MINISTERO del LAVORO e delle POLITICHE SOCIALI – Nota n. 10376 del 20 settembre 2023
Enti religiosi civilmente riconosciuti – Ramo ETS – Denominazione – Richiesta parere – Riscontro
Un ufficio del Runts ha sottoposto alla scrivente la questione riguardante enti religiosi civilmente riconosciuti – nella fattispecie soggetti di diritto canonico civilmente riconosciuti agli effetti civili in conformità con gli accordi tra Santa Sede e Repubblica Italiana – che presentano ai fini dell’iscrizione nel RUNTS un regolamento che, limitatamente alle attività assoggettate al regime del Codice del Terzo settore, prevede che il complesso di attività e di beni destinati al loro svolgimento siano individuati come “ramo ETS” il quale, ai fini di una sua “migliore individuazione” assuma una denominazione distinta e del tutto diversa da quella dell’ente religioso stesso, contraddistinta inoltre dall’inserimento dell’acronimo ETS.
L’Ufficio chiede in proposito un parere rappresentando due diverse situazioni:
a) La prima in cui la denominazione del ramo, accompagnata dall’acronimo, è indicata nell’istanza quale denominazione di un soggetto cui corrisponde il codice fiscale attribuito all’ente ecclesiastico nel suo complesso;
b) La seconda in cui nell’istanza viene correttamente indicato l’ente ecclesiastico con la sua effettiva denominazione cui corrisponde il codice fiscale in uso; mentre nel testo del regolamento viene specificata la circostanza dell’assunzione da parte del “ramo” della denominazione “specifica” sempre accompagnata dall’acronimo.
Ad avviso della scrivente, in via generale, nessuna delle due situazioni sopra rappresentate appare condivisibile e conforme alla previsione di legge.
Nel primo caso, infatti, risulta una discrasia tra il codice fiscale di riferimento e la denominazione dell’ente come risultante dal RUNTS.
Nel secondo caso, peraltro, risulterebbe comunque problematica la spendita nei confronti dei soggetti terzi del nome “specifico” attribuito al ramo, come individuato dal regolamento ed accompagnato dall’acronimo. Infatti, ove nei documenti ufficiali fosse utilizzato quest’ultimo, lo stesso non sarebbe rinvenibile da una ricerca per denominazione effettuata sul RUNTS; mentre ove la ricerca avvenisse sulla base del codice fiscale, allo stesso corrisponderebbe una denominazione diversa da quella ufficialmente spesa.
Considerato che il legislatore del Codice ha inteso assicurare, anche attraverso disposizioni specifiche, l’univocità delle informazioni rese a terzi e la piena trasparenza degli assetti degli enti assoggettati alle regole in materia di Terzo settore, è evidente che l’utilizzo di una denominazione “altra”, apparentemente corrispondente ad un soggetto diverso dall’ente religioso di cui trattasi potrebbe condurre ad un effetto anche involontariamente ingannevole nei confronti del pubblico.
Peraltro, significativamente, nei modelli di regolamento predisposti a cura della CEI, Conferenza episcopale italiana, Ufficio nazionale per i problemi giuridici e pubblicati sul proprio sito:
https://giuridico.chiesacattolica.it/modelli-di-regolamento-per-la-costituzione-di-un-ramo-ente-del-terzo-settore-o-impresa-sociale-da-parte-di-un-ente-ecclesiastico/, nell’articolo 1 si richiede l’inserimento della denominazione dell’ente ecclesiastico.
Da ultimo, si segnala come la recente sentenza del Tar Campania – Napoli – sez. I, n. 3158/2023 ha evidenziato come la disposizione di cui all’art. 4 comma 3 del Codice volta a consentire agli enti religiosi, alle previste condizioni, l’ingresso nel Terzo settore, si fonda sul fatto che il “ramo d’ente ecclesiastico…
privo di soggettività giuridica propria, per effetto dello stretto collegamento ad un ente religioso – che deve essere ‘civilmente riconosciuto’ gode per proprietà transitiva della personalità di quest’ultimo”; ciò significa che “è comunque individuabile un soggetto giuridico certo, ossia l’ente ecclesiastico”. Ebbene, è proprio tale situazione di certezza circa il soggetto giuridico che opera per lo svolgimento delle attività e utilizzando il patrimonio individuati dal regolamento, che si ritiene debba trovare la massima tutela in favore dei terzi.
Alla luce delle considerazioni sopra sviluppate, si deve escludere che il ramo ETS di un ente religioso possa assumere una denominazione diversa da quella dell’ente religioso medesimo.
La presente nota sarà pubblicata sul sito istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella sezione “Orientamenti ministeriali in materia di Enti del Terzo settore”.
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