TRIBUNALE DI LECCE – Ordinanza 21 gennaio 2022, n. 9
Previdenza – Indebito previdenziale non pensionistico (nella specie, indennità di disoccupazione) – Omessa previsione dell’irripetibilità delle somme laddove siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato nel percettore un legittimo affidamento circa la loro spettanza. – Codice civile, art. 2033
Fatti di causa
Parte ricorrente, attualmente titolare di pensione VO, ha fatto presente che con nota del 26.11.2013 INPS ha chiesto il pagamento della somma di euro 1926,60 a titolo di maggiori somme corrisposte sulla indennità di disoccupazione (prestazione DS n. 1192) percepita tra ottobre 2004 e l’11 luglio 2005. Il ricorrente ha eccepito la violazione dell’art. 3 l. 241/1990, violazione dell’art. 52 l. 88/89 nonché violazione del principio di buona fede. Ha evidenziato anche il lungo tempo trascorso tra cessazione dell’erogazione e prima richiesta di restituzione, la circostanza che INPS fosse a conoscenza di tutti gli elementi per determinare l’indennità, la destinazione della somma alla soddisfazione delle esigenze alimentari di esso ricorrente.
INPS, nel costituirsi, ha rappresentato che la normativa richiamata dal ricorrente appare inconferente in quanto – in caso di indebito su prestazioni previdenziali non pensionistiche (come la disoccupazione) – trova applicazione l’art. 2033 cc. Ritiene infondate le argomentazioni del ricorrente. Rispetto alla buona fede dello stesso, INPS si limita a ritenerla irrilevante e richiama in proposito Cass. 12146/2003. In via preliminare INPS ha eccepito la prescrizione e la decadenza dall’azione.
Con le note di trattazione del 2.4.2021 parte ricorrente ha insistito nelle proprie tesi richiamando giurisprudenza di legittimità (relativa all’indebito assistenziale e ad altra fattispecie su cui infra) a sostegno del rilievo della buona fede e del legittimo affidamento dell’accipiens.
All’udienza del 18.1.2022 la causa veniva riservata. A scioglimento della stessa si ritiene di dover sottoporre a codesta Ecc.ma Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale dell’art. 2033 cc in relazione agli art. 11 e 117 c. I Cost. con riferimento all’art. 1 Protocollo Addizionale Convenzione EDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848 pubblicata in GU n. 221 del 24.9.1955, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
La normativa rilevante.
Appare preliminare e dirimente individuare la normativa rilevante rispetto al presente indebito.
Orbene, INPS ha fatto riferimento a Cass. 12146/2003 (secondo cui: “Nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta dall’I.N.P.S. in relazione alle somme corrisposte a titolo indennità di disoccupazione, qualora risulti accertato che l’erogazione è avvenuta “sine titulo”, la ripetibilità delle somme non può essere esclusa ex art. 2033, cod. civ., per la buona fede dell’accipiens, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi, non essendo inoltre neppure applicabile alla succitata fattispecie l’art. 1, commi duecentosessantesimo ss., legge n. 662 del 1996, che concerne esclusivamente le prestazioni pensionistiche.”). Si esprime nel medesimo senso Cass. 3488/2003.
Tale orientamento risulta confermato anche da giurisprudenza successiva in tema di prestazioni previdenziali non pensionistiche.
In particolare, Cass. 10274/2021 – richiamando come espressione di un principio generale i precedenti in tema di indebito previdenziale non pensionistico – ha ritenuto assoggettabile all’art. 2033 cc l’azione di ripetizione per indebita fruizione di permessi ex l. 104/92 (la fattispecie era relativa a permessi fruiti da lavoratore del settore privato e quindi specificamente afferente a prestazione previdenziale non pensionistica, come esplicitato nella motivazione della citata decisione). Parimenti, Cass. 31373/2019 ha ritenuto che sia l’art. 2033 cc ad applicarsi in caso di indebito su prestazione di mobilità. La medesima soluzione, sempre in tema di indennità di mobilità, era già stata fatta propria da Cass. 3824/2011.
In sostanza, esiste un costante orientamento di legittimità che assoggetta all’art. 2033 cc tutte le ipotesi di indebito previdenziale non pensionistico.
Come si vedrà in punto di rilevanza, le ulteriori norme – così come gli orientamenti giurisprudenziali – citati da parte ricorrente non possono trovare applicazione al caso di specie.
Pertanto, alla luce del diritto vivente, risulta applicabile l’art. 2033 cc secondo cui: Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.
Nel caso oggetto di causa, come anche confermato dalla memoria INPS, non si fa oggetto di computo di accessori ma solo della ripetibilità della prestazione erogata. Le circostanze di fatto invocate dal ricorrente (pacificamente riconducibili alle nozioni di buona fede e legittimo affidamento) pertanto, anche laddove riconosciute, risulterebbero irrilevanti in assenza di intervento di codesta Ecc.ma Corte.
Come sarà approfondito, tuttavia, la giurisprudenza della Corte EDU ha inteso valorizzare il profilo del legittimo affidamento nella tutela del patrimonio dei percettori di prestazioni pubbliche ritenendo violativo dell’art. 1 Protocollo Addizionale n. 1 CEDU – sotto il profilo della proporzionalità – il recupero dell’indebito senza valorizzare proprio la sussistenza di un legittimo affidamento dell’accipiens in buona fede. Da tale circostanza questo giudice ritiene derivi la necessità della presente questione di legittimità costituzionale.
La rilevanza.
La questione è rilevante nel caso di specie in quanto non risultano applicabili gli ulteriori principi e le ulteriori norme invocate dal ricorrente che di seguito vengono scrutinate. Né appare possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma rilevante (2033 cc) alla luce della giurisprudenza di seguito illustrata.
Tuttavia, preliminarmente, in quanto potenzialmente idonee a determinare l’esito del giudizio, vanno affrontate l’eccezione di prescrizione e quella di decadenza ex art. 47 dpr 639/70 avanzate da INPS. Le stesse sono infondate. Infatti, la prestazione è già stata erogata e quindi non si applica la decadenza ex art. 47 cit. in quanto la stessa opera in caso di prima richiesta della prestazione e non laddove la stessa sia stata concessa e poi oggetto di ripetizione di indebito. Ugualmente non opera prescrizione alcuna. La prestazione è stata già erogata in via amministrativa in favore del ricorrente (come ammette INPS, che infatti obietta solo rispetto al quantum a suo tempo erogato) e quindi nessuna prescrizione è ipotizzabile in danno dello stesso in sede di giudizio in cui il percettore contesta la legittimità della ripetizione di indebito azionata da INPS.
Di contro, alcuna prescrizione, decennale, dell’azione di indebito da parte di INPS è maturata o è stata tantomeno eccepita dal ricorrente.
Nel merito, in primo luogo, non trova applicazione l’art. 3 l. 241/1990. Trattandosi di giudizio afferente al rapporto previdenziale resta irrilevante il tenore del provvedimento INPS (Cass. 9986/2009).
In generale, si esprime per l’irrilevanza della disciplina dell’art. 3 l. 241/90 – e in generale della legge tutta sul procedimento amministrativo nella materia degli indebiti previdenziali – Cass. 31954/2019 (e giur. ivi citata).
Si è quindi di fronte ad un orientamento consolidato che non consente di considerare utilmente valutabile questa argomentazione del ricorrente.
Parimenti, non può trovare applicazione l’art. 52 l. 88/89 (e neppure l’art. 13 l. 412/91, invero e per i medesimi argomenti).
Tali norme, cosi espressamente Cass. 10274/2021, “sono proprie di un diverso sistema (indebito pensionistico) non applicabile all’indebito su prestazioni previdenziali non pensionistiche”.
Come affermato da Cass. 31373/2019: Peraltro, alla possibilità di adottare un’interpretazione analogica della citata disposizione introdotta dal legislatore del 1989 osta la consolidata giurisprudenza di legittimità nel senso del carattere eccezionale delle disposizioni sull’indebito, non suscettibili di interpretazione analogica ed applicazione a qualunque prestazione previdenziale (v., fra le altre, Cass. n.28517 del 2008: Cass. n.3824 del 2011). […] Corroborano ulteriormente la non praticabilità di un’interpretazione analogica sia la necessità di evitare antinomie nel sistema sia la coerenza sistematica, non potendo trascurarsi la consolidata giurisprudenza che ha affermato l’inapplicabilità, per via analogica, del citato articolo 52 della legge n.88 del 1989 alle prestazioni assistenziali indebite (v., fra le altre, Cass. nn. 15550 e 15719 del 2019, Cass. nn. 28771 e 5059 del 2018) […]
L’attuale diritto vivente è quindi nel pacifico senso dell’esclusione dell’applicabilità dell’art. 52 cit. (e per gli stessi motivi va esclusa l’applicabilità dell’art. 13 l. 412/1991).
Parimenti, non è applicabile la giurisprudenza di legittimità in tema di indebito su prestazioni assistenziali (il ricorrente cita Cass. 28771/18 ma in senso conforme sembrano potersi individuare, tra le altre, Cass. 13223/2020 e Cass. 26036/2019). Ferma restando l’evoluzione che sta vivendo la giurisprudenza in tema di indebito assistenziale, i due sistemi di ripetibilità degli indebiti – assistenziale e previdenziale non pensionistico – sono tra loro autonomi e parimenti insuscettibili di applicazione analogica.
Invero, la giurisprudenza più recente venuta consolidandosi in ambito assistenziale sottrae l’indebito assistenziale alla disciplina dell’art. 2033 cc; di contro, il diritto vivente in materia di prestazioni previdenziali non pensionistiche afferma l’applicazione dell’art. 2033 cc.
Come evidenziato da Cass. 13916/2021: La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di indebito assistenziale pur affermando (con le ordinanze n. 264/2004 e n. 448/2000) che non sussiste un’esigenza costituzionale che imponga per l’indebito previdenziale e per quello assistenziale un’identica disciplina, ha ritenuto che operi anche “in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell’indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile” (ord. n. 264/2004). La Corte costituzionale ha evidenziato che ” il canone dell’art. 38 Cost., appresta al descritto principio di settore una garanzia costituzionale in funzione della soddisfazione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto obbligatorio, che verrebbero ad essere contraddette dalla indiscriminata ripetizione dà prestazioni naturaliter già consumate in correlazione – e nei limiti – della loro destinazione alimentare (C. Cost. n. 39 del 1993; n. 431 del 1993)”.
Parimenti inconferente è l’ulteriore decisione citata dal ricorrente nelle note di trattazione del 2.4.21 (Cass. 482/2017). La stessa riguarda invero la questione dei rapporti tra art. 2126 cc e art. 2036 cc. Trattasi di fattispecie totalmente avulsa dal qui presente caso e relativa a norma (2126 cc) che non viene in alcun rilievo in questo caso.
Emerge quindi che nello specifico settore che qui rileva – quello degli indebiti previdenziali non pensionistici – a venire in rilievo sia “soltanto” l’art. 2033 cc e che ulteriori discipline proprie di altri sottosettori non siano applicabili alla fattispecie.
In sostanza, la giurisprudenza citata (Cass. 12146/2003, Cass. 10274/2021, Cass. 31373/2019, Cass. 3824/2011, Cass. 3488/2003) – per continuità e portata argomentativa – perviene a costituire quel diritto vivente in presenza del quale il giudice a quo – se è pur libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, essendo la “vivenza” della norma una vicenda per definizione aperta, ancor più quando si tratti di adeguarne il significato a precetti costituzionali – ha alternativamente la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di “diritto vivente” e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con parametri costituzionali (sentenze n. 191 del 2013, n. 258 e n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004); così C. cost. n. 242/2014; in tal senso anche sentenze n. 33 del 2021, n. 75 del 2019, n. 39 del 2018, n. 259 e n. 122 del 2017.).
Diversi esiti interpretativi non appaiono possibili alla luce del complessivo tenore della giurisprudenza di legittimità sopra riportata.
Sempre in punto di rilevanza, come rappresentato da codesta Ecc.ma Corte – sent. 59/2021 – [a]nche nella prospettiva di un più diffuso accesso al sindacato di costituzionalità (sentenza n. 77 del 2018, punto 8 del Considerato in diritto) e di una più efficace garanzia della conformità della legislazione alla Carta fondamentale, il presupposto della rilevanza non si identifica nell’utilità concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare (sentenza n. 20 del 2018, punto 2 del Considerato in diritto)» (sentenza n. 174 del 2019, punto 2.1. del Considerato in diritto). La rilevanza si configura come «necessità di applicare la disposizione censurata nel percorso argomentativo che conduce alla decisione e si riconnette all’incidenza della pronuncia di questa Corte su qualsiasi tappa di tale percorso» (sentenza n. 254 del 2020, punto 4.2. del Considerato in diritto). L’applicabilità della disposizione censurata è dunque sufficiente a fondare la rilevanza della questione proposta (fra le molte, sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, si ritiene che la rilevanza della questione discenda non solo dalla necessità di applicare la norma in giudizio ma – a rafforzare, per questo giudice, la sussistenza del requisito – anche da una serie di elementi allegati in ricorso la cui valutazione sarebbe assolutamente preclusa in assenza di intervento additivo di codesta Ecc .ma Corte.
In concreto, in assenza di intervento di codesta Ecc.ma Corte il ricorso andrebbe rigettato.
E’ provato in atti che il ricorrente abbia ricevuto una somma (parzialmente) non spettante. Ed invero – secondo la giurisprudenza di legittimità in materia di indebito previdenziale (applicabile anche al caso dì specie) – l’onere della prova in materia grava sempre sul percettore (SSUU n. 18046 del 2010, Cass. 2739/2016 in tema di indebito su disoccupazione.). Non vi sono allegazioni sulla spettanza del diritto in ricorso.
Né assume rilievo la motivazione del provvedimento di indebito perché si tratta di giudizio sul rapporto (sotto forma di accertamento negativo dell’obbligo restitutorio, SSUU n. 18046 del 2010) e non sull’atto (nega la rilevanza della motivazione del provvedimento in materia previdenziale/assistenziale anche Cass. 26231/18 -pronunciatasi a seguito di ordinanza interlocutoria 6375/18 della sez. VI-L e alla quale va quindi riferito particolare rilievo nomofilattico).
In ogni caso, un diverso orientamento (come sembrerebbe essere quello di Cass. 198/2011) – oltre a non essere accoglibile in quanto surrettiziamente in contrasto col dictum delle citate Sezioni unite e con le sentenze precedentemente citate che negano rilievo all’applicazione della l. 241/90 alla materia dell’indebito previdenziale -porterebbe al più a un’inversione in giudizio del citato onere probatorio (in quanto si verte pur sempre su un giudizio sul rapporto e sulla spettanza del diritto).
In ogni caso, INPS in questo giudizio – nella propria memoria e nei propri atti – ha dato prova dell’effettivo maggior pagamento, quindi neppure tale aspetto potrebbe essere positivamente vagliato.
Le difese attoree si incentrano quindi o su profili formali della richiesta di indebito INPS (argomentazione afferente l’art. 3 l. 241/90, come visto infondata) o su argomenti che postulano l’applicazione di un sistema derogatorio rispetto all’art. 2033 cc o comunque sull’applicazione del principio di buona fede/affidamento e, come detto, condurrebbero al rigetto del ricorso.
Di contro, in caso di accoglimento della proposta questione, questo giudice potrebbe valutare nel merito le argomentazioni – sintetiche ma precise – spese dal ricorrente sotto il profilo dell’affidamento/buona fede.
A tal proposito, è certo che l’indennità di disoccupazione, ancorché in misura minore, fosse spettante – a seguito di domanda – come pacificamente ammesso da INPS in memoria. La stessa è stata quindi percepita in base ad un legittimo titolo. L’argomentazione di INPS secondo cui la maggior erogazione sarebbe da considerarsi senza titolo è contraria alle indicazioni della giurisprudenza CEDU di seguito richiamata (p.es. sentenza Čakarević c. Croazia, parr. 56 ss) e, come tale, inidonea a privare di rilevanza la presente questione.
Parimenti, è provata (e comunque non contestata) la buona fede del ricorrente in quanto lo stesso INPS ammette – a pag. 3 della memoria difensiva – che è stata valutata come di buona fede la percezione delle somme e che tuttavia di ciò si è tenuto conto solo in punto di accessori del credito restitutorio, proprio in ossequio all’art. 2033 cc.
E’ ancora provato che il ricorrente abbia ricevuto la prima comunicazione di restituzione dopo oltre otto anni dalla ricezione dell’ultimo accredito della prestazione di disoccupazione (la nota INPS è del novembre 2013).
Lo stesso ricorrente evidenzia in ricorso: il tempo trascorso tra ultima rata percepita e nota di indebito, l’imputabilità all’ente del fatto, la conoscibilità di tutti i dati rilevanti da parte di INPS, l’utilizzo della somma per finalità di sussistenza (pg. 2 ricorso).
Trattasi di elementi tutti riscontrati in atti e che – in caso di accoglimento del presente incidente di costituzionalità – dovrebbero essere valutati. In caso contrario, resterebbero invece irrilevanti.
Sotto il profilo della rilevanza dell’errore dell’ente si ritiene anche di fare le presenti brevi precisazioni.
Per completezza di argomentazione va precisato che non si ritiene che l’erogazione della somma in eccesso chiesta in ripetizione sia stata basata su un mero errore di calcolo. Infatti, dalla documentazione in atti, proveniente da archivi INPS, appare che la stessa variasse di mese in mese anche per periodi di pari durata indennizzati e questo in virtù dell’operare di INPS (p.es. rata di giugno 2005 doppia rispetto a maggio 2005 a sua volta diversa da aprile 2005 e questo senza che variassero elementi quali gli ANF).
Appare pertanto non si verta in ipotesi di mero errore materiale.
Inoltre, quanto indicato a pg. 2 e 3 nella memoria INPS, suggerisce che l’ente abbia valutato un periodo di indennizzabilità dell’evento di disoccupazione maggiore di quello ritenuto spettante.
Inoltre, dopo aver erogato la prestazione per un congruo lasso di tempo, INPS ha atteso oltre 8 anni per chiedere la ripetizione dell’eccesso; tale lasso di tempo appare idoneo a far intendere l’avvenuta stabilità di quanto erogato (ciò a maggior ragione in quanto INPS ha dedotto di aver scoperto la circostanza del maggior importo erogato già nel settembre 2005, come ammesso in memoria).
Né vi è presenza o prova di alcuna riserva di ripetizione, neppure menzionata da INPS.
In ultimo, in assenza di intervento di codesta Ecc.ma Corte, non potrebbe essere presa in considerazione la esigua entità della somma da ripetere, la circostanza che l’intero importo della disoccupazione erogata era comunque modesto e che tale somma serviva a supportare i bisogni alimentari di un soggetto privo di occupazione (e attualmente pensionato ultrasettantenne).
Tali elementi potrebbero essere presi in considerazione solo a seguito di intervento additivo di codesta Ecc.ma Corte.
Da quanto descritto, questo giudice ritiene che la questione di costituzionalità sia rilevante nel giudizio a quo.
Non manifesta infondatezza.
Questo giudice ritiene che l’art. 2033 cc – anche alla luce della giurisprudenza sopra citata – si ponga in contrasto con gli artt. 11 e 117 e 1 della Costituzione in relazione all’art. 1 Protocollo Addizionale n. 1 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Infatti, secondo la giurisprudenza CEDU la tutela di cui al citato art. 1 si estende anche a fattispecie come la presente nelle quali vi sia stata un’erogazione entrata nel patrimonio del richiedente e successivamente oggetto di istanza di ripetizione da parte di un ente pubblico.
I requisiti, indicati nei parr. 50 ss, della sentenza Čakarević v. Croatia (caso n. 48921/13), sono pienamente presenti nel caso di specie rispetto ai requisiti per rientrare nella nozione di proprietà di cui al citato Protocollo n. 1.
La giurisprudenza della Corte EDU – da definirsi consolidata, come richiesto da C. cost. 49/2015, stante la continuità nell’affermazione dei principi e il costante richiamo dei medesimi principi e precedenti nelle sentenze nel tempo intervenute – ritiene che il rispetto dell’art. 1 cit. richieda che l’intervento dell’autorità in sede di ripetizione debba essere anche ispirato a criteri di proporzionalità (tra le molte, sentenza Cakarevich cit; sentenza Romeva e. Macedonia del Nord, caso n. 32141/10; Casarin c. Italia, caso n. 4893/13 oltre alla giurisprudenza nelle stesse citata).
Questo giudice ritiene necessario rappresentare che l’ordinamento sovranazionale tratta uniformemente sotto la tutela dell’art. 1 cit. casi di ripetizione di indebito sia previdenziale sia retributivo in tema di pubblico impiego; nell’ordinamento nazionale, quello che accomuna queste fattispecie è che le stesse sono riconducibili all’art. 2033 cc. La stessa Corte EDU nelle proprie motivazioni indica anche degli elementi di fatto che sono idonei a individuare il riscontro del legittimo affidamento alla luce dell’art. 1 Protocollo I CEDU. Al di là degli indici sintomatici fattuali individuati nelle diverse pronunce, costituisce certamente fattor comune il fatto che per la giurisprudenza CEDU sia necessaria la valutazione del legittimo affidamento al fine di poter considerare proporzionata, e quindi rispettosa del citato art. 1, la pretesa restitutoria dell’ente erogatore.
Le stesse decisioni rese nei casi Čakarević e Romeva indicano in motivazione parametri di valutazione del legittimo affidamento (i medesimi parametri sono presi in considerazione della sentenza Casarin che valorizza anche ulteriori elementi, legati alla natura retributiva degli emolumenti del caso di specie).
La sentenza Čakarević ha statuito in via di principio che errori dell’ente non dovrebbero – di base – essere posti a carico del cittadino (cita in tal senso altre pronunce del medesimo organo: Platakou v. Greece, no. 38460/97, § 39 ; Radchikov v. Russia, no. 65582/01, § 50, 24 maggio 2007; Freitag v. Germany, no. 71440/01, §§ 37-42, 19 luglio 2007; and Šimecki v. Croatia, no. 15253/10, § 46, 30 aprile 2014). Inoltre, i tempi di intervento dell’ente erogante dovrebbero essere contenuti e congrui (cita in tal senso la pronuncia nel caso Tunnel Report Limited v. France, no. 27940/07, § 39, 18 novembre 2010, and Zolotas v. Greece (no. 2), no. 66610/09, § 42). Ed ha analizzato in concreto il bilanciamento di interessi tra le parti esaminando la fattispecie concreta.
La sentenza Romeva stessa ha valutato gli elementi di fatto addotti rilevando, come la sentenza Čakarević, la specificità del settore della sicurezza sociale. Le stesse hanno preso anche a riferimento la posizione soggettiva dei percettori nell’effettuazione del giudizio di proporzionalità.
Queste decisioni fanno specifico riferimento al sistema di sicurezza sociale (il medesimo in gioco nel caso pendente innanzi a questo giudice rimettente) e pertanto risultano particolarmente rilevanti anche rispetto al presente caso.
La sentenza Casarin, con specifico riferimento ad indebiti retributivi del pubblico dipendente, ha – al par. 74 della motivazione (1) – redatto addirittura un “decalogo” di indici sintomatici del legittimo affidamento per la specifica questione da essa affrontata.
Pur afferendo a diverso tipo di indebito, i principi desumibili sono i medesimi, ovverosia nella valutazione di ripetibilità dell’indebito va anche tenuto conto del legittimo affidamento del percipiente che deve essere desunto dalle circostanze di fatto rappresentate in giudizio.
Tra l’altro, i fatti presenti nella controversia pendente dinanzi a questo giudice presentano, come riportato nel paragrafo sulla rilevanza, caratteristiche che appaiono sussumibili anche negli “indici” della sentenza Casarin, par. 74.
L’art. 2033 cc. – alla luce della costante giurisprudenza di legittimità sopra richiamata -è insensibile agli elementi sopra indicati e si pone quindi in contrasto con l’art. 11 e l’art. 117 e 1 Cost. in relazione al Protocollo addizionale n. 1 della Cedu per come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte EDU.
Si ritiene quindi che la questione sia non manifestamente infondata.
Ulteriori notazioni.
Questo giudice è consapevole che codesta Ecc.ma Corte (C. cost. 1/2006) ha affermato – in diversa fattispecie ma con principio di carattere generale – che al legislatore che si sia allontanato dal principio civilistico della totale ripetibilità dell’indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) deve riconoscersi un ambito di discrezionalità nell’individuazione degli strumenti più idonei a garantire […] un congruo livello di tutela.
Sebbene in quel caso si parlasse di indebito pensionistico, nondimeno la precisa affermazione della sentenza rende necessario confrontarsi – nei limiti propri spettanti al giudice rimettente – con essa.
Va parimenti precisato che – …sebbene l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure (sentenza n. 175 del 2018), così anche C. cost. 194/2021 – la richiesta della presente pronuncia additiva non incide su profili di discrezionalità del legislatore in quanto la nozione di buona fede è, seppure in diversa funzione, già presa in considerazione dall’art. 2033 cc. Inoltre, il rilievo delle fonti sovranazionali e della stessa giurisprudenza CEDU fa a questo giudice sommessamente ritenere che la soluzione da adottare sia a rime obbligate. Il requisito individuato dalla normativa sovranazionale è infatti quello della tutela del legittimo affidamento per i percettori di buona fede.
La nozione di buona fede è – come sopra detto – elemento già proprio dell’art. 2033 cc, sebbene limitatamente alla restituzione di frutti e interessi.
La stessa nozione di legittimo affidamento, oltre a trovare un sostrato nello stesso art. 1 Protocollo n. 1 Cedu e nella giurisprudenza della Corte EDU, è patrimonio anche dell’ordinamento interno e non costituirebbe un innesto lesivo della discrezionalità del legislatore, a sommesso avviso di questo giudice. In conclusione, il verso della soluzione proposta si ritiene l’unico in grado di garantire il rispetto della Convenzione europea per come interpretata dalla consolidata giurisprudenza CEDU (cfr. C. Cost. 12/2022, punto 2.3).
Conclusioni.
Deve quindi rilevarsi che la disposizione dell’art. 2033 cc per come applicabile al caso di specie in base al diritto vivente – si pone in contrasto con l’art. 11 e l’art. 117 e 1 Cost. in relazione all’art. 1 Protocollo Addizionale Cedu firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (così come interpretato dalle sentenze della Corte EDU sopra richiamate) nella parte in cui non prevede l’irripetibilità dell’indebito previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione nel caso di specie) nel caso in cui il percettore di somme sia in buona fede e laddove la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato nel percettore un legittimo affidamento circa la spettanza della pretesa.
Si ritiene parimenti doveroso sottolineare che la stessa Corte EDU ha ritenuto – nei casi sopra menzionati – la violazione dell’art. 1 Protocollo Addizionale della Convenzione sotto il profilo della proporzionalità. Ciò induce a rappresentare che – dato il consolidato orientamento della Corte EDU – non viene meno del tutto meno la doverosità della ripetizione delle somme da parte dell’Amministrazione (che trova la propria fonte nei principi degli artt. 81 e 97 Cost) ma di contro l’ente erogatore in sede amministrativa, prima, ed eventualmente il giudice in sede contenziosa, dopo, dovranno valutare la sussistenza dei presupposti del legittimo affidamento (e della iniziale percezione in buona fede) per come sopra delineato/i. In sostanza, va rilevata l’esigenza costituzionale di un bilanciamento, ispirato a criteri di proporzionalità, tra l’obbligo di agire dell’Amministrazione e la tutela del patrimonio del soggetto “debitore”.
Si tratta quindi di consentire, tramite l’intervento di codesta Ecc.ma Corte, nell’ordinamento interno un bilanciamento tra interessi che renda proporzionato l’intervento del creditore pubblico in fase di recupero. Tale bilanciamento – da effettuarsi tramite la valorizzazione dei requisiti della buona fede e del legittimo affidamento – tra il patrimonio dei ricorrente e le esigenze dell’Amministrazione è reso necessario dai vincoli internazionali che lo Stato è tenuto a rispettare in virtù degli arti. 11 e 117 c. 1 cost (nel caso di specie in relazione all’art. 1 Protocollo Addizionale Convenzione EDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n, 848 pubblicata in GU n. 221 del 24.9.1955).
La disciplina dell’art. 2033 cc appare quindi in contrasto con gli artt. 11 e 117 c. 1 Cost. in relazione all’art. 1 Protocollo Addizionale n. 1 Convenzione EDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848 pubblicata in GU n. 221 del 24.9.1955 per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
(1) Traduzione tratta dal data base Hudoc e fornita dal Ministero della Giustizia per i fini di inclusione nella banca dati della Corte EDU, come dichiarato sul sito della stessa Corte EDU: 74.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte (paragrafi 59-73 sopra), la Corte rammenta in particolare che: a) il versamento di un assegno deve essere effettuato a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisce in buona fede (Čakarević, sopra citata, § 82; Moskal, sopra citata, § 68) o, in assenza di tale domanda, dalle autorità che procedono in maniera spontanea;
b) il versamento in questione deve essere effettuato da un ente pubblico, amministrazione centrale dello Stato o altro ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all’esito di un processo amministrativo e che si presume esatta (Romeva, sopra citata, § 68; Čakarević, sopra citata, § 80); c) deve essere fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione deve essere percepita dal beneficiario come la «fonte» del versamento (ibidem, § 83), e individuabile anche nel suo importo; d) il versamento manifestamente privo di titolo o basato su semplici errori di calcolo è escluso; tali errori possono essere rilevati dal beneficiario, eventualmente ricorrendo ad un esperto; e) deve essere effettuato per un periodo sufficientemente lungo per far nascere la convinzione ragionevole del suo carattere definitivo e stabile (ibidem, § 85, Moskal, sopra citata, § 69); l’assegno versato non deve essere in rapporto ad un’attività professionale occasionale e «isolata», ma deve essere legato all’attività ordinaria; f) infine, il versamento in questione non deve essere stato effettuato con l’indicazione di una riserva di ripetizione.
Pertanto, la Corte ritiene che, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, l’ingerenza subita dalla ricorrente sia stata sproporzionata in quanto quest’ultima, da sola, ha dovuto sostenere l’onere dell’errore commesso dall’amministrazione.
P.Q.M.
Visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli articoli 11 e 117 c. 1 della Costituzione in relazione all’art. 1 Protocollo Addizionale Convenzione EDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848 pubblicata in GU n. 221 del 24.9.1955, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU dell’art. 2033 cc, nella parte in cui non prevede l’irripetibilità dell’indebito previdenziale non pensionistico (indennità di disoccupazione, nel caso di specie) laddove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato legittimo affidamento del percettore circa la spettanza della somma percepita.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito disponendo che gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale tramite la procedura e Cost e che l’ordinanza sia notificata alle parti nonché al Presidente del Consiglio dei ministri.
Dispone che la presente ordinanza sia comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Sospende il giudizio in corso.
Si comunichi.
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