CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 luglio 2022 n. 22902
Lavoro – Pubblico Impiego – Spettanze retributive – Azione di ingiustificato arricchimento – Requisito del riconoscimento dell’utilitas – Esclusione
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Napoli confermava la pronuncia del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da E. F. nei confronti della Seconda Università degli Studi di Napoli;
2. E. F., architetto, aveva agito in giudizio chiedendo che, previo accertamento della propria attività didattica espletata a favore dell’Università di Napol dall’anno accademico 1993/94 all’anno accademico 2005/06, quest’ultima fosse condannata al pagamento della somma di euro 124,800,00 (con il parametro dei ricercatori universitari) o della minor somma di euro 84.000,00 (con il parametro dei dottorandi), o in subordine alla condanna di una somma da quantificare in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., a titolo di indebito arricchimento; aveva, in particolare, rappresentato di aver lavorato con continuità presso la facoltà di architettura “Luigi Vanvitelli” di Aversa, svolgendo attività di didattica, di insegnamento e di ricerca, senza mai ricevere compenso alcuno, tranne che per un contratto di collaborazione di tre mesi nell’anno accademico 1999/2000, un dottorato di ricerca negli anni 2001/2002 e 2002/2003, ed un compenso come professore a contratto nell’anno accademico 2005/2006;
3. il Tribunale aveva respinto la domanda;
4. il F. aveva proposto impugnazione con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 2041 cod. civ.; tale impugnazione era stata respinta dalla Corte d’appello;
5. riteneva la Corte territoriale necessario il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’Università, riconoscimento che nel caso in esame era mancato, non potendo ravvisarsi nel mero fatto della protrazione dell’attività e della sua utilizzazione, trattandosi di condotte non implicanti alcuna valutazione consapevole da parte dell’ente e che non poteva essere preso in considerazione il ‘risparmio di spesà dell’Ateneo a fronte dell’attività svolta dall’appellante dovendo, peraltro, tale requisito essere suffragato da supporti documentali e dovendo essere provato;
6. avverso tale pronuncia ricorre per cassazione D. E. F. con due motivi, cui resiste con tempestivo controricorso, la Seconda Università degli studi di Napoli;
7. il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. con i due motivi il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ. nonché difetto di motivazione per contraddittorietà ed illogicità in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.; censura la sentenza impugnata per avere ritenuto necessario il riconoscimento dell’utilitas; evidenzia che l’azione è stata avanzata in quanto la Cassazione nei confronti di un collega che aveva tentato l’azione di riconoscimento di spettanze retributive, nel rigettare detta richiesta, aveva precisato che il collega avrebbe dovuto avvalersi dell’azione di indebito arricchimento (Cass. 19 aprile 2001, n. 5738 e Cass. 16 ottobre 1984, n. 5194); rileva di aver fornito ampia prova sia sull’attività didattica svolta, sia sulla quantificazione dell’indebito arricchimento, prove assolutamente non contestate se non genericamente da parte convenuta; sostiene l’erroneità della sentenza che non ha tenuto conto di quanto affermato da Cass., Sez. Un., nella pronuncia n. 10798 del 2015 circa il fatto che in tema di azione di ingiustificato arricchimento promossa nei confronti della P.A. non è più necessario il requisito del riconoscimento dell’utilitas e precisato che la ratio dell’art. 2041 c.c. è quella di approntare, attraverso il riconoscimento dell’indennizzo, un rimedio ad una situazione di iniquità generata da arricchimenti senza causa;
2. il ricorso, quanto alla dedotta violazione di legge, supera il vaglio preliminare di ammissibilità ed è fondato nei termini di seguito illustrati;
2.1. la Corte territoriale ha ritenuto risolutivo il mancato riconoscimento dell’utilitas da parte dell’Università ed ha richiamato, sul punto Cass. 14 ottobre 2008, n. 25156; le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo il contrasto fra l’orientamento di legittimità che ammetteva il diretto apprezzamento dell’utilitas da parte del giudice ordinario e quello che ne riservava la valutazione agli organi rappresentativi dell’ente pubblico, hanno affermato (v. Cass., Sez. Un., 26 maggio 2015, n. 10798) che il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto”;
2.2. a fronte di un orientamento di legittimità in base al quale l’autonomo riconoscimento dell’utiliter versum, quale elemento distintivo dell’azione di indebito arricchimento contro la pubblica amministrazione, costituisce il punto di sintesi tra l’esigenza di rimuovere l’immunità degli enti pubblici rispetto al canone equitativo nemo locupletari potest cum aliena iactura e quella di preservare la discrezionalità amministrativa dall’ingerenza del giudice ordinario, le Sezioni Unite hanno privilegiato il diverso indirizzo che consente al giudice ordinario di sostituirsi alla pubblica amministrazione nella valutazione dell’utilitas, indice tendenziale del sistema a regolare l’attività di diritto comune degli enti pubblici in base a criteri paritari, tra i quali, appunto, il criterio nemo locupletari potest; in buona sostanza, il riconoscimento di utilità, quale requisito indispensabile, altro non è se non un retaggio di una tradizione di privilegio in favore degli enti pubblici, essendo illogico condizionare la decisione del giudice sul fatto obiettivo dell’arricchimento alla valutazione che ne faccia l’arricchito medesimo; tale ultimo orientamento ha trovato ulteriore e successiva conferma (Cass. 24 aprile 2019, n. 11209);
3. conclusivamente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra indicati, previo accertamento della sussistenza dell’ulteriore requisito dell’azione ex art. 2041 cod. civ. (residualità in rapporto alla domanda) e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;
4. non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla l. 24.12.12 n. 228.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.
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