CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 94 depositata il 3 gennaio 2024
Lavoro – CCNL Servizi Ambientali – Inquadramento nel livello professionale – Differenze retributive – Fallimento della società – Accertamento di una qualifica superiore – Riparto di cognizione tra il giudice del lavoro e quello del fallimento – Accoglimento
Rilevato che
1. con sentenza 7 febbraio 2019, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello proposto dal lavoratore indicato in epigrafe avverso la sentenza di primo grado, di improcedibilità delle sue domande nei confronti di B.A. s.p.a. – per la sua dichiarazione di insolvenza ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 270/1999 nelle more del giudizio – di accertamento dei suoi diritti: a) all’inquadramento nel V° livello professionale dell’Area Tecnica ed Amministrativa del CCNL Servizi Ambientali con decorrenza dal 4 maggio 2005 e di condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive; b) al riconoscimento delle 36 ore lavorative dall’assunzione fino al novembre 2007, oltre alla corresponsione della somma di € 1.870,80 per attività svolta nell’ambito del progetto “Assistenza ai Comuni Soci emissione TIA 2010”;
2. premesse la sopravvenuta dichiarazione di fallimento della società e la devoluzione della sola domanda sub a), la Corte territoriale ha ribadito la ripartizione, applicabile anche alla dichiarazione di insolvenza prevista dall’art. 18 d.lgs. 270/1999, della cognizione tra giudice del lavoro e giudice fallimentare, spettando al primo quella delle domande del lavoratore di mero accertamento ovvero costitutive e invece al secondo delle domande di condanna al pagamento di somme di denaro (sia pure accompagnate da domande di accertamento o costitutive in funzione strumentale) e confermato l’esattezza della qualificazione delle domande del lavoratore, da parte del Tribunale, comportante la pronuncia di improcedibilità;
3. con atto notificato il 4 (9) luglio 2019, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., mentre il fallimento della società intimato non ha svolto attività difensiva;
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 18 e ss. d.lgs. 270/1999, 52, 92 l. fall., 100, 409, 413 c.p.c., 111 Cost., 6 Cedu, per avere la Corte territoriale erroneamente dichiarato improcedibile, per effetto della dichiarazione di insolvenza della società datrice, anche l’autonoma domanda del lavoratore di accertamento di una qualifica superiore, invece da limitare alle sole domande di condanna patrimoniale, per la diversità dell’interesse ad agire, in funzione di due diversi beni della vita (la prima: di accertamento di una situazione giuridica funzionale all’affermazione e regolamentazione della posizione lavorativa del ricorrente per l’intero periodo di svolgimento di mansioni superiori, ma soprattutto de futuro; le seconde: di condanna di carattere patrimoniale, in funzione perequativa e riparativa per lo svolgimento dal lavoratore di attività e servizi superiori rispetto a quelli cui è parametrata la retribuzione pattuita) per l’ontologica differenza di petitum delle due azioni (primo motivo); nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 112 c.p.c., 2907 c.c., 24 Cost., anche in relazione ad omesso esame di fatti decisivi, per essersi la Corte territoriale, con motivazione apparente, limitata ad affermare “il corretto inquadramento all’interno della sfera precettiva delle norme in commento” della fattispecie concreta per l’“evidente funzione teleologica” tra la domanda di accertamento, cui il lavoratore aveva ridotto l’originaria domanda e la domanda di condanna, senza spiegarne la ragione (secondo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati;
3. per indirizzo da tempo consolidato, questa Corte ritiene che, qualora il lavoratore abbia agito in giudizio per l’accertamento della propria qualifica nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permanga la competenza funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile solo come mero strumento attraverso cui far valere diritti patrimoniali sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno della impresa fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della “par condicio creditorum” (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23418; Cass. 21 giugno 2018, n. 16443, in motivazione sub p.ti 6, 6.1., 6.2 e 6.3, in fattispecie relativa a indennità risarcitoria, ai sensi del novellato testo dell’art. 18 legge n. 300/1970, per l’interesse del lavoratore all’accertamento del diritto di credito risarcitorio, non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di amministrazione straordinaria, bensì alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa). Essa ritiene invece che, qualora difetti un interesse del lavoratore a detta tutela e sia domandato invece un accertamento del diritto di credito risarcitorio, in via strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura, la cognizione spetti al giudice fallimentare (Cass. 28 ottobre 2021, n. 30512, che nella specie, ha dichiarato l’improseguibilità dell’originaria domanda di un dirigente, assunto con contratto a tempo determinato e poi licenziato, che aveva agito davanti al giudice del lavoro, rivendicando la sola tutela risarcitoria nei confronti dell’impresa, fallita in corso di causa).
Ed infatti, nel riparto di cognizione tra il giudice del lavoro e quello del fallimento, il discrimine va individuato nelle rispettive prerogative speciali, spettando: a) al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti riguardanti la corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, la sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; b) alla cognizione del giudice fallimentare, invece, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso, secondo il regime di garanzia della par condicio creditorum e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale (Cass. 30 marzo 2018, n. 7990; Cass. 11 aprile 2023, n. 9621, in motivazione sub p.to 7);
4. nel caso di specie, nonostante l’autonomo interesse ad un accertamento esclusivamente di status della propria posizione lavorativa manifestato dal lavoratore, con limitazione della domanda al solo accertamento della superiore qualifica davanti al giudice del lavoro (come documentato al p.to 9 di pg. 13 del ricorso: “In via principale … la Corte voglia ritenere e dichiarare che il ricorrente … ha diritto a conseguire il passaggio dal 3° al 5° Livello Professionale dell’Area Tecnica e Amministrativa del CCNL … in via subordinata … la Corte voglia rimettere gli atti del procedimento al Giudice di prime cure al fine della prosecuzione del giudizio solo per l’accertamento delle mansioni superiori … ”), diverso e indipendente da quello sotteso alla domanda di accertamento del credito in sede concorsuale (come si evince dalle conclusioni davanti al Tribunale, al p.to 15, ultimo capoverso di pg. 8 del ricorso), la Corte non ha spiegato le ragioni per le quali abbia ritenuto di individuare l’“evidente funzione teleologica” (così all’ultimo alinea di pg. 2 del decreto) tra la prima e la seconda.
Al riguardo, essa ha pertanto operato un’affermazione assertiva, senza alcuna motivazione se non apparente, ricorrente quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. S.U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758);
5. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
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