CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2021, n. 35874
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense – Recupero sanzionatorio dei contributi minimi – Cartella di pagamento – Opposizione
Rilevato che
la Corte d’Appello di L’Aquila, in totale riforma della sentenza del Tribunale di Vasto, ha rigettato l’opposizione proposta da C.P. avverso la cartella di pagamento avente ad oggetto il recupero sanzionatorio dei contributi minimi dovuti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense per l’anno 2010;
la Corte territoriale, basandosi sull’estratto conto riassuntivo, depositato in atti dalla Cassa, da cui ha tratto i titoli di imputazione dei versamenti effettuati dal contribuente, ha accertato che:
– l’avv. P. nel 2007 aveva corrisposto alla Cassa Forense un importo maggiore del dovuto (di Euro 1.520,00);
– nel 2008 aveva pagato meno di quanto dovuto (di Euro 1.115,00);
– i due importi erano stati posti in compensazione, e, con l’aggiunta delle maggiorazioni dovute per i redditi 2009, il credito finale risultava pari a Euro 977,00;
– tale ultimo credito era stato posto, a sua volta, in parziale compensazione con il contributo minimo soggettivo dovuto per l’anno 2010;
ha, infine, compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, valutando la sussistenza di gravi motivi per avere, la Cassa Forense, contribuito con i propri atti ad ingenerare incertezza circa le somme effettivamente dovute dall’iscritto;
la cassazione della sentenza è domandata da C.P. sulla base di due motivi;
la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha depositato tempestivo controricorso, mentre E.C. s.p.a. è rimasta intimata;
entrambe le parti costituite hanno depositato memoria in prossimità dell’Adunanza camerale.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 4 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce “Violazione falsa applicazione legge processuale – art. 436 c.p.c.”; contesta la tardività/improcedibilità della notifica dell’appello incidentale proposto dalla Cassa Forense; sostiene che lo stesso sarebbe stato notificato al ricorrente in data 27.02.2015, il giorno successivo alla data dell’udienza fissata al 26.02.2015; l’eccezione di tardività viene prospettata quale violazione dell’art. 436 cod. proc. civ., il quale dispone che in caso di appello incidentale tardivo il giudice non può concedere un nuovo termine alla parte;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc., contesta “Violazione falsa applicazione artt.10 e 11 I. 576/1980 – Errore di fatto – travisamento”;
contesta la rappresentazione offerta dalla Corte d’appello in merito a talune circostanze, quali l’aver ritenuto che tra il luglio e il dicembre 2011 il P. non avesse effettuato versamenti alla Cassa; che non risultavano per il 2009 versamenti imputati a contributo minimo e a contributo di maternità; che la somma di Euro 3.388,00 fosse stata imputata all’anno 2011 in forza delle missive dello stesso P.; che tale ultimo versamento debba intendersi computato per il periodo contributivo 2011;
il primo motivo è inammissibile;
il criterio secondo cui l’omissione della notifica dell’appello incidentale nel termine di dieci giorni prima dell’udienza di discussione di cui all’art. 436 cod. proc. civ. produrrebbe l’improcedibilità dell’impugnazione incidentale non potendo il giudice concedere un nuovo termine perentorio per la sua notifica non può essere utilmente invocato dal ricorrente nel caso di specie, atteso che egli stesso contesta in concreto non l’omissione della notifica dell’atto processuale, bensì l’intempestività della stessa (cfr. Cass. n. 8595 del 2017; Cass. n. 837 del 2016);
ciò è tanto vero che la sentenza impugnata, nell’accogliere l’appello incidentale ha valutato l’eccezione di tardività rigettandola;
il ricorrente insiste anche in questa sede circa l’asserita tardività della notifica dell’appello incidentale, ma la censura, formulata per errore di diritto della sentenza impugnata sul punto tuttora controverso, è inammissibilmente prospettata, in violazione del principio di specificità del ricorso per cassazione;
anche allorquando a questa Corte si richieda di accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, e, dunque, di operare anche quale giudice del fatto esaminando direttamente gli atti di causa, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato; in altri termini, il vizio in procedendo non è rilevabile ex officio, né la Corte di Cassazione può ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento richiesto (Così Cass. n. – 20181 del 2019);
il secondo motivo è parimenti inammissibile;
le prospettazioni del ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;
va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
non si provvede sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata; in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.800,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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