CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 31409 depositata il 13 novembre 2023
Lavoro – Licenziamento – Giustificato motivo oggettivo – Reintegrazione – Posizione lavorativa non soppressa – Obbligo di repechage – Unità produttiva autonoma – Applicazione della tutela reale – Motivazione sussistente – Rigetto
Rilevato che
1.- D.C.V. era stata dipendente di B.S.L. srl con mansioni di cassiera fino al 20/07/2017, data in cui era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo.
2.- Impugnato il licenziamento, il Tribunale di Napoli, all’esito della fase c.d. sommaria, aveva accolto l’impugnazione e ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro.
Con successiva sentenza aveva rigettato l’opposizione della società e l’aveva altresì condannata al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, commisurata alla retribuzione di giugno 2017 di euro 1.761,84, tenuto conto dell’inquadramento nel IV livello ccnl commercio.
3.- La Corte d’Appello rigettava il reclamo proposto dalla società, con cui questa si era doluta dell’errata valutazione delle risultanze istruttorie circa l’illegittimità del recesso e, in subordine, dell’errata applicazione della tutela c.d. reale, poiché difettava – a suo dire – sia il presupposto della manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo (vertendosi invece in un caso di violazione dei criteri di scelta), sia il requisito dimensionale.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) dalla lettera di avvio della procedura di licenziamento si evince che la scelta della società è connessa alla cessazione del punto vendita di Barano d’Ischia (fatto incontestato) e alla necessità di sopprimere posizioni lavorative divenute superflue, quale quella della D.C., in ragione di specifici elementi che tuttavia non sono stati confermati dall’istruttoria;
b) in particolare la chiusura del punto vendita di Barano non è di per sé una causale idonea a giustificare la soppressione della posizione lavorativa della D.C., in quanto quell’attività non era l’oggetto esclusivo dell’impresa (esistendo altri punti vendita) né le mansioni svolte erano esclusive;
c) infatti l’istruttoria ha dimostrato che la D.C. era adibita anche ad altri reparti (bibite, profumeria, cioccolata, frutta, con compiti di sistemazione della merce) ed aveva manifestato la disponibilità a svolgere altre attività;
d) va inoltre considerato che le mansioni di cassiera sono fungibili con tutte quelle del livello contrattuale IV del ccnl;
e) pertanto è ingiustificata la scelta sia di sopprimere proprio il posto lavorativo della D.C., sia della D.C. quale dipendente da licenziare, considerato che altri colleghi di lavoro con mansioni equivalenti sono stati utilmente ricollocati dalla società presso la sede di Forio oppure “distaccati” presso altri supermercati del gruppo, come ammesso dalla stessa reclamante;
f) tale ricollocazione conferma in punto di fatto la tesi della lavoratrice;
g) pertanto deve escludersi il nesso causale fra il motivo addotto e l’intimato recesso, in quanto il venir meno del punto vendita di Barano non ha determinato un’automatica inutilità, per la società, della prestazione lavorativa resa dalla D.C. tale da giustificare la soppressione della relativa posizione;
h) tale profilo precede la verifica della violazione dei criteri di scelta e dell’obbligo di repechage e conduce alla più ampia tutela, come ritenuto dal Tribunale;
i) quanto alla tutela applicabile, l’art. 18, co. 7, L. n. 300/1970 dispone l’applicazione della tutela di cui al co. 4 (reintegrazione e indennità risarcitoria, sia pure nel limite massimo di dodici mensilità) nel caso di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, come ha più volte precisato la Corte di Cassazione (Cass. n. 7167/2019; Cass. n. 8661/2019);
j) nel caso in esame l’illegittimità del recesso emerge con evidenza dalla prova dell’insussistenza del fatto oggettivo, sotto il profilo del nesso causale;
k) con riguardo al requisito dimensionale, anche a voler considerare solo le sedi di Barano e di Forio – e non anche l’intero gruppo societario, comunque i dipendenti in forza al 31/03/2017 sono 27, come risulta dalle visure camerali prodotte, sicché va confermata la sentenza impugnata, che ha riconosciuto la tutela c.d. reale attenuata.
4.- Avverso tale sentenza B.S.L. srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- D.C.V. ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 3 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale escluso l’esistenza del nesso causale fra la ragione oggettiva addotta e il licenziamento della D.C., pur avendo accertato che la chiusura del punto vendita di Barano era una circostanza pacifica e non contestata.
Il motivo è infondato.
Il licenziamento è stato fondato sul motivo oggettivo della soppressione della posizione lavorativa.
Orbene, contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte d’appello ha accertato che invece la posizione lavorativa della D.C. non era stata soppressa, considerato l’intero complesso aziendale comprensivo del punto vendita di Forio, presso la quale la lavoratrice era stata in precedenza più volte utilizzata, come era emerso dall’istruttoria.
Si aggiunga che la Corte territoriale, nel motivare la sua decisione, ha pure valutato il profilo dell’utilizzabilità aliunde e, quindi, l’inadempimento dell’obbligo di repechage, profilo di per sé sufficiente a sostenere la decisione. Come più volte affermato da questa Corte, infatti, ai fini della tutela reintegratoria “l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore” (Cass. n. 29102/2019; Cass. n. 10435/2018).
Peraltro, a seguito della sentenza n. 125/2022 della Corte Costituzionale, ai fini della reintegrazione è sufficiente l’insussistenza del fatto (comprensivo dell’inadempimento dell’obbligo di repechage), senza la necessità che sia altresì “manifesta”.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 18, co. 8, L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente il requisito dimensionale necessario per la tutela c.d. reale.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile laddove tende a sollecitare a questa Corte una diversa valutazione di fatto riservata, invece, al giudice del merito, circa le caratteristiche economico-produttive dei due supermercati gestiti dalla società ricorrente e della loro sufficiente autonomia per rientrare nella nozione di “unità produttiva autonoma”.
Il motivo è poi infondato, poiché la Corte territoriale ha considerato in modo unitario i due supermercati (di Barano e di Forio), facendo espresso e specifico riferimento alla frequenza di passaggi del personale fra l’una e l’altra come emersi dall’istruttoria. Pertanto, sulla base di questo accertamento di fatto, corretta si rivela l’applicazione della tutela c.d. reale e quindi inesistente il vizio denunciato.
3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 18, co. 7 e 4, L. n. 300/1970 per aver ritenuto la manifesta insussistenza del fatto a base del licenziamento e quindi applicato la tutela c.d. reale invece di quella meramente indennitaria.
Il motivo risulta infondato a seguito della sentenza n. 125/2022 della Corte Costituzionale, applicabile anche ai rapporti giuridici non ancora esauriti. Con tale sentenza, infatti, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo periodo, della legge n. 300/1970300 (ndr art. 18, comma 7, secondo periodo, della legge n. 300/1970), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92/2012, limitatamente alla parola “manifesta”.
4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 4), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. e 111 Cost. per avere la Corte territoriale motivato in modo solo apparente e/o perplesso e/o incomprensibile il suo convincimento.
Il motivo è infondato perché la motivazione sussiste e, alla luce delle considerazioni sopra svolte, consente di ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dai giudici d’appello nella formazione del loro convincimento per pervenire alla decisione assunta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione al procuratore antistatario.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
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