuridiche va interpretato l’OIC 12, punto 84, lett. b) ultima parte [«Per quanto riguarda ìIVA in detrai bile, essa va iscritta in questa voce (B 14 del conto economico, oneri diversi di gestione, n.d.r.) se non costituisce costo accessorio di acquisto di beni o servizi. In generale, il trattamento contabile dell’IVA su acquisti segue quello del bene o servizio acquistato al quale si riferisce»].
In conclusione sul punto, va enunciato il seguente principio di diritto: «L’IVA indetraibile per effetto del prò rata generale di cui all’art. 19, quinto comma, dPR 633/1972 è deducibile per cassa nell’anno del pagamento quale componente negativo del reddito di impresa».
Dall’accoglimento del ricorso principale deriva l’inammissibilità del ricorso incidentale, esclusivamente riferito alle sanzioni fondate sulle pretese creditorie erariali e meramente conseguenziali alle medesime.
Va infatti ribadito che «Nel caso di annullamento di una pretesa tributaria e delle relative sanzioni, l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’imposta annullata si estende, in virtù del proprio effetto espansivo interno, anche nei confronti delle sanzioni, che sono direttamente dipendenti dalla statuizione della pretesa, sempre che esse non siano state annullate per ragioni differenti ed autonome rispetto all’imposta» (Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 24732 del 05/11/2020, Rv. 659496 – 01).
In conclusione, accolto il ricorso principale, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, va cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito deve essere accolto il ricorso introduttivo della lite.
Stante la novità e complessità della questione di diritto trattata possono compensarsi le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo della lite; compensa integralmente le spese processuali.
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