La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9453 depositata il 6 aprile 2023 si è pronunciata in tema di licenziamento per scarso rendimento ribadendo che “il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. cod. civ. sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo (così Cass. civ., sez. lav., 9.7.2015, n. 14310). Pertanto è stato ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 4.9.2014, n. 18678).”
La vicenda ha riguardato un dipendente di un istituto di credito, al quale veniva contestato, tra le altre, anche lo scarso rendimento rispetto ai suoi colleghi di lavoro. La banca, pertanto, contestando anche altre irregolarità al termine dell’iter previsto per la contestazione delle sanzioni disciplinari comminava il provvedimento di espulsione.
Avverso il licenziamento il lavoratore proponeva impugnazione innanzi ai giudici di merito. I giudici di prime cure respingevano il ricorso del dipendente. Il tutto veniva confermato anche dai giudici di appello, anche se ritennero non rispettato il principio della immediatezza. Mentre circa l’addebito di scarso rendimento sub d), il giudice dell’opposizione, superando l’eccezione della sua tardività, concludeva per la sussistenza dello stesso e per la sua idoneità a giustificare da solo il recesso per scarso rendimento.
Per i giudici di opposizione pur essendo l’inadempimento del lavoratore limitato nel tempo (circoscritto al periodo da novembre 2015 ad aprile 2016, ed in particolare riferito al primo trimestre 2016 ai fini della comparazione con i suoi colleghi), l’intensità dello stesso (ovvero lo scarso rendimento in termini di visite a clienti e raccolta) era stata in detto periodo notevole, e che tale inadempimento, unito alla mancanza di elementi obiettivi che giustificassero la riduzione dell’attività, comportava che la valutazione operata nella sentenza reclamata fosse condivisibile.
Avverso la sentenza della Corte Territoriale il dipendente proponeva ricorso in cassazione per due motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del dipendente.
In particolare riaffermano che “nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro – cui spetta l’onere della prova – non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione (così, nei termini più chiari, civ., sez. lav., 17.9.2009, n. 20050).”
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