CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 35878 depositata il 22 dicembre 2023
Lavoro – Indennità di condotta – Indennità di riserva – Indennità di assenza dalla residenza – Contrattazione collettiva aziendale – Ferie non godute – Rigetto – le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, così come confermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984, ed hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità
Rilevato che
1. la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accoglimento del ricorso proposto dai lavoratori indicati in epigrafe tutti dipendenti della T. s.r.l. con la qualifica di macchinisti, aveva accertato il diritto al computo nella retribuzione dovuta durante le ferie dei compensi spettanti a titolo di incentivo per indennità di condotta, indennità di riserva e indennità di assenza dalla residenza previsti dalla contrattazione collettiva aziendale applicabile;
la Corte territoriale ha anche confermato la pronuncia di prime cure avuto riguardo al rigetto dell’eccezione di prescrizione avanzata dalla società;
2. avverso tale sentenza la soccombente società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; hanno resistito con controricorso gli intimati;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. i primi tre motivi di ricorso possono essere sintetizzati secondo le rubriche formulate dalla stessa parte ricorrente: “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, dell’art. 10 del D.lgs. n°66/2003, nonché dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2109 cod. civ. in relazione alla disciplina da applicarsi in tema di “ferie retribuite” (art. 360, comma 1, n°3, cod. proc. civ.)” (primo motivo);
“violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2109 cod. civ. in relazione alla definizione e al concetto di “ferie retribuite”, come espressi dalla Suprema Corte di Cassazione, cui la sentenza non si è uniformata. Conseguente violazione e/o falsa applicazione della normativa contrattuale di riferimento in T., con specifico riferimento all’art. 20.3 del CCA T. (art. 360, comma 1, n°3, cod. proc. civ.)” (secondo motivo);
“violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, in relazione alla interpretazione fornita al riguardo dalla Corte di Giustizia in tema di “ferie retribuite” (art. 360, comma 1, n°3, cod. proc. civ.)” (terzo motivo);
in subordine si chiede alla Corte di sottoporre con rinvio pregiudiziale la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea perché questa possa chiarire, attraverso l’interpretazione autentica, la ratio e il contenuto nella nozione europea di retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie fissata dall’articolo 7 della direttiva 88/2003;
2. i motivi non possono trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte in precedenti relativi alla medesima vicenda e che vanno qui condivisi e ribaditi (Cass. n. 18160 del 2023; Cass. n. 19663 del 2023; Cass. n. 19711 del 2023; Cass. n. 19716 del 2023; avuto anche riguardo a Cass. n. 20216 del 2022 nonché a Cass. n. 13425 e n. 13428 del 2019 e Cass. n. 22401 del 2020);
pertanto, in mancanza di ragioni nuove e diverse da quelle disattese nei giudizi analoghi, deve operare il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di cassazione (vedi Cass., SS.UU. n. 10615 del 2003; Cass. SS.UU. n. 5994 del 2003); si rinvia, di conseguenza, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali;
3. la nozione di retribuzione durante il periodo di godimento delle ferie è influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze Robinson Steele del 2006; Schultz-Hoff e altri, 20.1.2009, cause C-350/06 e C- 520/06; W. e altri, 13.12.2018, C-155/10; To.He., 13.12.2018, C-385/17) che ha inteso assicurare al lavoratore una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria erogata nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione; qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. 13.1.2022, C-514/20);
le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, così come confermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984, ed hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012);
di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le
prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425 del 2019); del pari, con riguardo all’indennità spettante in caso di mancato godimento delle ferie, questa Corte ha affermato che detta indennità deve comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 37589 del 2021);
a questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha, poi, verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi (l’incentivo per attività di scorta e quello per l’attività di riserva) connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo, ex art. 28 punto 2 lett. c del c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie; ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile;
ritiene allora il Collegio che l’interpretazione delle norme collettive aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, oltre ad essere del tutto plausibile, è in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale;
in ordine alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, trattasi di valutazione in concreto appartenente al giudice di merito, che ha ragionevolmente dato conto delle ragioni per le quali l’ha ravvisata;
4. infine, non sussistono i presupposti per procedere alla sospensione della causa e rinviare alla Corte di Giustizia posto che il rinvio pregiudiziale interpretativo richiesto pone una questione sulla quale la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata, anche recentemente (cfr., da ultimo, sentenza 13.1.2022 citata; cfr. inoltre, CGUE 6.10.1982 srl C.L.G. spa contro Ministero della Sanità e 6.10.2021, C-561/19 C.I.M.) e che, in ogni caso, la valutazione del caso concreto – vale a dire la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali – è attività riservata al giudice nazionale;
5. con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2948, n°4, cod. civ. in relazione art. 18 della Legge n°300/1970, come modificato, dall’art. 1, comma 42, Legge n°92/2012 (art. 360, comma 1, n°3, cod. proc. civ.)”;
la censura è infondata in quanto la sentenza impugnata sul punto è conforme al seguente principio (Cass. n.26246 del 2022): “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”;
6. in conclusione il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori che si sono dichiarati antistatari;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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