CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 settembre 2022, n. 27128
CCNL Istituti di vigilanza privata del 2.5.2006 – Superamento dei limiti di orario – Obbligo di comunicazione ex art. 4, co. 5, d.lgs. n. 66/2003 – Esclusione
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha respinto l’appello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Sassari, confermando la decisione di primo grado che aveva accolto l’opposizione all’ordinanza ingiunzione di pagamento n. 72 del 15.5.2007 proposta da G.S. e dall’I.d.V.E. s.c.r.l. ed annullato l’ordinanza medesima.
2. La Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie oggetto di causa l’art. 71 del c.c.n.l. per i dipendenti degli Istituti di vigilanza privata sottoscritto il 2.5.2006 ed applicabile a far data dall’1.1.2005, che, in attuazione della delega di cui all’art. 4, d.lgs. n. 66 del 2003, ha individuato la durata massima dell’orario di lavoro in “48 ore ogni periodo di sette giorni, calcolate come media riferita a un periodo di 12 mesi decorrenti dal 1° gennaio di ogni anno di applicazione del presente contratto”.
Ha escluso la violazione dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 4, comma 5, d.lgs. n. 66 del 2003, ritenendo che tale obbligo sussista solo ove risulti superato il limite del lavoro settimanale rispetto alla media del periodo medesimo.
3. Ha parimenti ritenuto applicabili gli artt. 72 e 73 del c.c.n.l. là dove dettano una disciplina derogatoria (ai sensi dell’art. 17, d.lgs. 66 del 2003) rispetto agli artt. 7 e 9 del medesimo decreto legislativo in materia di riposi giornalieri e settimanali.
4. Avverso tale sentenza il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Territoriale del Lavoro di Sassari, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La C. s.c.p.a. non ha svolto difese.
Considerato che
5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 4, commi 2, 3, 4, dell’art. 7, comma 1, dell’art. 9, commi 1 e 2 lett. d), dell’art. 17, commi 1 e 4 e dell’art. 18 nis, commi 3, 4, 5 del d.lgs. 66 del 2003; dell’art. 1, legge 689 del 1981, degli artt. 71, comma 6, lett. b), 72, 73 e 144 del c.c.n.l., degli artt. 1418 e 1419 c.c.
6. Si afferma che il principio di irretroattività posto dall’art. 1 della legge 689 del 1981 impedisca di valutare gli illeciti contestati alla luce della retroattività (all’1.1.2005) degli effetti della parte normativa del contratto collettivo e quindi di dare applicazione al regime derogatorio introdotto dagli artt. 71, 72, 73 del contratto citato con riferimento a fatti posti in essere anteriormente alla data di conclusione dell’accordo collettivo medesimo (2.5.2006).
7. Il motivo è infondato.
8. L’art. 1 della legge n. 689 del 1981 prevede che “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
9. Il principio di irretroattività posto dal citato art. 1 impedisce di applicare retroattivamente una norma più favorevole. La Corte d’appello non ha violato tale principio ma si è limitata ad applicare le disposizioni del contratto collettivo, attuative della deroga consentita dal d.lgs. n. 66 del 2003, tenendo conto della decorrenza del contratto medesimo (art. 144), per la parte normativa, alla data dell’1.1.2005 come dalle parti sociali concordato.
10. Con il secondo motivo è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su uno specifico capo di domanda formulato in appello (360 n. 4 c.p.c.).
11. Si sostiene che la Corte d’appello, una volta ritenuta applicabile la disciplina derogatoria prevista dal contratto collettivo, avrebbe dovuto verificare nel merito il rispetto dei limiti di orario in relazione alla disciplina contrattuale ritenuta applicabile.
12. Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 4, commi 2, 3, 4, 5 del d.lgs. 66 del 2003; dell’artt. 71, comma 6, lett. b), del c.c.n.l., dell’art. 23, comma 11, legge 689/81 e dell’art. 112 c.p.c.
13. Si sostiene che il giudice investito dell’opposizione non debba limitarsi a verificare la legittimità dell’ordinanza ingiunzione impugnata ma deve estendere il proprio scrutinio al merito della pretesa fatta valere con la medesima ordinanza, nei limiti ovviamente delle deduzioni formulate e delle prove fornite dalle parti; che nel caso in esame l’omessa valutazione del rispetto della disciplina contrattuale (denunciata nel secondo motivo di ricorso) ha determinato la violazione delle disposizioni di legge denunciate.
14. Il secondo ed il terzo motivo, che si esaminano unitariamente perché logicamente connessi, sono parimenti infondati.
15. Questa Corte ha statuito che, in tema di sanzioni amministrative, l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione non configura un’impugnazione dell’atto, ed introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa, con l’ulteriore conseguenza che, in virtù dell’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (nella specie applicabile “ratione temporis”), il giudice ha il potere – dovere di esaminare l’intero rapporto, con cognizione non limitata alla verifica della legittimità formale del provvedimento, ma estesa – nell’ambito delle deduzioni delle parti – all’esame completo nel merito della fondatezza dell’ingiunzione, ivi compresa la determinazione dell’entità della sanzione, secondo i criteri stabiliti dall’art. 11 della legge citata, sulla base di un apprezzamento discrezionale insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici (v. Cass. n. 6778 del 2015).
16. La Corte d’appello si è attenuta a questi principi e si è pronunciata sui fatti contestati in sede amministrativa, cioè il superamento dei limiti di orario previsti dal d.lgs. n. 66 del 2003, e quindi sulla fondatezza dell’ingiunzione, mentre non poteva né doveva pronunciarsi su condotte diverse e non oggetto di accertamento e contestazione, cioè sul superamento dei limiti di orario differenti e più ampi previsti dal contratto collettivo in deroga al decreto legislativo citato.
17. Con il quarto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n 4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 17, comma 1, del d.lgs. 66 del 2003; dell’artt. 72 del c.c.n.l., dell’art. 1363 c.c.
18. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso le violazioni della disciplina in materia di riposi giornalieri, ritenendo, sulla base di una erronea interpretazione, direttamente e immediatamente applicabile la deroga di cui all’art. 72 del c.c.n.l.
19. Anche questo motivo è infondato atteso che la Corte di merito ha correttamente interpretato sia l’art. 17 del d.lgs. n. 66 del 2003, ritenendo che la disciplina derogatoria all’art. 7 del medesimo decreto legislativo potesse essere disposta dal contratto collettivo nazionale, e sia l’art. 72 del c.c.n.l., escludendo che quest’ultimo rimettesse esclusivamente alla contrattazione di secondo livello la previsione delle deroghe all’art. 7 del d.lgs. n. 66/2003.
20. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
21. Non si provvede sulle spese poiché la controparte è rimasta intimata.
22. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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