CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 maggio 2021, n. 14750
Tributi – Accertamento ex art. 41-bis, DPR n. 600 del 1973 – Test di operatività – Disapplicabilità – Situazione di carattere straordinario – Necessità di modificare la strategia produttiva
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Sardegna accoglieva l’appello presentato dalla società P. S.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Oristano (n. 27/2/13), che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno 2006, ai sensi dell’art. 41-bis, del D.P.R. n. 600 del 1973, per mancato superamento del test di operatività di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994. In particolare, il giudice d’appello riteneva sussistenti le oggettive situazioni di carattere straordinario che avevano reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994. Invero, secondo la Commissione regionale, i ricavi erano stati minimi nell’anno 2006, in quanto la società era stata costituita per realizzare un’industria alimentare, per la produzione di alimenti conservabili al di fuori della catena del freddo, mediante l’utilizzo dell’innovativa tecnologia di sterilizzazione a microonde. Purtroppo, però, al momento della consegna dell’impianto, avvenuta nell’aprile 2004, si era verificato il mancato funzionamento del tunnel di sterilizzazione a microonde, impianto fondamentale per un’industria che produce cibi pronti. La società produttrice M.s.p.a. era stata dichiarata fallita il 24 giugno del 2004, sicché non aveva potuto provvedere alla eliminazione dei vizi. Ciò aveva costretto la società a modificare la strategia produttiva, sostituendo al tunnel di sterilizzazione l’utilizzo, inizialmente con locazione, di un’autoclave a vapore.
Pertanto, sussistevano circostanze aventi natura straordinaria, imprevedibile e oggettiva, che avevano reso impossibile raggiungere la soglia di cui al test di operatività.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
3. Resiste con controricorso la società, depositando memoria scritta.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – -error in procedendo”, in quanto il giudice del gravame avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile la produzione di nuovi documenti in sede di appello. Invero, il giudice di prime cure aveva rigettato il ricorso della società contribuente sulla base dei verbali dell’assemblea dei soci, dai quali emergeva che già nell’anno 2005 era possibile produrre fino a circa 500 vaschette per i prodotti più elaborati, e circa 650 vaschette per quelli meno elaborati, avendo peraltro la società contatti con vari possibili acquirenti. Solo in sede di appello, invece, la società ha prodotto i verbali del collegio sindacale, nel tentativo di “porre rimedio alla precedente strategia processuale aggiustando il tiro delle valutazioni indicate nel verbale di assemblea”. Tra l’altro, le relazioni del collegio sindacale sarebbero prive di data certa, in quanto non soggette a vidimazione, apparendo come “nuove prove”, non consentite in sede di appello.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Invero, ai sensi dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 “è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti” in sede di appello.
1.3. Per questa corte, infatti, nell’ambito del processo tributario, l’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato d.lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice anche nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell’udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva (Cass., sez. 5, 13 novembre 2018, n. 29087).
Si è, peraltro, chiarito che, in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla I. n. 69 del 2009), essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass., sez. 5, 22 novembre 2017, n. 27774).
Pertanto, correttamente il giudice di appello ha utilizzato i nuovi documenti prodotti dalla società solo in sede di gravame, ai fini della decisione.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”, in quanto il giudice di appello non ha considerato che non sussistevano gli elementi oggettivi e straordinari, richiesti dalla normativa, al fine di giustificare il mancato superamento del test di operatività, sicché ha basato la sua decisione su una valutazione fondata esclusivamente sulla ipotizzata verosimiglianza delle difficoltà imprenditoriali nell’addivenire ad una conclusione di contratti. Tale decisione, dunque, risulterebbe non conforme al dettato normativo che impone, invece, la ricerca di elementi oggettivi ed estranei, senza analizzare la verosimiglianza delle difficoltà concrete riscontrate dall’imprenditore nel far fronte a nuovi contratti. Il mancato avvio della produzione industriale, quand’anche si fosse verificato, trovava fondamento su strategie imprenditoriali, inefficaci o non pienamente efficaci, determinate da problemi iniziali che, in base a quanto rilevato anche in sentenza, erano state comunque superate nel novembre 2005. Le circostanze oggettive ostative potevano essere individuate soltanto nella messa in liquidazione della società, nella sottoposizione della stessa a sequestro penale o a confisca oppure nel mancato rilascio di un’autorizzazione amministrativa, tutte ipotesi che avevano come unico comune denominatore l’estraneità dell’evento, impeditiva della volontà imprenditoriale, e l’impossibilità assoluta di provvedere all’avvio dell’attività per cause indipendenti dalle determinazioni imprenditoriali assunte.
2.1. Tale motivo è infondato.
2.2. L’art. 30 della legge n. 724 del 1994, vigente nel periodo dal 12 agosto 2006 al 31 dicembre 2006, a seguito del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, prevede al comma 4 bis che “in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del decreto del presidente Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
L’art. 35, comma 16, del d.l. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006, ha disposto che le presenti modifiche “si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Dal 1 gennaio 2007, poi, nel comma 4 bis si fa riferimento, quale giustificazione del contribuente al mancato raggiungimento delle soglie indicate nel test di operatività, a “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi…”.
Al comma 4-ter dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994, in vigore dal 1 gennaio 2008 e sino al 31 dicembre 2015, si prevede anche che “con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate possono essere individuate determinate situazioni oggettive, in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni del presente articolo, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello di cui al comma 4-bis”.
Dal 1 gennaio 2016, l’art. 7 del d.lgs. n. 156 del 2015 prevede al comma 4- quater che “il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui ai comma 4-bis ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista dal medesimo comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve darne separata indicazione nella dichiarazione dei redditi”.
L’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, all’epoca vigente dispone, poi, che “le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l’operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione. Con decreto del ministro delle finanze da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400, sono disciplinate le modalità per l’applicazione del presente comma”.
2.3. L’applicazione della disciplina delle società di comodo è subordinata, quindi, all’esito negativo di un test di operatività, finalizzato ad accertare la non operatività della presunta società di comodo. La determinazione della non operatività si ha quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari, imputati al conto economico, è inferiore a quello dei ricavi figurativi. Si tratta, dunque, di una mera operazione matematica incentrata sull’applicazione di un coefficiente stabilito per legge sul valore di taluni cespiti appartenente alla società. La determinazione dell’imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente (Cass., sez. 6-5, 5 luglio 2016, n. 13699; Cass., sez. 5, 18 aprile 2018, n. 9461). Dal possesso di alcuni beni, che costituisce allora il fatto noto, si risale, con un’operazione matematica, al reddito, che rappresenta il fatto ignoto, ascrivibile al contribuente.
Infatti, l’art. 30, comma primo, della legge n. 724 del 1994, all’epoca vigente, stabilisce che “agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali…”.
In precedenza, invece, prima delle modifiche di cui al d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 296 del 2006, l’Ufficio finanziario che intendeva contestare ad una società il mancato raggiungimento del reddito minimo fissato dalla legge, doveva procedere in contraddittorio, con la richiesta, a pena di nullità, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta (art. 30, comma 4, legge 724 del 1994). Il contribuente, quindi, poteva dare dimostrazione della sussistenza delle oggettive situazioni di carattere “straordinario” che avevano reso impossibile il conseguimento del limite dei ricavi.
2.4. Viene lasciata, ovviamente, al contribuente la possibilità di fornire la prova contraria. Va verificato, quindi, in sede giudiziale il raggiungimento della prova a carico del contribuente della sussistenza delle ipotesi disapplicative delle presunzioni legali (Cass., 5, 29 ottobre 2020, n. 23990).
Si è affermato, sul punto, che, in materia di società di comodo, “l’impossibilità”, per situazioni oggettive di carattere straordinario (ma la locuzione “di carattere straordinario” non è più presente nella norma dal 1-1-2007, a seguito dell’art. 1, comma 109, lett. h, della legge finanziaria 2007), di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all’art. 30 della I. n. 724 del 1994, la cui prova è a carico del contribuente, non va intesa termini assoluti bensì economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass., sez.5, 20 giugno 2018, n. 16204; Cass., sez. 5, 3 novembre 2020, n. 24314). Si è precisato che, in tema di società di comodo, il meccanismo di determinazione presuntiva del reddito di cui all’art. 30 della I. n. 724 del 1994, superabile mediante prova contraria, non si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, rispetto al quale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04) ha affermato che una normativa nazionale che si fondi sull’esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se un’operazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali, e quindi elusiva, va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive, ove il contribuente sia messo in grado, senza oneri eccessivi, di dimostrare le eventuali ragioni commerciali che giustificano detta operazione (Cass., sez. 5, 20 giugno 2018, n. 16204).
2.5. L’esistenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito, deve essere, dunque, provata dal contribuente, purché tali situazioni oggettive siano specifiche e, soprattutto, indipendenti dalla sua volontà (Cass., sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 21358). In un caso, è stata annullata la decisione di merito, contraria alla contribuente, che aveva omesso ogni considerazione sulla crisi del settore automobilistico quale elemento determinante della scelta aziendale di riconversione della produzione nel settore dei pannelli solari (Cass., sez. 6-5, 12 febbraio 2019, n. 4019).
Tra le oggettive situazioni possono rientrare i casi in cui non sono state concesse le necessarie autorizzazioni amministrative (Cass., sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34642 in motivazione), pur essendo state tempestivamente richieste, oppure nel caso in cui venga svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeutica all’esercizio di un’altra attività produttiva, sempre che la stessa attività di ricerca non consenta, di per sé la produzione di beni e servizi e la conseguente realizzazione di proventi (in tal senso vedi Circolare dell’Agenzia delle entrate del 2 febbraio 2007 n. 5/E).
2.6. Le oggettive situazioni che rendono impossibile il conseguimento della soglia dei ricavi e degli altri elementi positivi di reddito non sussistono in caso di carenze “pianificatorie” aziendali o di scelte ed iniziative imprenditoriali libere, come in ipotesi di cessione dei beni aziendali in comodato d’uso gratuito (Cass. sez. 5, 7 dicembre 2020, n. 27976). È necessario, per esempio, in caso di inoperatività dipesa dalla mancata costruzione dell’immobile da utilizzare per lo svolgimento dell’attività, la prova che il ritardo sia stato determinato da ragioni estranee al contribuente e non riconducibili alla sua volontà (Cass., sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34642).
Anche il mero incremento del patrimonio, come l’acquisizione di un capannone, è di per sé irrilevante, in quanto il test di operatività e la presunzione di inoperatività agiscono su un diverso piano del reddito, nei termini della comparazione tra i ricavi effettivi del conto economico e i ricavi figurativi proiettati dagli assets. Pertanto, un’operazione “isolatamente” patrimoniale non esprime redditività societaria e, quindi, non confuta la natura fittizia dell’ente, potendo anzi darne la più limpida dimostrazione (Cass., sez. 5, 10 marzo 2017, n. 6195).
2.7. La ratio dell’istituto è quella di disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi-quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci-da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (Cass., sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 21358). Per tale ragione, si fa riferimento società a senza impresa, o di mero godimento, e dunque “di comodo” ( cfr. Circolare n. 5/E della Agenzia delle entrate – premessa – “La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nel nostro ordinamento dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, allo scopo di contrastare le c.d. società di comodo e, in particolare, di disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società”).
Per la dottrina si ritiene che tale disciplina speciale sia sorta allo scopo esclusivo di gestire patrimoni, usufruendo del regime di deduzione analitica delle spese.
Pertanto, si è fatto leva su un evidente intento antielusivo del legislatore, teso a penalizzare coloro che intendevano realizzare un risparmio di imposta utilizzando un’interposizione soggettiva nei patrimoni.
Per altra parte della dottrina, invece, le disposizioni hanno una giustificazione di tipo “antievasivo”, improntata ad una concezione normativa della società quale modulo organizzativo volto esclusivamente all’effettivo esercizio di un’impresa.
Per altri ancora si tratta di una disciplina di contrasto e di svantaggio fiscale, in quanto finalizzata a combattere l’abnorme impiego dello strumento societario. Altra parte della dottrina fa riferimento ad un polimorfismo normativo, rispondendo la normativa a più funzioni. Non manca chi evidenzia che la disciplina in esame introduce elementi di tassazione patrimoniale nell’ambito delle imposte sul reddito, in casi in cui le società non producono redditi adeguati e beni posseduti.
Infine, si ritiene che le disposizioni speciali per le società di comodo siano finalizzate ad esigenze di cassa, assicurando un concorso alle spese pubbliche pure in assenza di realizzazione del presupposto.
2.8. L’art. 30 della legge n. 724 del 1994 ha, dunque, la finalità di fungere da antidoto al dilagare di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria. Si intende evitare l’utilizzo dello schema societario, quindi, per il conseguimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciale (Cass., sez. 5,3 novembre 2020, n. 24314).
Si è chiarito che la potenzialità imprenditoriale, comprovata dallo svolgimento o, quantomeno, dalla programmazione di un’attività commerciale finalizzata alla realizzazione di ricchezza, rappresenta l’elemento che condiziona la disciplina fiscale delle singole componenti reddituali e patrimoniale dell’impresa; sicché la produttività, sia pure soltanto programmata ovvero in atto, ma con risultati reddituali inferiori agli standards legali detenuti dalla società costituisce condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per ottenere la disapplicazione della disciplina antielusiva sulle società di comodo (Cass., sez. 5, n. 31626 del 2019; Cass., sez. 5, 3 novembre 2020, n. 24314).
2.9. Nella specie, il giudice d’appello ha ritenuto sussistente la situazione oggettiva di impossibilità a raggiungere le soglie del test di operatività, di cui all’art. 30, comma 4-bis, della legge 724 del 1994, in quanto i modesti ricavi dell’anno 2006, pari ad € 4.294,00, trovavano giustificazione nella scarsa produttività del periodo, determinata dal sopraggiunto fallimento della società produttrice del tunnel di sterilizzazione, ritenuto fondamentale per la specifica tipologia di attività svolta dalla contribuente, che avrebbe dovuto produrre alimenti a lunga conservazione senza conservanti, non surgelati, bensì semplicemente sterilizzati e conservabili a temperatura ambiente. Era, dunque necessario l’impiego dell’innovativa tecnologia di sterilizzazione a microonde.
Una volta dichiarato il fallimento della società produttrice del tunnel di sterilizzazione, non essendo più possibile eliminare i vizi riscontrati nello stesso, la società ha deciso di procedere alla sterilizzazione con autoclave a vapore.
Pertanto, secondo il giudice d’appello, le materie prime acquistate nel 2006 erano state integralmente adoperate per le indispensabili prove di produzione (ricette) e per la successiva sterilizzazione, mentre il modesto volume d’affari dichiarato sia per l’anno 2006 che per l’anno 2007 (in questo anno per € 4.043,00) era ascrivibile alle fatturazioni di campionature di prodotto non pagate da potenziali clienti a causa della scadente sterilizzazione della produzione e del rapido deterioramento della stessa. Pertanto, il giudice d’appello, con congrua ed analitica motivazione, ha dato atto della sussistenza proprio di quelle situazioni oggettive di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento delle soglie indicate nel testo di operatività, non riconducibili alla volontà della società contribuente ed a scelte imprenditoriali errate della governance della società. L’Agenzia delle entrate, con il ricorso per cassazione, intende chiedere a questa Corte una nuova valutazione degli elementi istruttori, già congruamente esaminati dal giudice d’appello, non consentita in questa sede.
Non v’è dubbio, peraltro, che il fallimento della società produttrice dello strumento indispensabile per la produttività della contribuente (il tunnel di sterilizzazione) abbia costituito una oggettiva situazione di carattere straordinario, tale da impingere sulla produttività della società in modo rilevante e determinante, sì da non consentire il raggiungimento delle soglie previste nei test di operatività, in assenza di colpa della contribuente. Il sostanziale mancato avvio della produzione non è, dunque, riconducibile a erronee strategie imprenditoriali della contribuente. Il giudice d’appello ha preso in esame fatti specifici costituenti oggettive situazioni di impossibilità di raggiungimento dei limiti quantitativi previsti dal test di operatività; in particolare, ha preso atto del mancato funzionamento del tunnel di sterilizzazione a microonde, quale impianto fondamentale per lo stabilimento, fin dalla data della sua consegna alla società contribuente; delle inadempienze contrattuali della società produttrice, dichiarata fallita nell’anno 2004; dei tentativi esperiti di ricorrere ad un metodo alternativo e artigianale di produttività, consistente nell’utilizzo di autoclave per la sterilizzazione delle vaschette; della persistente inattività della contribuente alla data del 3 marzo 2006 (cfr. pagina 13 della sentenza “il mancato avvio della produzione alla data del 3 marzo 2006″) , nonostante la necessitata modifica dei piani industriali, con impegno all’effettuazione di indispensabili prove di produzione alla data del 19 ottobre 2006 (” Le attività svolte alla data del 19 ottobre 2006, quando i soci avevano deliberato di ottimizzare l’organizzazione aziendale per il settore commerciale, di definire i piatti producibili a quella data con formule definitive e di disporre un programma mensile per ricercare provare nuove ricette”).
3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo.
4. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550; Cass., n. 889/2017).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della società le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 12.000,00, oltre euro 200 per esborsi, Iva e cpa, oltre rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15%.
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