Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli, sez. 10, sentenza n. 9630 depositata il 5 luglio 2023
In materia di tributi armonizzati, la mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto impugnato solo nel caso in cui il contribuente fornisca la c.d. “prova di resistenza”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso regolarmente notificato all’Agenzia Dogane e Monopoli, Ufficio delle Dogane di Napoli, in data 26.9.2022, G. S.p.a. impugnava l’avviso di pagamento n. 29202/RU, notificato in data 5.7.2022, avente ad oggetto l’omesso versamento di accise, per un complessivo ammontare di € 18.040.702,30, comprensivo di interessi e di indennità di mora. Detto avviso traeva origine dal processo verbale di constatazione dell’11.2.2022, emesso dalla Guardia di Finanza di Napoli – anch’esso oggetto di contestazione, al pari di ogni altro atto presupposto o conseguenziale – del quale erano stati destinatari tanto la G. S.r.l. quanto, in solido, il suo legale rappresentante p.t., R.A.. Premetteva la ricorrente di essere una nota società operante da decenni nel porto di Napoli, in veste di deposito costiero adibito allo stoccaggio e movimentazione, per conto terzi, di prodotti liquidi alla rinfusa, classificati nella categoria C del DM 31.7.1934.
Più specificamente, la G. era una piattaforma logistica per lo stoccaggio di prodotti energetici operante in regime di sospensione delle accise dovute sui prodotti energetici oggetto di deposito doganale.
Nell’esercizio della propria attività, dalla fine dell’anno 2018 e sino al luglio dell’anno 2019, aveva acquisito un nuovo cliente, la Opera International Business LTD, impegnata nella movimentazione di gasoli per autotrazione, in quanto tale sottoposto ad accisa ai sensi dell’art. 21 TUA, stoccando tale prodotto anche presso la G., in regime di sospensione dell’IVA ed accise. La merce stoccata, su indicazione della Opera, veniva poi caricata a bordo di autobotti nella disponibilità di terzi e trasportata con destinazione presso diversi depositi fiscali, conservando il regime di sospensione da accisa. Tra questi depositi, uno era sito in Locri (Calabria), di titolarità della I. S.p.a., in veste di deposito fiscale destinatario dei prodotti, con la quale società istante non aveva mai avuto rapporto alcuno, limitandosi la G. ad approntare la spedizione, favorire il carico del prodotto sulle autobotti e a predisporre il documento di legge, cosiddetto e- AD, destinato ad accompagnare i movimenti di carburante in regime di sospensione di imposta, il quale documento, nel tempo congruo della spedizione e trasporto, veniva appurato dal deposito ricevente – in questo caso, Locri – che a sua volta, presentando la nota di ricevimento convalidata dal sistema informatizzato doganale, ne accusava ricevuta e ne assumeva ogni responsabilità circa il pagamento dei tributi e delle accise. La Guardia di Finanza, tuttavia, aveva accertato che per oltre quattro mesi, febbraio-maggio 2019, il prodotto in questione era stato estratto dal deposito della G., venduto ed immesso in consumo senza che I. S.p.a. provvedesse al pagamento delle accise dovute, pur avendo emesso il relativo documento informatico, così ingenerandosi il contestato omesso versamento delle accise, condotta integrante, altresì, ipotesi penalmente rilevante. I militari avevano inoltre accertato che, per il tramite di società cartiere, il prodotto veniva commercializzato per la distribuzione senza pagamento IVA e con salto d’imposta, fattispecie alla quale la G. era rimasta estranea, come appurato anche in sede penale.
In forza dei fatti come sinteticamente sin qui riportati, trasfusi nel p.v.c. e nel gravato avviso di pagamento, alla G. veniva contestato l’irregolare svincolo dei beni dal regime sospensivo, ai sensi dell’art. 2 TUA, ritenendosi la società ricorrente, ai sensi del successivo art. 6 ed in forza del riferito “svincolo irregolare”, responsabile del pagamento dell’imposta evasa, essendo la G., a norma di legge, garante per l’imposta.
L’Ufficio Doganale, infatti, aveva ritenuto, anche alla luce delle risultanze del procedimento penale scaturito dai fatti come sopra descritti nonché della sentenza n. 673/2022 del G.I.P. del Tribunale di Napoli, la “piena consapevolezza della G. dell’esistenza di un sodalizio illegale tra i trader, le varie società cd. Cartiere ed il deposito fiscale di Locri, al solo fine di evadere le imposte gravanti. La G. S.r.l., pertanto, impugnava l’avviso in oggetto, affidandone la contestazione a cinque distinti motivi impugnatori, riportati nel ricorso introduttivo del presente giudizio, ed ulteriormente ribaditi ed ampliati in virtù della memoria difensiva depositata in data 15.6.2023.
La G. ha anzitutto eccepito, in via preliminare 1) l’illegittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio Dogane di Napoli, in quanto esso avrebbe duplicato l’avviso di accertamento operato dall’Ufficio Dogane di Reggio Calabria nei confronti del deposito fiscale di Locri della I. S.p.a., che aveva accusato ricevuta dei prodotti energetici stoccati presso la G., immettendoli in consumo senza provvedere al pagamento delle accise, con conseguente duplicazione dell’imposta. Sul punto, inoltre, la ricorrente denunciava il ritardo con il quale l’autorità aveva interrotto l’attività illegale ed illecita della I. S.p.a., consentendo l’art. 3 del TUA un’attività di monitoraggio mensile, cui si era sottratta l’Agenzia delle Dogane. In ogni caso, e a prescindere dai ritardi imputabili all’Amministrazione Finanziaria nella tutela degli interessi dell’Erario, del tutto regolare e corretta doveva considerarsi la condotta della G., avendo I. “accusato ricevuta dei prodotti ad essa inviati” così sorgendo unicamente su di essa l’obbligo giuridico di pagamento delle accise e di ogni altra imposta. Non si era, infatti, realizzato, nel caso di specie, alcuno “svincolo irregolare”, come ritenuto dall’Ufficio nel gravato avviso, ma un omesso versamento di imposta imputabile unicamente a chi aveva accusa ricevuta dei prodotti energetici, I. S.p.a., non potendo coesistere, nello stesso momento, una responsabilità del mittente per “svincolo irregolare”, ed un omesso versamento di imposta, avendo omesso il destinatario del prodotto, del quale aveva “accusato” ricevuta, di versare la relativa imposta su di esso solo gravante.
Con il motivo sub n. 2) la ricorrente ha eccepito l’illegittimità dell’avviso, nella parte in cui aveva contestato alla G. le accise afferenti le immissioni in consumo per il mese di febbraio 2019, risultando in atti il regolare loro pagamento da parte del deposito fiscale di Locri.
Con il motivo sub n. 3 del ricorso, la G. S.r.l. ha inteso denunciare “il difetto assoluto prova dei fatti posti quali presupposti delle contestazioni, in violazione degli artt. 2967 c.c.. e 7 D.Lgs. 546/1992”. Al riguardo, evidenziava la ricorrente che secondo la ricostruzione dell’Ufficio, il deposito fiscale della G. era da individuarsi come l’autore di uno svincolo ritenuto irregolare, sicché tutti gli invii di prodotto energetico effettuati dovevano reputarsi irregolari, con conseguente recupero dell’intera accisa a carico della G. stessa. Tuttavia, la prova fornita sul punto dall’Ufficio, si era rivelata del tutto insufficiente, e ciò in quanto, a fronte di circa 700 autobotti inviate e recanti il prodotto energetico, si era dimostrato che soltanto tre di esse non erano giunte a destinazione presso il deposito di Locri, mentre poche altre erano da ivi ripartite in tempi così brevi da far escludere l’avvenuto scarico del prodotto presso il deposito stesso. Né risultava in atti che la G. fosse a conoscenza del meccanismo fraudolento messo in campo dalla Italpteroli, così che la presunzione a carico della G. non era basata su alcun elemento oggettivo.
Con il motivo sub n. 4) del ricorso introduttivo, la ricorrente si è doluta della violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 2, 5 e 23 del TUA con particolare riguardo alla contestazione “solidale” mossa a carico della G. S.r.l. e di A. R.nella sua veste di rappresentante della società medesima, munita di propria ed autonoma personalità giuridica, con conseguente immotivato addebito, ad entrambi, delle imposte evase per effetto della vicenda per come sopra ricostruita, essendosi individuato in A. R.il titolare della licenza, per ciò stesso responsabile solidale delle contestazioni sollevate in danno della società. Con il motivo sub n. 5), la G. S.r.l. ha eccepito la violazione delle disposizioni di cui all’art. 2 6 e 7 TUA n. 504/1995, per non essere la società in alcun modo individuabile come soggetto obbligato per il tributo, non essendosi verificate le condizioni di legge per la realizzazione di uno “svincolo irregolare”, con violazione della giurisprudenza unionale nonché della determinazione n. 158235/2010 dell’Agenzia delle Dogane. Sul punto la ricorrente, dopo un’ampia disamina della normativa tutta a suo dire applicabile alla fattispecie in questione, ulteriormente contestava, come già fatto nei precedenti motivi, l’assoluta insussistenza di uno “svincolo irregolare”, unica eventuale fonte di responsabilità per la G. (art. 2 comma 4 TUA) e ciò in ragione della prova documentale della presa in carico dei prodotti oggetto di evasione da parte del deposito fiscale di Locri, con rilascio dei relativi documenti denominati e-AD, trovando così applicazione la previsione dell’art. 6 comma 4 TUA secondo il quale “è disposto lo svincolo della cauzione quando è data la prova della presa in carico dei prodotti da parte del destinatario …” come, per l’appunto, verificatosi nel caso di specie. Inoltre, la ricorrente sottolineava come la contestazione sollevata dall’Ufficio per come prevista dall’art. 6 bis del TUA, era inapplicabile al caso in questione, essendo intervenuta tale integrazione normativa soltanto in data 27.10.2019 e, dunque, successivamente alla contestazione dei fatti oggetto dell’avviso impugnato. Concludeva pertanto – dopo un’accurata ed ampia analisi della normativa disciplinate la materia – per l’annullamento dell’avviso di pagamento n. 29202/RU, previa sospensione della sua efficacia esecutiva.
In data 15.10.2022, l’Agenzia delle Dogane e Monopoli, Ufficio delle Dogane di Napoli 1, depositava proprie controdeduzioni – cui faceva seguito memoria difensiva depositata in data 15.6.2022 – chiedendo il rigetto del ricorso e replicando, punto per punto, ai motivi impugnatori come illustrati dalla ricorrente nei propri scritti difensivi. Proponeva, anzitutto, un’integrazione alla descrizione e narrazione dei fatti – all’origine dell’impugnato avviso di pagamento – rispetto a quanto riferito dalla G. S.r.l.. In particolare, precisava che il prodotto petrolifero di provenienza extra UE, stoccato dalla Opera International presso il deposito fiscale G., sito nel porto di Napoli, veniva, in realtà, direttamente caricato su autobotti, e trasferito solo su carta, a mezzo di fittizi trasposti, dal deposito fiscale alla I. S.p.a. di Locri, dove avrebbe dovuto essere introdotto e stoccato sempre in regime sospensivo, mentre in realtà veniva direttamente venduto e commercializzato dai distributori di carburante su strada, dove veniva effettivamente portato, con conseguente evasione dell’accisa dovuta. In altri termini, la I. attestava fittiziamente di aver ricevuto il gasolio, liberando fiscalmente il depositario mittente, emettendo fittizia documentazione DAS (documento di accompagnamento semplificato, da emettersi solo per prodotti che avevano già assolto l’accisa) così consentendo la circolazione su strada del prodotto, a mezzo autobotti, fino a depositi commerciali o distributori stradali, in totale evasione delle accise, come ampiamente accertato dalla Guardi di Finanza N.O.M di Napoli, che aveva condotto una lunga ed accurata indagine investigativa, che aveva svelato l’accordo fraudolento sinteticamente sopra riportato. Evidenziava l’Ufficio che il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 673 resa dal G.I.P. in data 4.5.2022, proprio sulla scorta della menzionata indagine, aveva condannato R.A. per il reato di sottrazione al pagamento dell’accisa su prodotti petroliferi, ai sensi dell’art. 40 TUA. Era stato così accertato un sodalizio illegale tra i trader, le varie società cartiere, il deposito fiscale di Locri, al fine dell’evasione di imposta, e l’immissione in consumo irregolare avveniva dal deposito fiscale della G. S.r.l., che era a conoscenza dell’emissione di falsa documentazione di accompagnamento (DAS) per il trasferimento del gasolio in regime di sospensione, la cui predisposizione era necessaria per creare una giustificazione solo cartolare per la commercializzazione del prodotto e così giustificare, sotto il profilo formale, la apparentemente regolare condotta della stessa G.. Non poteva, pertanto, trovare alcuna giustificazione tanto la condotta della G. quanto quella di A. R., titolare della licenza, entrambi a conoscenza della frode, attuata principalmente attraverso la falsificazione della nota di ricevimento dei prodotti, emessa dal deposito di Locri attraverso il sistema informatico doganale. La pretesa impositiva contenuta nell’avviso di pagamento, dunque, era assolutamente legittima, avendo la G. prestato garanzia di pagamento ai sensi dell’art. 6 comma 4 TUA, così divenendo, insieme ad A. R., obbligato alla corresponsione dell’imposta evasa ai sensi del successivo art. 7 comma 1 lettera a) TUA, stante l’indubbia irregolarità dello svincolo del prodotto proprio per effetto della piena conoscenza del meccanismo fraudolento posto in essere. Evidenziava, inoltre, che, proprio in forza dell’art. 7, ai fini dell’operatività della sospensione d’imposta e della esclusione della garanzia del deposito mittente, la circolazione dei prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione, si concludeva con la presa in consegna dei prodotti da parte del ricevente e non già con la presa in consegna dei soli documenti.
Quanto alla pretesa doppia imposizione, da parte dell’Ufficio di Napoli e da quello di Reggio Calabria, eccepita dalla ricorrente, l’ufficio rilevava la sua insussistenza, atteso che si era in presenza di soggetti obbligati diversi l’uno dall’altro (I. e G.), nè tantomeno il vincolo di solidarietà passiva equivaleva al recupero certo dell’imposta, al momento non ancora intervenuto, neppure in parte, sicché palesemente infondato si manifestava, sul punto, il ricorso. Quanto al pagamento delle accise per il mese di febbraio 2019, rilevava l’Agenzia che detto pagamento era stato contestato dai militari della Guardi di Finanzia nel p.v.c., di poi riportato, anche sotto tale profilo, nell’avviso di pagamento, del quale faceva parte integrante, risultando dovuta l’accisa anche per tale mese.
Con riguardo all’asserita carenza probatoria circa le contestazioni sollevate in danno di G. con il gravato avviso, l’Agenzia evidenziava, pur nel rispetto del principio del cosiddetto doppio binario ed in ossequio al principio di circolazione delle prove, che quanto accertato dalla Guardia di Finanza e di poi accolto nella sentenza n. 673/22 del Tribunale di Napoli, rivelava la piena conoscenza e consapevolezza, da parte della ricorrente, del sistema fraudolento posto in essere per evadere le accise, restando accertata la chiara irregolarità degli svincoli dei prodotti energetici, giusta la previsione dell’art. 2 comma 4 TUA, disposti dalla società ricorrente, tenuta, pertanto, a rispondere dell’evasione d’imposta contestata.
Quanto al motivo sub n. 4 del ricorso, secondo il quale la contestazione mossa ad A. R.in solido con la G. sarebbe stata generata da gravi errori, per cui “se depositario è A. allora non lo è la G., non potendosi avere due depositari, il resistente Ufficio insisteva nella solidale responsabilità tanto della G. quanto dell’A., essendo stata rilasciata alla G. la licenza n. IT00NAB00131X, nella sua qualità di “soggetto obbligato”, ed una seconda licenza, la n. IT00NAO00240R, rilasciata alla G. S.r.l., rappresentata da A. R., in qualità di “depositario autorizzato”. Concludeva, pertanto, per la piena legittimità dell’avviso di pagamento ed infondatezza del proposto ricorso.
Disattesa l’istanza di sospensione, con ordinanza resa all’esito dell’udienza celebratasi in data 30.1.2023, alla pubblica udienza del 3.7.2023, la Corte, disposta la riunione al presente procedimento di quello recante numero RG 13373/2022, avente ad oggetto il ricorso spiegato da A. R. avverso il medesimo avviso di pagamento, sulle conclusioni rassegnate dalle parti nei rispettivi scritti difensivi, decideva la causa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo impugnatorio, la ricorrente ha eccepito la pretesa illegittimità dell’avviso in questione, in quanto “duplicazione” del precedente accertamento operato dall’Agenzia delle Dogane di Reggio Calabria nei confronti della I. S.p.a., che aveva accusato ricevuta dei prodotti energetici originariamente stoccati presso il deposito fiscale della G., con conseguente illegittima duplicazione dell’imposta. Il motivo è palesemente infondato. Come correttamente rilevato dal resistente Ufficio, tutti i soggetti coinvolti nella vicenda per come sopra ampiamente descritta, devono considerarsi potenzialmente obbligati solidali rispetto all’imposta evasa, ai sensi dell’art. 2 comma 4 TUA, ivi compresi “i soggetti che si siano resi garanti del pagamento” giusta il disposto della lettera a) della predetta disposizione, e, dunque, anche la G. S. r.l. e A. R., titolare del deposito fiscale in sospensione di accisa dal quale è avvenuta l’irregolare immissione in consumo (art. 2 comma 2 lett. a e 7 TUA) dei prodotti energetici, come di seguito verrà ulteriormente precisato. E’ appena il caso di osservare, inoltre, che alcuna duplicazione di pagamento risulta al momento verificatasi, nulla ancora avendo recuperato l’Agenzia delle Dogane, né presso la sede di Reggio Calabria, né presso la sede di Napoli.
Parimenti infondato deve ritenersi il motivo sub n. 2 del ricorso introduttivo, atteso che il presunto pagamento delle accise per il mese di febbraio 2019 da parte della I. S.p.a., risulta oggetto di contestazione nel p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza di Napoli e di poi confluito nel gravato avviso di pagamento. Ritiene, altresì, la Corte che il documento dell’ADM di Reggio Calabria del 12.6.2019 versato in atto dalla ricorrente, non riveste alcun valore decisivo ai fini della prova dell’asserito pagamento dell’accisa, soprattutto per effetto della contestazione sollevata dalla Guardia di Finanza di Napoli nel corso dell’accertamento all’origine dell’odierna vicenda per cui, anche sul punto, il ricorso si rivela infondato.
Venendo alle contestazioni afferenti al merito della pretesa fiscale, rileva la Corte che la società ricorrente ha ripetutamente insistito, nelle proprie memorie difensive, nella assoluta regolarità dello svincolo dei prodotti petroliferi stoccati presso il proprio deposito fiscale in regime di sospensione di accisa (con conseguente violazione, da parte dell’Ufficio, delle disposizioni di cui agli artt. 2, 6 e 7 TUA) atteso che l’immissione in consumo avveniva da parte della sola I. S.p.a., deposito fiscale di destinazione, avendo attestato il destinatario la ricezione del prodotto mediante l’emissione dell’apposita documentazione (oggi informatizzata) asseverata e convalidata dal sistema informatizzato dell’Autorità Doganale. In altri termini, avendo la I. S.p.a. sempre “accusato” la ricezione del prodotto, svincolato dalla G. in regime di sospensione, ogni responsabilità circa il pagamento dell’accisa non poteva che essere imputata al solo deposito fiscale destinatario dei prodotti, proprio in forza delle regolarità della documentazione rilasciata alla G. all’atto dello svincolo. Sul punto, la ricorrente denunciava altresì la “mancanza assoluta di prova circa i fatti presupposto della contestazione”, anche considerando che l’indagine dei militari della Guardia di Finanza di Napoli, aveva individuato solo un numero ridottissimo di invii di prodotto partito da G. che non era giunto a destinazione di I. (3 su circa 700).
Tanto precisato, ritiene la Corte che, sulla scorta della documentazione in atti e, in particolare, della motivazione della sentenza n. 673/2022 resa dal Tribunale di Napoli, può affermarsi, con la necessaria certezza, la sussistenza di un reiterato svincolo irregolare dei prodotti energetici stoccati presso il deposito fiscale in regime di sospensione dell’accisa, da parte della G. S.r.l., pienamente consapevole della natura fraudolenta delle operazioni principalmente poste in essere dalla I. Sp.a., ivi compresa la fittizietà della documentazione destinata a “liberare”, fiscalmente, la società oggi ricorrente. Pur nella consapevolezza dell’operatività del principio del doppio binario, tra processo penale e tributario, ritiene il Collegio che la sentenza penale, per quanto “non vincolante”, può senz’altro configurare un indizio e/o un elemento di prova nel giudizio tributario, alla luce dei fatti in essa accertati dal giudice penale, sulla base delle prove rilevate nel relativo giudizio. Inoltre, in presenza di una sentenza di condanna penale, il giudice tributario, seppure autonomamente, ha l’onere ed il potere di prendere in considerazione, come elementi di prova, la condotta delle parti e la documentazione acquisita nel processo penale, utilizzata per l’accertamento materiale dei fatti, e verificarne la rilevanza nell’ambito della controversia fiscale. Proprio in applicazione dei testè riferiti principi, frutto di un costante indirizzo giurisprudenziale, assume valore decisivo, ai fini della decisione del presente procedimento, quanto accertato, ad oggi, nel processo penale già conclusosi, in primo grado, in danno di A. R., sulla base degli elementi probatori acquisti nel corso di quel giudizio ed espressamente richiamati nella motivazione della sentenza resa dal giudice penale. Questi, in particolare, affermava “… ma vi è di più, in quanto dai documenti rinvenuti presso la G. S.r.l., e dalle chat emergeva la piena consapevolezza degli indagati che calcolavano il guadagno conseguente all’elusione dell’accisa e dell’IVA, come anche la percentuale di esso che possono destinare al riciclaggio. I documenti dimostravano, pertanto, che tutti i partecipi all’importazione del carburante e agli scambi commerciali, sapevano perfettamente che i diversi passaggi di mano del prodotto che apparivano sui documenti di trasporto, non corrispondevano alle reali tratte seguite dal prodotto … in particolare, la società G. era coinvolta direttamente anche nella distribuzione del prodotto assieme ad Opera International Business LTD, intratteneva direttamente rapporti con E.T., ovvero la società estera che dovrebbe occuparsi del trasporto e fornitura del prodotto ad Alì Nicolò, ed era perfettamente a conoscenza che i reali destinatari del prodotto erano i depositi commerciali napoletani (e non il deposito fiscale che figurava nei documenti) e che i documenti e-AD emessi dalla G. verso il deposito fiscale I. erano solo documenti di comodo predisposti al solo fine di consentire al deposito fiscale napoletano della G. di non essere obbligata al pagamento delle accise …” Altrettanto chiaro e deciso è il giudice penale nel delineare la figura e la partecipazione di A. R.all’attività fraudolente sopra brevemente descritta, affermando che “… il processo ha consentito di raggiungere la prova della sua consapevolezza di essersi prestato alla realizzazione di illecita sottrazione di accise …”, delineando, alle pagg. 24 e 25 il pieno e consapevole coinvolgimento dell’A. nelle diverse fasi in cui si sviluppava la frode, ben oltre la sola messa disposizione del deposito fiscale di Napoli, partecipando “in senso più ampio all’intera condizione della illecita attività … prestando la propria opera pur sapendo di fornire un contributo materiale ad una lucrosissima operazione di natura illecita, capace di sottrarre all’Erario milioni di euro di imposta mai versata e garantire ingentissimi guadagni in nero …” A supporto delle proprie conclusioni, il giudice penale richiamava il contenuto di intercettazioni, anche telefoniche, intercorse tra i partecipanti alla frode, delle dichiarazioni testimoniali rese dagli autotrasportatori, un appunto manoscritto rinvenuto nella sede della G., nel quale erano annotati i guadagni in nero, nonché denaro contante per ? 6.500,00 oltre ? 55.000,00 custoditi in una cassetta di sicurezza. Ritiene, pertanto, la Corte che, alla luce dei molteplici, univoci e non contestabili elementi probatori raccolti nel corso delle indagini dai militari della Guardia di Finanza e trasfusi nella dettagliata, esaustiva ed competa sentenza penale di condanna, possa ritenersi il diretto coinvolgimento nella vicenda processuale in oggetto della G. S.r.l. e di A. R., coinvolti a pieno titolo nell’attività illecita, alcun dubbio residuando, dunque, circa la sussistenza di consapevoli e voluti “svincoli irregolari” del carburante stoccato presso il deposito della G. S.r.l. A ciò aggiungasi la totale carenza di qualsivoglia concreto ed oggettivo elemento probatorio in senso contrario fornito dalla difesa di entrambi i ricorrenti, per addivenire alla conferma della contestata responsabilità di entrambi i soggetti destinatari dei gravati avvisi. Al riguardo, si è affermato in giurisprudenza, che “In tema di accise su prodotti circolanti in regime di sospensione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, comma 4, e 7, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 504 del 1995 – da interpretarsi alla luce del principio comunitario di proporzionalità nell’applicazione fattane dalla giurisprudenza unionale -, il garante del pagamento del tributo, qual è il depositario autorizzato mittente o lo speditore registrato ovvero, in luogo dei predetti soggetti, volontariamente, il proprietario, il trasportatore o il vettore del prodotto, è tenuto a corrispondere l’imposta, in caso di svincolo irregolare da regime sospensivo, salvo che fornisca la prova di essere completamente estraneo alla condotta degli autori dell’infrazione, anche se non deteneva tale prodotto al momento della commissione dello stesso e non era legato agli autori dell’infrazione da un contratto che li rendeva suoi mandatari.” (Cass. civ. 27.12.2019 n. 34487; conf. Cass. civ. 7.12.2016 n. 25126).
E’ appena il caso di evidenziare la palese infondatezza del motivo sub n. 4 del ricorso in esame, dovendosi considerare solidalmente obbligati entrambi i soggetti destinatari degli avvisi in contestazione, essendo la G. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t. A. R., titolare della licenza n. IT00NAB00131X, e di una seconda licenza, la n. IT00NAO00240R, rilasciata alla G. S.r.l., rappresentata da A. R., in qualità di “depositario autorizzato”, trovando applicazione la previsione di cui all’art. 1 comma 2 lett. f) secondo il quale si intende per depositario autorizzato il soggetto titolare e responsabile della gestione del deposito fiscale, espressamente individuato, all’atto del rilascio della licenza, in A. R..
Per quanto attiene, infine, i motivi sub n. 4 e 5 del ricorso depositato da A. R.- coincidendo lo stesso, per la restante parte, con i motivi impugnatori sollevati dalla G. S.r.l. – ritiene anzitutto la Corte che il ricorrente abbia adeguatamente esercitato il proprio diritto di difesa, come agevolmente evincibile dall’esaustivo contenuto del ricorso nonché della memoria difensiva depositata in data 15.6.2023, sicchè alcuna imitazione e/o compressione a tale diritto può dirsi verificata nel caso di specie. La disciplina dettata dall’art. 1 comma 7 l. 212/2000, infatti, è governata da criteri di effettività e di proporzionalità rispetto alle finalità di carattere generale e, pertanto, anche in caso di eventuale incompletezza del contraddittorio, il contribuente è tenuto a dimostrare che, se avesse ricevuto la notifica del processo verbale di constatazione, sarebbe stato in grado di contrastare con efficacia determinante la pretesa tributaria, avanzata dall’Amministrazione Finanziaria, dimostrazione de tutto assente nella fattispecie in questione. A ciò aggiungasi che A. R. ebbe a partecipare alle operazioni della Guardia di Finanza, conclusesi con il processo verbale di contestazione sopra richiamato, sottoscrivendo lo stesso e verbalizzando altresì il proprio dissenso rispetto alle conclusioni in esso riportate, così dimostrando di essere a completa conoscenza degli addebiti mossi dai militari operanti, addebiti di poi integralmente trasfusi nell’avviso oggetto dell’odierna impugnazione. Ritiene, altresì, il Collegio che in materia di tributi armonizzati, la mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto impugnato solo nel caso in cui il contribuente, destinatario dell’atto impositivo, emesso dall’Amministrazione Finanziaria, fornisca la c.d. “prova di resistenza”, ovverosia assolva all’onere di enunciare, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere in contrapposizione alla pretesa erariale in fase amministrativa. (cfr. Cass. civ. 20.12.2022 n. 37234; 25.9.2019 n. 23854; C.G.T. II grado Lombardia, sez. XIX, 31.1.2023 n. 348).
Anche sotto i riferiti profili, dunque il ricorso si manifesta infondato.
Per le ragioni tutte per come sopra ampiamente motivato, il ricorso non può che essere integralmente rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, a carico di entrambi i ricorrenti, in solido tra loro, conformemente al D.M. 55/2014 e, in particolare, degli artt. 1-5, nonché all’art. 15 D.Lgs. 546/1992, tenuto conto del valore della controversia (? 18.040.000,00, scaglione ricompreso tra ? 260.000,00 ed ? 520.000,00), già ricompresa la fase cautelare, in complessivi ? 14.000,00, di cui ? 5.000,00 per la fase di studio, ? 3.000,00 per la fase introduttiva, ? 6.000,00 per la fase decisionale, oltre accessori, se dovuti, già applicata la riduzione ex art. 15 comma 2 sexies D.Lgs. 546/1992.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli, definitivamente pronunziando sul ricorso proposto da G. S.p.a., nei confronti dell’Agenzia Dogane e Monopoli, Ufficio delle Dogane di Napoli, con ricorso ritualmente notificato, ogni altra domanda, eccezione e/o deduzione disattesa, così provvede:
a) rigetta il ricorso;
b) condanna G. S.r.l. e A. R., in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, ivi comprese quelle relative alla fase cautelare, liquidate in complessivi euro 14.000,00, oltre accessori, se dovuti.
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- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 luglio 2021, n. 20816 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 novembre 2021, n. 34399 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 29068 depositata il 6 ottobre 2022 - L'Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia…
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