CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32859 depositata il 6 settembre 2021
Reati tributari – Utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti – Processo – Sostituzione del teste nel corso del dibattimento – Condanna – Legittimità
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello dì Firenze con sentenza del 7 gennaio 2020 ha confermato la decisione del Tribunale di Firenze che aveva condannato G. F. alla pena di mesi 8 di reclusione relativamente al reato di cui all’art. 10 quater d. Igs. 74 del 2000, perché, in qualità di legale rappresentante della società B.S. s.r.l. […] utilizzava indebitamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 d. Igs. 241 del 1997, nell’anno 2012, crediti di imposta Ires inesistenti di importo pari a € 101.905,00, superiore alla soglia di € 50.000,00; reato commesso il 20 settembre 2012.
2. L’imputato propone ricorso in cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
2. 1. Violazione di legge (art. 468 e 507 cod. proc. pen.) relativamente alla omessa motivazione della sostituzione del teste indicato dal P.M.
La lapidaria motivazione del Tribunale per la sostituzione del teste non può essere condivisa, in quanto a dibattimento ancora da iniziare non si comprende come il giudice possa ritenere che un teste non citato, ma presente in aula, possa essere a conoscenza dei fatti del processo.
2. 2. Violazione di legge sulla ritenuta indebita compensazione.
Il teste escusso (A.) affermava la sola esistenza del mod. F24 contenente le presunte compensazioni indebite; non è stata fornita la prova del credito inesistente, pur in assenza della dichiarazione dell’anno 2011. Manca comunque la prova della compensazione indebita. Dalla sola documentazione si afferma la compensazione indebita. La Corte di appello non ha motivato sulle argomentazioni dell’appellante.
2. 3. Motivazione apodittica ed insufficiente sull’elemento soggettivo del reato.
Il dolo è stato desunto in maniera automatica senza alcuna specifica motivazione sia sull’elemento soggettivo e sia sul nesso di causalità. Non è stata evidenziata la volontarietà e la consapevolezza dell’indebita compensazione (il profitto).
2. 4. Violazione di legge (art. 131 bis cod. pen.). La Corte di appello non motiva sul punto rilevando solo l’importo dell’indebita compensazione, ma non considera che non vi è stato nessun danno concreto per le casse dell’erario.
Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, genericità e perché, valutato nel suo complesso, chiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità.
La sentenza impugnata richiama la completa motivazione del giudice di primo grado e rileva come dalla testimonianza e dalla documentazione si evince che i crediti dedotti in compensazione erano inesistenti, in quanto non risultava presentata dalla società legalmente rappresentata dall’imputato la dichiarazione relativa all’esercizio nel quale i crediti inesistenti sarebbero maturati. Per l’art. 17 del d. Igs. 74 del 1997 la compensazione è possibile solo per i crediti risultanti dalla dichiarazione, e conseguentemente non risulta possibile compensare crediti non risultanti da nessuna dichiarazione; non risulta contestata l’assenza della dichiarazione del 2011.
Il ricorso si limita a reiterare acriticamente i motivi dell’appello senza confronto con le specifiche motivazioni della sentenza gravata.
4. Deve, comunque, rilevarsi che l’assenza della dichiarazione del 2012 non incide sulla configurabilità del reato in giudizio: “In tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10- quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale. – In motivazione, la Corte ha precisato che il delitto di indebita compensazione non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’Iva – (Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018 – dep. 01/02/2019, C.P., Rv. 27485401).
E’ l’indicazione del credito inesistente portato in compensazione nel modello F24 che ha rilevanza, non l’omessa presentazione della dichiarazione: “In tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente giustificato da una illegittima compensazione, ex art. 17 d. Igs. 9 luglio 1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all’erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti. – Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in quanto l’imputato non aveva compilato alcun mod. F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione -. (Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015 – dep. 14/04/2015, Chiarella, Rv. 26305101). La presentazione di mod F24 non risulta minimamente contestata dall’imputato.
Può conseguentemente evidenziarsi il seguente principio di diritto: In tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’Iva; il reato, infatti, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale.
5. Per l’insussistenza dell’elemento soggettivo si deve rilevare che il motivo non è stato proposto in appello e, quindi, nessun difetto di motivazione della sentenza d’appello sussiste: «Non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione. Fattispecie relativa ad omessa motivazione da parte della Corte di appello sulla recidiva ritenuta dal giudice di primo grado, non contestata con i motivi di appello» (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 – dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501).
L’appello, infatti, è un giudizio di impugnazione e lo stesso si svolge esclusivamente sui motivi di appello – Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 22/02/2017, Gattelli, Rv. 26882201 -.
6. Generico e comunque manifestamente infondato il motivo sulla particolare tenuità del fatto, in quanto la sentenza impugnata evidenzia con motivazione adeguata come “il fatto non possa essere considerato di particolare tenuità, in quanto il reato ha favorito la società che poteva beneficiare di un credito di imposta inesistente di ammontare più che doppio rispetto alla soglia di rilevanza penale”. Si tratta di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata come nel nostro caso.
7. Anche il motivo processuale risulta generico e manifestamente infondato. Il ricorrente non indica in che misura la sostituzione del teste abbia inciso sul suo diritto di difesa e sulla condanna.
Inoltre, la sostituzione di un teste non a conoscenza dei fatti (solo firmatario della notizia di reato senza aver partecipato alle indagini di P.G.) con altro teste che effettivamente aveva partecipato alle operazioni di P.G. è stata sempre ritenuta opportuna e legittima dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione: “La deposizione di un testimone o di un consulente tecnico esaminato in sostituzione di altro indicato nella lista di cui all’art. 468 cod. proc. pen. è utilizzabile, se l’esame è ritualmente condotto e le dichiarazioni rese sono pertinenti alle circostanze indicate nella lista stessa” Sez. 2 -, Sentenza n. 7245 del 27/11/2019 Ud. – dep. 24/02/2020 – Rv. 278508 – 01; vedi anche Sez. 2, Sentenza n. 36791 del 20/10/2006 Ud. – dep. 07/11/2006 – Rv. 235038).
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 3.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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