CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 5245 depositata il 20 febbraio 2023
Tributi – Avviso di accertamento catastale – Rettifica dei dati di classamento proposti dalla parte con dichiarazione docfa – Omesso sopralluogo – Motivazione – Contraddittorio e tributi non armonizzati – Rigetto
Fatti di causa
1. – Con sentenza n. 9132/17, depositata il 27 ottobre 2017, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto da M.S., così integralmente confermando il decisum di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento catastale emesso a rettifica dei dati di classamento proposti dalla parte con dichiarazione docfa, ed in relazione ad unità immobiliari per le quali era stata proposta la classe 2 delle categorie A/2 e C/6, classe rideterminata rispettivamente nelle classi 4 e 3.
Il giudice del gravame ha rilevato che andavano condivise le conclusioni cui era pervenuto il giudice del primo grado di giudizio atteso che, – in difetto di «allegazione di concreti elementi probanti atti ad inficiare l’avviso di accertamento contestato in causa», – emergeva «la correttezza del classamento dell’immobile in questione in relazione altresì all’egual trattamento riservato ad immobili simili inseriti nella stessa zona censuaria ed addirittura confinanti con quelli di che trattasi.».
2. – M.S. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di cinque motivi; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Fissato all’udienza pubblica del 1 dicembre 2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in l. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto d.l. n. 228 del 2021, art. 16, c. 1, conv. in l. n. 15 del 2022, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale.
Ragioni della decisione
1. – Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione al r.d.l. n. 652 del 1939, conv. in l. n. 1249 del 1939, al d.p.r. n. 1142 del 1949 ed al d.l. n. 70 del 1988, art. 11, c. 1, conv. in l. n. 154 del 1988, deducendo, in sintesi, che nella fattispecie:
– la rettifica di classamento era stata operata senza dar conto delle ragioni poste a fondamento dell’attribuzione delle (superiori) classi di merito, in difetto di sopralluogo e di ogni contraddittorio con la parte dichiarante;
– le caratteristiche tipologiche, e lo stesso fattore posizionale delle (sedici) unità immobiliari in contestazione, escludevano la fondatezza della rettifica operata dall’amministrazione;
– il riscontro comparativo operato con riferimento a unità immobiliari contermini dava diversamente conto, per un verso, della correttezza della proposta di classamento contenuta nella dichiarazione docfa e, per il restante, delle diverse caratteristiche tipologiche e costruttive delle unità immobiliari utilizzate dall’amministrazione a comparazione delle classi di merito attribuite;
– la stessa variazione di consistenza operata in avviso di accertamento avrebbe imposto il previo sopralluogo;
– in ragione di quanto sin qui denunciato emergeva, dunque, che il giudice del gravame aveva definito la controversia sulla base di una motivazione apparente.
Il secondo motivo reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.l. n. 16 del 1993, art. 2, conv. in l. n. 75 del 1993, ed al d.m. n. 701 del 1994, sull’assunto che la tesi di controparte, – sulla comparabilità oggettiva delle unità immobiliari, qual posta a fondamento della rettifica catastale, e senza necessità di un previo sopralluogo, – non avrebbe potuto condividersi «per gli evidenti limiti e non esaustività dei criteri comparativi» ai fini di «un oggettivo classamento»; rilievi questi che (ancora una volta) davano conto della motivazione apparente posta a fondamento del decisum, la Commissione tributaria regionale avendo escluso la concludenza probatoria di una consulenza di parte che la stessa amministrazione aveva prospettato come necessaria.
Col terzo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia falsa ed erronea applicazione della l. n. 212 del 2000, art. 6, c. 5, e art. 10, c. 1, deducendo che il comportamento tenuto dall’amministrazione si era posto in contrasto con dette disposizioni che, in quanto tali, dovevano ritenersi volte (anche) ad agevolare soluzioni conciliative e, perciò, alternative al (e di deflazione del) contenzioso tributario.
Col quarto motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.p.r. n. 1142 del 1949, art. 61, al d.l. n. 70 del 1988, art. 11, c. 1, conv. in l. n. 154 del 1988, ed alla l. n. 212 del 2000, art. 7, assumendo, – oltrechè l’apparente motivazione della decisione impugnata, – che l’Ufficio e i giudici di merito avevano tenuto in non cale «i dati parametrati … e comprovati da rilievi fotografici e da ben due relazioni di perizia descrittive» e che l’Ufficio aveva esposto dati di comparazione fallaci per ubicazione e caratteristiche costruttive delle unità immobiliari utilizzate.
Il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, cod. proc. civ., reca la denuncia di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio sull’assunto che «La specificità delle unità immobiliari … evidenziate nelle perizie di parte» dava conto della inconcludenza del confronto comparativo operato dall’amministrazione, – con unità immobiliari connotate da diverso fattore posizionale, – ed in difetto di un sopralluogo; e che, pertanto, destava perplessità la conclusione raggiunta dai giudici di merito in ordine ad una siffatta comparazione che era stata ritenuta più affidabile del «riscontro diretto in loco del contribuente quale metodo più immediatamente riferibile ad una valutazione congrua.».
2. – Tutti i proposti motivi sono destituiti di fondamento e, peraltro, espongono plurimi profili di inammissibilità.
3. – Occorre premettere che, come anticipato, il giudice del gravame ha rilevato la condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal giudice di prime cure che, a sua volta, aveva specificamente accertato tanto la compiutezza motivazionale dell’avviso di accertamento quanto la concludenza dei dati di comparazione esposti dall’amministrazione ai fini della rettifica del classamento delle unità immobiliari.
3.1 – Risultano, pertanto, inammissibili tutti i profili di censura, – variamente riproposti dal ricorrente nei motivi di ricorso primo, secondo, quarto e quinto, – che, – (anche) sotto il velo di una denuncia di violazione di legge, – nella sostanza sollecitano un (per vero indistinto ed incontrollato) riesame del merito degli accertamenti svolti dal giudice del gravame; inammissibilità questa che consegue, per un verso, dai contenuti (meramente) devolutori delle censure, – ove, dunque, difetta la stessa specificità dei fatti il cui esame sia stato (in tesi) omesso, – e, per il restante, dal limite del sindacato consentito alla Corte, in punto di riesame del merito di detti accertamenti, in presenza, così come nella fattispecie, di una cd. doppia conforme sui relativi contenuti (art. 348 ter cod. proc. civ.; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
3.2 – Del pari inammissibile è il terzo motivo di ricorso che, nell’esporre il contenuto delle disposizioni normative in tesi violate, omette ogni specifica censura quanto ai profili degli atti dell’amministrazione cui raccordare, da un lato, la necessità di un avviso bonario (l. n. 212 del 2000, art. 6, c. 5), – che, nella fattispecie, difettava di ogni presupposto applicativo nel contesto di una procedura (cd. Docfa) che (già) risulta partecipata e in difetto di ogni ripresa a tassazione nei confronti del contribuente, – e, dall’altro, la denunciata violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.
4. – I residui profili di censura risultano poi, come anticipato, manifestamente destituiti di fondamento.
4.1 – Rileva, innanzitutto, la Corte che il difetto di motivazione dell’atto impugnato viene dal ricorrente dedotto in completa anomia di riferimenti al contenuto effettivo dell’avviso di accertamento che, difatti, non viene (nemmeno sintetim) descritto e che, come detto, i giudici del merito hanno valutato come compiuto.
Peraltro, venendo in considerazione una dichiarazione catastale presentata secondo procedura docfa, la Corte ha ripetutamente rimarcato che, – risultando il procedimento connotato da una «struttura fortemente partecipativa», – l’obbligo di motivazione «deve ritenersi osservato anche mediante la mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’ufficio… e della classe conseguentemente attribuita all’immobile, trattandosi di elementi idonei a consentire al contribuente, mediante il raffronto con quelli indicati nella propria dichiarazione, di intendere le ragioni della classificazione, sì da essere in condizione di tutelarsi mediante ricorso alle commissioni tributarie» (v., ex plurimis, Cass., 28 ottobre 2020, n. 23674; Cass., 13 novembre 2019, n. 29373; Cass., 9 luglio 2018, n. 17971; Cass., 3 febbraio 2014, n. 2268; Cass., 21 luglio 2006, n. 16824; Cass., 7 giugno 2006, n. 13319).
4.2 – Quanto, poi, al difetto di un sopralluogo, va rilevato che, secondo l’orientamento espresso dalla Corte, il sopralluogo non costituisce requisito di validità (sinanche nel caso) della stima diretta delle unità immobiliari a destinazione speciale o particolare, atteso che ben può l’Amministrazione legittimamente avvalersi della valutazione, purché mirata e specifica, delle risultanze documentali in suo possesso (v. Cass., 15 marzo 2022, n. 8282; Cass., 27 marzo 2019, n. 8529; Cass., 7 marzo 2019, n. 6633; Cass., 23 maggio 2018, n. 12743; Cass., 16 febbraio 2015, n. 3103).
Né, nella fattispecie, venivano in rilievo i presupposti di un contraddittorio preventivo col contribuente posto che, da un lato, la procedura docfa, come detto, ha essa stessa natura partecipativa e che, dall’altro, la mera rettifica catastale non implica una ripresa a tassazione di imposte sui redditi o dell’IVA (d.lgs. n. 218 del 1997, art. 5 ter).
Come, poi, già statuito dalla Corte, qualora per la determinazione della rendita catastale il contribuente si sia avvalso della c.d. procedura Docfa, l’Amministrazione finanziaria, che intenda discostarsi dalla relativa proposta, non è tenuta, in assenza di disposizioni in tal senso, ad attivare preventivamente il contraddittorio endo-procedimentale, senza che ciò contrasti con gli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, posto che un tale obbligo sussiste soltanto per i tributi armonizzati, ma non anche per quelli non armonizzati, per i quali non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo vincolo generalizzato, sicché esso ricorre soltanto per le ipotesi per le quali risulti specificamente sancito (Cass., 23 febbraio 2021, n. 4752).
4.3 – In ordine, poi, ai contenuti motivazionali della gravata sentenza, la Corte ha ripetutamente statuito che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consistente di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
E, in particolare, si è rimarcato che la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata (Cass., 5 agosto 2019, n. 20883; Cass., 5 novembre 2018, n. 28139; Cass., 25 ottobre 2018, n. 27112; Cass., 21 settembre 2017, n. 22022; Cass. Sez. U., 20 marzo 2017, n. 7074; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232).
5. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 5.600,00 oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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