CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2021, n. 35718
Tributi – Accertamento – Proventi illeciti – Iva evasa da società nell’ambito di un sistema di fatture false – Qualificazione di redditi diversi in capo all’amministratore di fatto
Fatti di causa
1. F.A. impugnò l’avviso di accertamento, ai fini Irpef, per il 2006, notificato il 30/12/2015, che recuperava a tassazione “redditi diversi” derivanti da proventi illeciti, per un ammontare di euro 965.520,00. La contestazione nasceva da una verifica fiscale, per gli anni d’imposta 2006 e 2007, nei confronti di W. S.r.l., scaturita da un procedimento penale della Procura di S.M.C.V. connesso all’indagine denominata “O.C.F.” che ascriveva al signor A. il ruolo di dominus di un’articolata frode fiscale, su scala transnazionale, attuata tramite l’interposizione fittizia di una rete di società “cartiere” (tra le quali figura W. S.r.l.), intestate a prestanome, ma gestite di fatto dall’indagato, costituite per emettere fatture per operazioni inesistenti nel settore della compravendita di supporti informatici con la correlata evasione delle imposte dirette, dell’Iva e dei diritti SIAE. La ripresa fiscale a carico del contribuente era d’importo pari al debito Iva sulle fatture attive di W. S.r.l.
2. La Commissione tributaria provinciale (“C.T.P.”) di Caserta accolse il ricorso con sentenza (n. 5143/09/16) avverso la quale l’ufficio ha interposto appello principale e il contribuente ha interposto appello incidentale (riproponendo le medesime questioni articolate in primo grado e disattese dal giudice di prossimità). La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Campania ha respinto l’appello dell’ufficio sul rilievo che l’informativa di reato della Guardia di Finanza del 19/11/2010 (ritualmente prodotta in giudizio dall’ufficio), che aveva dato avvio al procedimento penale sopra menzionato, non forniva elementi idonei a dimostrare il presupposto del recupero fiscale, ovverosia l’effettivo conseguimento, da parte del signor A., di redditi illeciti derivanti dall’evasione dell’Iva. E ciò anche in ragione del fatto che non vi era stato alcun accertamento sull’effettiva situazione “patrimoniale ed economica” del contribuente, da utilizzare quale indice sintomatico di un’anomala accumulazione di ricchezza correlata alla contestata attività illecita.
3. L’Agenzia ricorre con due motivi; il contribuente resiste con controricorso, nel quale propone ricorso incidentale condizionato, con un motivo, cui l’ufficio replica con controricorso. La ricorrente ha depositato due memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale [«1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., con riferimento all’art. 42 D.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha annullato l’avviso di accertamento senza averne prima valutato il contenuto e senza avere considerato che l’atto impositivo offriva elementi più che sufficienti a dimostrare che il signor A. era l’amministratore di fatto della W. S.r.l. Secondo le risultanze delle indagini penali compiute nell’ambito dell’”O.C.F.”, come suaccennato, quest’ultima, al pari di altre analoghe società, tutte riconducibili al signor A., era una “cartiera” costituita per emettere fatture per operazioni inesistenti riguardanti la compravendita, su scala transnazionale, di supporti informatici in completa evasione dell’Iva e dei diritti SIAE.
Per tale ragione, nell’avviso di accertamento, ai fini della quantificazione dei proventi illeciti imputati ad A. e assoggettati all’Irpef come “redditi diversi”, l’ente impositore aveva fatto riferimento all’Iva sulle operazioni attive evasa da W. S.r.l., ammontante, nel periodo d’imposta 2006, a euro 965.520,00.
2. Con il secondo motivo [«2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 14, co. 4, L. n. 537/1993, degli artt. 2727 e ss, c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che per un verso ha ritenuta provato che il controricorrente fosse amministratore di fatto della W. S.r.l.; per altro verso ha contraddittoriamente escluso la sussistenza del riscontro circa i proventi illeciti in capo al signor A., trascurando che invece si doveva presumere che quest’ultimo, quale amministratore di fatto della società, avesse percepito le somme in contestazione, sicché spettava alla parte privata dimostrare che le stesse somme non erano entrate nella sua disponibilità.
3. Il secondo motivo è fondato ed il primo è assorbito.
L’ufficio, in sintesi, assume che il signor A., quale amministratore di fatto della W. S.r.l., avesse incamerato la somma di euro 965.920,00, derivante dall’Iva evase sulle operazioni attive della società, che viene commutata in “reddito diverso” dell’amministratore di fatto, quale provento derivante da attività qualificabile come illecito penale, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993. Il giudice di merito, dal canto suo, ravvisa la sussistenza dell’articolato sistema fraudolento di emissione di fatture per operazioni inesistenti ed ascrive al signor A. il ruolo di amministratore di fatto del missing trader (o società “cartiera”) W. S.r.l., laddove dà atto della prospettazione accusatoria (illustrata nell’informativa di reato della Guardia di Finanza), per la quale l’indagato era il dominus di un’organizzazione criminale dedita alla commissione di reati tributari, riciclaggio etc.
Dopodiché, discostandosi dalle regole in tema di presunzioni (art. 2727, cod. civ.), la C.T.R. sconfessa l’intera ipotesi accusatoria e, in maniera contraddittoria (così, testualmente, è scritto nella quarta pagina della sentenza), stigmatizza l’assenza di «indici sintomatici di un’anomala accumulazione di ricchezza derivante dall’illecita attività di cui A. F. e si sarebbe reso promotore come amministratore di fatto della W. S.r.l. coinvolta nelle illecite transazioni». Al riguardo, premesso che la materia delle imposte sui redditi, per effetto dell’art. 19, del d.lgs. n. 46 del 1999, è regolata dall’art. 36, del d.P.R. n. 602 del 1973, in via presuntiva e secondo l’id quod plerumque accidit può ritenersi che l’amministratore di fatto di una “cartiera” abbia direttamente incamerato i proventi dell’evasione addebitabile alla società e che, conseguentemente, spetti all’amministratore stesso fornire la prova contraria. Con la precisazione che in simili ipotesi è ben possibile l’assenza di evidenze contabili dell’evasione, analogamente a quanto chiarito dalla Corte a proposito dei ricavi occulti di società di capitali a ristretta base, distribuiti ai soci (cfr. Cass. 17/12/2020, n. 28955 [p. 6.], in connessione con Cass. 20/06/2019, n. 16546 [p. 3.8.]; 04/12/2020, n. 27791 [p. 5.2.]).
4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato [«1) Illegittimità della sentenza – Violazione art. 43 D.P.R. 600/73 nel testo “ratione temporis” applicabile, come modificato dall’art. 2 del D.Lgs. 5.8.2015 n. 128 artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1 nn. 3 e 4 c.p.c.»], il contribuente ascrive alla C.T.R. l’omessa pronuncia o, in subordine — nel caso in cui si ravvisi il rigetto implicito del motivo di appello incidentale attinente alla nullità dell’accertamento per intervenuta decadenza —, l’errore di diritto nella soluzione della questione (disattesa dal primo giudice e riproposta dal contribuente come motivo di appello incidentale) della decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento. Assume infatti il ricorrente (incidentale) che alla fattispecie non sia applicabile il termine raddoppiato poiché l’avviso di accertamento è stato notificato (in data 30/12/2015) successivamente all’entrata in vigore dell’art. 2, del d.lgs. n. 128 del 2015, che faceva salvi esclusivamente gli avvisi di accertamento e i processi verbali di constatazione notificati entro la data di entrata in vigore della stessa disposizione, ovvero entro il 02/09/2015. Con la conseguenza che la notifica del PVC, avvenuta successivamente (in data 1°/12/2015), era irrilevante ai fini del raddoppio del termine che, comunque, non era applicabile a causa dell’omessa trasmissione della denuncia di reato per i fatti oggetto dell’accertamento entro il termine ordinario del 31/12/2011.
4.1. Il ricorso incidentale condizionato del contribuente è inammissibile, trattandosi di parte totalmente vittoriosa nei gradi di merito. Invero, il ricorso incidentale condizionato «presuppone la soccombenza, la quale non sussiste, con conseguente inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, ove lo stesso verta su una parte della motivazione che non abbia dato luogo ad una pronuncia su questione, pregiudiziale di rito o preliminare di merito, sfavorevole alla parte totalmente vittoriosa» (Cass. 13/07/2018, n. 18648, alla quale dà continuità Cass. 20/10/2021, n. 29138).
5. In conclusione, accolto il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo motivo, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato, la sentenza è cassata, in relazione al motivo accolto del ricorso principale, con rinvio al giudice a quo anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il primo motivo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto del ricorso principale, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di F.A., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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