CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2021, n. 14568
Tributi – Accertamento – Partecipazione in società a ristretta base partecipativa – Presunzione di distribuzione degli utili accertati in capo alla società
Rilevato che
T.D. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle Entrate ed E. Sud S.p.A. per la cassazione della sentenza nr. 5041/VI/14 della Commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciata in data 14 luglio 2014, depositata in data 31 luglio 2014 e notificata il 06 agosto 2014, che, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento per Irpef, addizionale regionale ed altro, relativa all’anno di imposta 2005, previa riunione, aveva rigettato gli appelli di T.D. e D.A., avverso la sentenza della C.t.p. di Roma, che aveva dichiarato inammissibili i ricorsi dei contribuenti in qualità di soci della P.S. s.r.l.;
la fattispecie trae origine dall’avviso di accertamento di maggiori imposte per l’anno 2005 nei confronti della P.S. s.r.l., di cui erano unici soci la signora D.A. ed i signori D.T. ed A., dal quale emergeva che il reddito di ciascuno dei soci era maggiore rispetto a quello dichiarato, ripartendo prò quota quello maggiore accertato nei confronti della società, in applicazione della presunzione della distribuzione degli utili in società a ristretta base azionaria o familiare;
venivano, quindi, emessi avvisi di accertamento nei confronti dei soci, in relazione ai quali gli stessi avevano sottoscritto in data 10/5/2011 atto di adesione, con cui venivano definite le predette maggiori imposte;
in particolare, l’attuale ricorrente, T.D., pagava le prime due rate e successivamente sospendeva il pagamento, deducendo il rinvenimento di nuova documentazione e la scoperta di errori nell’atto di adesione;
in data 6 luglio 2012 il contribuente riceveva la notifica della cartella di pagamento, per la decadenza del beneficio della rateizzazione in seguito alla mancata corresponsione delle rate successive alla seconda, per complessivi euro 692.976,33;
il contribuente impugnava sia la predetta cartella, sia l’avviso di accertamento e l’atto di adesione;
anche gli altri soci impugnavano gli accertamenti in quanto sostenevano che non sarebbe stato possibile porli in essere nei loro confronti fintanto che non fosse divenuto definitivo quello avverso la società, avverso il quale era pendente il ricorso;
i ricorrenti deducevano altresì il vizio di motivazione e censuravano gli accertamenti con adesione in quanto gli stessi sarebbero stati fondati su erronei presupposti, rivelatisi tali per la successiva conoscenza di atti e fatti nuovi, sulla base dei quali i contribuenti affermavano di aver ritenuto non dovute le rate rimanenti, conseguenti all’accordo con adesione;
con sentenza del 09 ottobre 2013 la Commissione tributaria provinciale di Roma, riuniti i ricorsi avverso gli accertamenti, li riteneva inammissibili a causa dell’intervenuta adesione;
del pari inammissibile è stata ritenuta l’impugnazione dell’accordo di adesione, che una volta sottoscritto dalle parti doveva intendersi immodificabile, anche in presenza di fatti nuovi, peraltro non indicati né provati;
avverso tale sentenza T.D. e D.A. proponevano appello innanzi alla Commissione tributaria regionale di Roma;
nel gravame proposto veniva censurata la sentenza dei giudici di primo grado nella parte in cui riteneva inammissibile l’impugnazione dell’accertamento con adesione, veniva altresì lamentata la nullità dell’accertamento, il difetto di motivazione, la violazione del diritto di difesa, la conseguente nullità dell’atto di adesione e /o la sua annullabilità per vizi del consenso e la sopravvenienza di documenti, nonché l’effetto preclusivo dello scudo fiscale di cui si era avvalso D.T.;
con la sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale di Roma rigettava gli appelli riuniti, ribadendo l’inammissibilità del ricorso avverso l’accertamento con adesione e ritenendo inapplicabile il comma 20 dell’art. 23 della I. 111/2011, poiché non risultava, né gli appellanti avevano dedotto alcunché al riguardo, che l’adesione si fosse perfezionata, anche con la prestazione della garanzia, prima dell’entrata in vigore della norma;
la C.t.r., dunque, concludeva per la declaratoria di inammissibilità dell’appello, con l’assorbimento delle altre censure dedotte;
a seguito della notifica del ricorso, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre E. Sud S.p.A. è rimasta intimata;
il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 10 febbraio 2021, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
Considerato che
con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 3, del d.Lgs. 19 giugno 1997 n. 218, degli artt.1427 e 1975 cod. civ., dell’art.112 cod. proc. civ., in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. secondo il ricorrente, una serie di pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza del 4 marzo 2008, n. 5791 e sentenza 15 luglio 2007, n. 16412), introducendo il principio della illegittimità derivata in campo tributario, hanno previsto l’annullamento dell’atto finale in presenza di irregolarità nell’attività propedeutica all’emanazione dello stesso;
tale orientamento sottolinea la natura procedimentale dell’accertamento tributario, che viene inteso come una sequenza di atti collegati strutturalmente e funzionalmente al fine di assicurare l’applicazione delle imposte dovute;
pertanto, secondo il ricorrente, sarebbe irragionevole pensare che l’atto impositivo nullo possa validamente avviare il procedimento di accertamento con adesione, giungendo alla formalizzazione di un atto efficace fondato su un presupposto nullo;
inoltre, il ricorrente ritiene che non possa sostenersi la non impugnabilità dell’accertamento con adesione in quanto esso avrebbe la natura di vera e propria transazione, con la conseguenza che la sua impugnazione può essere proposta dal contribuente anche per motivi che legittimano l’impugnazione del contratto secondo le previsioni del codice civile, ferma tuttavia la giurisdizione delle Commissioni tributarie, trattandosi di un atto di accertamento del tributo;
ne deriverebbe che l’atto di adesione è annullabile per i vizi del consenso di cui all’art. 1427 e ss. cod.civ. ed, avendo natura transattiva, per la scoperta di nuovi documenti, ex art.1975 cod. civ.;
nel caso di specie, secondo il ricorrente, doveva considerarsi provato che il contribuente non avesse potuto adempiere alla richiesta dell’Ufficio per causa a lui non imputabile e che l’atto di adesione non potesse considerarsi liberamente e validamente sottoscritto né dalla società, né dal ricorrente;
invero, il ricorrente deduce di essere stato parte lesa in una truffa connessa ad un falso accertamento fiscale e che, solo in tempi recenti, il depositario delle scritture contabili, dott. T.B., aveva avvisato la P.S. s.r.l. di avere scoperto nel P.C. del suo studio un “file nascosto” contenente i documenti fiscali che non era stato in grado di produrre nel corso dell’ispezione Agenzia delle Entrate; il motivo è infondato e va rigettato;
nella specifica materia, questa Corte (v. in motivazione, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 2161 del 25/01/2019, Rv. 652270) «ha già avuto modo di affermare (cfr. Cass. n. 10086/2009 e, sostanzialmente, nello stesso senso, Cass. n. 18962/2005; id n. 11982/2011) che quando, come nel caso concreto, l’istanza di adesione abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento così definito diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell’Ufficio, che non può integrarlo o modificarlo, come prescrive l’art. 2, comma 3, del d.lgs. 1997 n. 218 (salve le eccezioni, non ricorrenti nel caso di specie, stabilite dal successivo comma 4)»; pertanto, <<una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire (o, per usare lo stesso termine della legge, «perfezionare») l’accordo, versando quanto da esso risulta, essendo normativamente esclusa la possibilità d’impugnare simile accordo e, a maggior ragione, quella d’impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del fisco, finché non sia stata «perfezionata» la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato>> (cfr. Cass. n. 14533/2015; vedi anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10086 del 30/04/2009; Sez. 5, sent. n. 20732 del 6/10/2010; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20577 del 31/07/2019; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4566 del 21/02/2020; Sez. 5 – , Ordinanza n. 26109 del 17/11/2020);
la definizione dell’accertamento con adesione, su istanza del contribuente, determina l’intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, con la conseguente inammissibilità del ricorso volto a contestare il relativo atto;
ciò in quanto l’accertamento con adesione, sebbene sia il risultato di un accordo tra l’amministrazione finanziaria ed il contribuente, costituisce comunque una forma di esercizio del potere impositivo, pertanto non è assimilabile ad un atto di diritto privato;
il collegio, condividendo l’assunto della più recente dottrina, ritiene che l’accertamento con adesione non sia un atto amministrativo unilaterale, né un contratto di transazione, stante l’evidente disparità delle parti e l’assenza di discrezionalità in ordine alla pretesa tributaria;
piuttosto esso si configura come un accordo di diritto pubblico, ovverosia un atto bilaterale, consensuale ed ineguale, cui intervengono, su posizioni non pariordinate, l’amministrazione finanziaria e il privato, la prima nell’esercizio di una funzione pubblica, il secondo nella sfera dell’autonomia privata, sicché a tale atto si applicano, non le disposizioni del codice civile relative alla transazione, ma la disciplina speciale pubblicistica che lo prevede;
invero, l’accertamento con adesione è regolato dalle norme di diritto pubblico contenute nel d.lgs. n.218/1997, che hanno carattere cogente, in quanto riguardano l’obbligazione tributaria, i suoi presupposti e la base imponibile;
se si fosse trattato di un accordo contrattuale di diritto privato, il legislatore non avrebbe previsto anche per tale tipo di accertamento l’obbligo della motivazione, né avrebbe fatto dipendere la definizione dall’avvenuto pagamento, circostanza inconciliabile con la causa “transattiva”, in cui gli eventi successivi rimangono di regola completamente assorbiti nella volontà contrattuale precedentemente espressa, diretta a chiudere definitivamente la controversia;
appare, quindi, non pertinente il richiamo del ricorrente alla disciplina codicistica dell’errore essenziale e dell’annullabilitá della transazione, di cui agli artt.1427 e 1975 cod. civ., per l’applicabilità dei quali, peraltro, il ricorrente non avrebbe comunque dimostrato la sussistenza dei requisiti normativi, come rilevato dal giudice di appello;
pertanto, la sentenza della C.t.r., che ha ritenuto inammissibile il ricorso avverso l’accertamento con adesione appare in linea con i principi sopra esposti;
con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 bis d.l. 1 luglio 2009 n. 78, convertito in I. 3 agosto 2009 n. 102, sull’effetto preclusivo dello scudo fiscale, e la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , omessa pronuncia, in relazione all’art.360, primo comma , nn.3 e 4 , cod. proc. civ.;
secondo il ricorrente, la C.t.r. non avrebbe considerato l’effetto preclusivo in ordine all’accertamento tributario dello scudo fiscale;
in particolare, nella fattispecie in esame vi sarebbero tutti i presupposti per opporre all’accertamento fiscale l’effetto preclusivo dello scudo fiscale, essendo avvenuto il rimpatrio e la regolarizzazione mediante il pagamento dell’imposta straordinaria, quando ancora al ricorrente non era stata contestata alcuna violazione;
inoltre, il ricorrente ritiene di non essere incorso in alcuna decadenza, poiché la legge non prevede alcun termine (il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’atto sarebbe previsto solo nella prassi amministrativa) e, comunque, egli stesso sarebbe stato impossibilitato all’opposizione dello scudo fiscale nei trenta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, perché, al fine di ottenere la cittadinanza americana, non poteva lasciare gli Stati Uniti, ove si trovava;
il motivo è inammissibile in quanto afferisce ad una questione che è stata sollevata per la prima vola in grado di appello, come è dato evincere dallo stesso ricorso;
per costante giurisprudenza di legittimità, «il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi dedotti col ricorso introduttivo (D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 24).
Ne consegue che i motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo costituiscono la causa petendi rispetto all’invocato annullamento dell’atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilità di un mutamento delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado ovvero dell’inserimento di temi d’indagine nuovi (cfr. Cass. n. 22010 del 2006; n. 16829 del 2007; n. 13934 del 2011)» (cfr. Cass. civ. Sez. V, Sent., 05-11-2014, n. 23571);
nel caso di specie, la questione, ritenuta assorbita dalla C.t.r, va dichiarata inammissibile;
con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del comma 23 dell’art. 20 l. 15 luglio 2011 n.111, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.;
secondo il ricorrente, solo con la legge n.98 del 6 luglio 2011 è stato previsto che, in caso di inadempienza, si possa applicare una maggiorazione del 60%, che, dunque, non è applicabile alle adesioni già perfezionate al momento dell’entrata in vigore della legge, ai sensi del comma 23 dell’art.20 I. 15 luglio 2011 n.111;
il ricorrente deduce che, nel caso di specie, l’adesione era stata sottoscritta in data 10/5/2011, ossia nella vigenza della legge n.471/1997, che non prevedeva alcuna maggiorazione in caso di inadempienza;
il motivo è infondato e va rigettato;
il comma 20 dell’art.23 citato prevedeva che <<20. Le disposizioni di cui ai commi da 17 a 19 non si applicano agli atti di adesione, alle definizioni ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, ed alle conciliazioni giudiziali già perfezionate, anche con la prestazione della garanzia, alla data di entrata in vigore del presente decreto>>;
con accertamento in fatto, non impugnato in questa sede (né contestato), il giudice di appello ha ritenuto che l’adesione non fosse ancora perfezionata al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, perché non era stata prestata idonea garanzia;
per quanto fin qui detto, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità;
nulla per le spese di E. Sud S.p.A., che non si è costituita;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13, se dovuto.
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