CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2021, n. 31946
Tributi – IVA – Omessa presentazione della dichiarazione – Credito maturato – Riporto nella dichiarazione dell’anno successivo – Utilizzo in compensazione – Legittimità
Rilevato che
– con sentenza n. 2177/24/14, depositata in data 5 novembre 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, nei confronti di A.P. s.r.l., in persona del legale rappresentante prò tempore, avverso la sentenza n. 170/02/07 della Commissione tributaria provinciale di Brindisi che aveva accolto il ricorso della società contribuente avverso la cartella di pagamento con la quale, a seguito di controllo automatizzato, ex art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, della dichiarazione M.U. 2003, per l’anno 2002, era stata iscritta a ruolo nei confronti della società, per quanto di interesse, la somma di euro 33.356,00 a titolo di Iva, conseguente al disconoscimento del credito d’imposta utilizzato in compensazione nella dichiarazione Iva per l’anno 2002, derivante dal precedente periodo di imposta (2001), in relazione al quale risultava essere stata omessa la dichiarazione Iva;
– in punto di diritto, la CTR ha osservato che – premessa la detraibilità del credito Iva, maturato in un’annualità in cui la dichiarazione è stata omessa, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto, fermo restando il potere/dovere dell’Ufficio di accertare l’esistenza del credito medesimo – nella specie, legittimamente la società contribuente aveva esercitato il diritto di detrazione del credito Iva di euro 33.356,00 esponendolo nella dichiarazione per l’anno 2002, essendo maturato nel 2001, annualità per la quale era stata omessa la dichiarazione Iva;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a un motivo, cui resiste, controricorso, G.C., nella qualità di ex socio al 50% della A.P. s.r.l. cancellata in data 26.3.09; rimane intimato M.C., nella qualità di altro ex socio della medesima società cancellata;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– preliminarmente va osservato che, essendo intervenuta la cancellazione della società contribuente dal registro delle imprese in data 26.3.2009, nelle more del giudizio di appello, e non essendo stato fatto constare nei modi di legge l’evento interruttivo (la società rimaneva contumace in sede di gravame), correttamente il ricorso per cassazione è stato notificato nei confronti di G. e M.C., quali ex soci della medesima; ciò conformemente all’orientamento di questa Corte secondo cui, con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 legge fall., siffatta cancellazione, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, di talché, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo. Ne consegue, sul piano processuale, che, qualora esso non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando il farlo constare non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso. (Cass. sez. un. 12/03/2013, n. 6070; Cass. 19/03/2014, n. 6468; Cass. 17/12/2013, n. 28187);
– con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 28, 30, 54bis e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR – nel confermare la decisione di primo grado – annullato la cartella di pagamento, ritenendo erroneamente detraibile il credito di imposta esposto nella dichiarazione iva, per l’anno 2002, maturato nel periodo di imposta precedente (2001), annualità per la quale la contribuente aveva omesso di presentare la dichiarazione, potendo quest’ultima, ad avviso dell’Ufficio, ottenere, in tal caso, soltanto il rimborso di quanto versato in eccedenza ai sensi dell’art. 30, comma 2, cit., atteso che, nell’ipotesi di omessa dichiarazione annuale non era dato riportare l’eccedenza Iva detraibile nella dichiarazione dell’anno successivo, non essendo stato consentito alla Amministrazione di verificare l’esistenza e l’entità del credito stesso, a nulla rilevando che lo stesso fosse, in ipotesi, effettivamente maturato;
– il motivo è infondato;
– il giudice di appello ha annullato la cartella di pagamento confermando l’illegittimità del disconoscimento del credito di imposta vantato dalla contribuente, esposto nella dichiarazione per l’anno 2002, maturato nel periodo di imposta precedente (2001), annualità per la quale era stata omessa la dichiarazione annuale, fermo restando i! potere/dovere dell’Ufficio di accertare l’esistenza del credito medesimo maturato nell’anno in cui la dichiarazione Iva era stata omessa;
– la questione è stata affrontata e decisa dalle sezioni unite (con sentenza 8 settembre 2016, n. 17757) che hanno fissato il principio secondo il quale «la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili» (conf., Cass., ord. 25 gennaio 2017, n. 1627; Cass., sez. 5, sentenza, 23 febbraio 2018, n. 4392);
– questa Corte, a sezioni unite (Sentenza n. 17758 del 08/09/2016) ha anche affermato il seguente correlato principio di diritto “In caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione di cartella di pagamento, potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonché da atti di indagine diversi daI mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria, ai sensi degli artt. 54-bis e 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, fatta salva, nel successivo giudizio di impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione, a cura del contribuente, che la deduzione d’imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili.
– il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto) purché siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione. La sussistenza di tali requisiti esclude difatti la rilevanza dell’assenza di quelli formali, sempre che sia rispettata, come nel caso in esame, la cornice biennale prevista dall’art. 19 del d.P.R. n. 633/72 per l’esercizio del diritto di detrazione (secondo le precisazioni espresse, in particolare, da Cass. 28 luglio 2015, n. 14767, confermate, tra varie, da Cass. 3 marzo 2017, n. 5401);
– non c’è, invece, necessità di procedere ad accertamento induttivo, in quanto l’Amministrazione non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza. Principio, questo, che si specchia nella giurisprudenza unionale, secondo la quale occorre che il contribuente documenti la sussistenza dei soli requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui all’art. 17 della sesta direttiva e “si mettono in guardia gli Stati membri da meccanismi di rimborso artificiosi e tali da mettere a rischio l’immediata neutralità dell’imposizione sul valore aggiunto” (Sez. un., n. 17757/16, cit., in motivazione);
– la questione, pertanto, si sposta su un piano esclusivamente di natura probatoria: l’infrazione è da ritenere emendabile sul piano del rapporto impositivo quando si disponga ugualmente delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto acquirente, ha il diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa, sempreché non risulti in concreto impedita la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali. Giova evidenziare, del resto, che se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova; mentre, se a tali obblighi non si attiene, spetta al contribuente fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione, dimostrando che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell’IVA e titolare del diritto di detrarre l’imposta (tra varie, in termini, Cass. 17 marzo 2017, n. 6921);
– per la “detrazione” Iva occorre, quindi, che il contribuente, in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, fornisca la prova dell’esistenza contabile del credito non dichiarato, con la produzione all’ufficio competente di idonea documentazione, quindi con l’esibizione dei registri Iva, delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione utile allo scopo (in tal senso anche Cass., 17 marzo 2017, n. 6921; Cass. del 13 agosto 2020, n. 17043; in tal senso anche circolare della Agenzia delle entrate 25-6-2013 n. 21/E, in cui si riconosce la possibilità di “scomputare” direttamente l’importo del credito in detrazione, ove se ne riscontri l’esistenza, in caso di omissione delle dichiarazioni Iva, attraverso <registri IVA e relative liquidazioni, dichiarazione cartacea per l’annualità omessa> e <documenti inerenti e/o equipollenti> alle fatture; in precedenza la circolare 6-8-2012, n. 34/E consentiva solo la presentazione della istanza di rimborso ai sensi dell’art. 21 d.lg.s 546/1992, purché il credito in detrazione fosse effettivo);
– il contribuente deve quindi dimostrare che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, e debitore dell’Iva è titolare del diritto di detrarre l’imposta, con un accertamento in fatto da parte del giudice di merito, da compiersi con la latitudine suggerita dalla stessa corte di giustizia (Causa C- 85/95, Reisdorf); non sono sufficienti allo scopo le sole avvenute liquidazioni periodiche, ma occorre anche l’esibizione dei registri Iva e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione utile (Cass., 6921/2017). Non sono stati, invece, ritenuti elementi sufficienti l’istanza di condono e la dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi (Cass., 9 novembre 2016, n. 22747);
– nella specie, la CTR si è conformata ai suddetti principi avendo ritenuto sostanzialmente irrilevante ai fini della detraibilità del credito Iva esposto nella dichiarazione per l’anno 2002, la omessa presentazione della dichiarazione annuale per il periodo di maturazione (2001), trattandosi di detrazione entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto era sorto; ciò anche considerando che dalla sentenza impugnata non risulta essere stata contestata dall’Ufficio la esistenza delle condizioni sostanziali per la detrazione del credito Iva, né tantomeno quest’ultimo, in difetto del principio di autosufficienza, ha riprodotto in ricorso gli atti difensivi dei gradi di merito, al fine di permettere a questa Corte di verificare la proposizione di una specifica eccezione al riguardo;
– in conclusione, il ricorso va rigettato;
– in considerazione del consolidamento della giurisprudenza di legittimità in materia successivamente al ricorso, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità;
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