CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 gennaio 2022, n. 1449
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Costi ribaltati dalla capo gruppo alle consociate – Requisiti di certezza ed inerenza – Deducibilità e detraibilità
Fatti di causa
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Foggia n. 212/3/11 che aveva accolto i ricorsi di P.A. srl contro gli avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2005.
La CTR osservava in particolare che il gravame agenziale era fondato quanto alla ripresa inerente i “costi di regia” (0,4% del fatturato) addebitati alla società contribuente dalla controllante/consolidante, difettandone i requisiti di “certezza” ed “inerenza” e peraltro avendo la stessa società contribuente definito in adesione la medesima ripresa per l’annualità 2003, dovendosi a ciò attribuire valenza “confessoria”.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate
Ragioni della decisione
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 109, dPR 917/1986, poiché la CTR ha affermato l’indeducibilità, per mancanza di “certezza” ed “inerenza”, dei costi addebitatile, anche, per l’annualità in contesto da H. I. spa, società consolidante, a titolo di Corporate Know-How Fee (0,4% del fatturato) e quindi sancito la fondatezza della relativa ripresa fiscale.
La censura è fondata.
Dalla, scarna, motivazione della sentenza impugnata emerge infatti in modo piuttosto evidente la sussistenza del vizio denunciato, specificamente sotto il profilo della “falsa applicazione” della disposizione legislativa evocata.
Va ricordato che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, «In tema di imposte sui redditi e con riguardo al reddito di impresa, la semplice produzione di documenti di spesa (nella specie, “note spese” liquidate da una società ai propri dipendenti) non prova, di per sé, la sussistenza del requisito della inerenza all’attività di impresa. A tal riguardo, infatti, perché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11241 del 09/05/2017, Rv. 644257 – 01) e che «In tema d’imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 75 (ora 109) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – sicché i costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili» (Sez. 5, Sentenza n. 4041 del 27/02/2015, Rv. 634740 – 01).
Orbene, non può dubitarsi che nel caso di specie i costi de quibus erano certi e determinabili, sulla base della documentazione contrattuale infragruppo prodotta in lite (v., per autosufficienza, quanto in ricorso), trattandosi di un costo “ribaltato” dalla capo gruppo olandese (H. International B.V) alla capo gruppo italiana (H. Italia spa) e quindi, tramite la holding P. srl, alle consociate di quest’ultima, tra le quali P.S.A. srl (in allora P.P. srl).
Quanto all’inerenza, oltre al secondo arresto giurisprudenziale sopra citato, va anche ribadito che «In tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, comma 5, del medesimo d.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 450 del 11/01/2018, Rv. 646804 – 01) e che «In tema di redditi di impresa, il controllo del fisco sull’inerenza dei costi d’impresa, ai fini della loro deducibilità, non può interferire nel campo delle scelte imprenditoriali, a meno che la sproporzione tra prestazioni non sia rilevante ed evidente “ictu oculi”» (Sez. 5 – , Sentenza n. 2224 del 02/02/2021, Rv. 660447 – 03).
Anche in ordine a tale diverso presupposto di deducibilità dei costi in questione la sentenza impugnata risulta senz’altro disallineata rispetto alla giurisprudenza di questa Corte, essendo le affermazioni in diritto del giudice tributario di appello chiaramente contrastanti con i citati arresti giurisprudenziali.
Previa cassazione della sentenza, il giudice del rinvio si dovrà dunque uniformare a detti principi di diritto, comunque tenendo conto che, trattandosi di rapporti infra-gruppo all’interno di un regime opzionale di consolidato nazionale, si è anche affermato nella giurisprudenza di legittimità che «In tema di reddito di impresa, la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali e sui servizi prestati dalla controllante, è subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, inteso a migliorare la posizione economica o commerciale della stessa» (ex pluribus, Sez. 5 – , Ordinanza n. 19001 del 06/07/2021, Rv. 661806 – 01) e che «In tema di reddito di impresa, ai fini della deducibilità dei costi infragruppo derivanti da accordi “cost sharing agreements”, non può ritenersi sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate – quali le attività direzionali, amministrative, legali e tecniche – e la fatturazione dei corrispettivi, richiedendosi, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 8001 del 22/03/2021, Rv. 660780 – 01).
Così inquadrati i termini giuridici Cella lite, il giudice del rinvio ne riesaminerà dunque i correlativi profili di fatto.
In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti i restanti motivi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Puglia, sezione staccata di Foggia, per nuovo esame ed anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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