Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, sezione n. 9, sentenza n. 5083 depositata il 5 settembre 2023
Registro – Decreti ingiuntivi esecutivi recanti condanna al pagamento di somme – Assenza di apposizione della la clausola di provvisoria esecutorietà – Irrilevanza ai fini del pagamento dell’imposta – E’ sufficiente l’astratta esecutività.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il presente gravame attiene la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n.4552/07/2021 del 19.02.2021, depositata il 26.04.2021, notificata il 12.05.2021 che ha statuito l’accoglimento del ricorso (n.r.g.7975/2019) avverso l’avviso di liquidazione n.2016/003/DI/00001****/0/001.
L’appellata G. V., infatti, proponeva ricorso con istanza di mediazione avverso l’avviso di liquidazione n.2016/003/DI/00001****/0/001, con il quale l’Ufficio aveva liquidato l’imposta di registro dovuta per la registrazione del decreto ingiuntivo n.18089/2016, richiedendo un’imposta pari ad €. 4.518,75.
Nel ricorso introduttivo la contribuente, nell’impugnare l’avviso di liquidazione, eccepiva:
– la non esecutività dello stesso decreto ingiuntivo tassato;
– l’errato criterio di tassazione applicato all’atto di riconoscimento del debito.
Nelle conclusioni del ricorso chiedeva la dichiarazione di nullità dell’avviso; inoltre, in relazione alla tassazione relativa al riconoscimento del debito, chiedeva l’applicazione della tassazione in misura fissa o, in via subordinata, l’applicazione dell’aliquota in misura proporzionale pari all’ 1%.
L’Ufficio notificava alla ricorrente il provvedimento di diniego della mediazione.
La contribuente depositava il ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale di Roma.
L’Ufficio si costituiva in giudizio e provvedeva a depositare le proprie controdeduzioni.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma con sentenza n.4552/07/2021 accoglieva il ricorso di parte annullando l’avviso di liquidazione impugnato.
L’Ufficio proponeva appello avverso la suddetta sentenza, in quanto la stessa, a parere di parte appellante, risulta errata, arbitraria ed immotivata nei presupposti di fatto e di diritto e pertanto ne chiedeva la riforma per i seguenti motivi:
a)Errata interpretazione dei fatti di causa; violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 8 comma 1 lett.B) della tariffa allegata al D.P.R. n.131 del 1986;
b)Nullità della sentenza impugnata per difetto, genericità e superficialità della motivazione.
La richiesta della riforma della sentenza impugnata era riferita, da parte dell’Ufficio, al solo capo riguardante la tassazione del riconoscimento del debito, contenuto nel decreto ingiuntivo di cui trattasi, per i motivi meglio di seguito esposti.
La causa era trattata nell’udienza del 06.07.2023 e trattenuta per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva la Corte che i motivi di censura avverso la sentenza impugnata sono condivisibili e, pertanto, l’appello va accolto.
La sentenza oggetto del presente gravame è frutto di un’interpretazione non condivisibile operata dai giudici di prime cure dell’art. 37, d.P.R. nr. 131/1986.
In particolare, l’art. 37 del D.P.R. n. 131 del 1986 sulla imposta di registro prevede, in generale, la soggezione ad essa degli atti dell’Autorità Giudiziaria in materia di controversie civili, ivi compresi i decreti ingiuntivi.
L’art. 8 comma 1 lett. B) della Tariffa allegata al citato D.P.R. – nell’elencare analiticamente gli atti soggetti a registrazione e quindi ad imposta – individua poi i decreti ingiuntivi esecutivi, recanti condanna al pagamento di somme.
A diverse conclusioni, tuttavia, si deve giungere a seconda della interpretazione dell’aggettivo “esecutivo” che il legislatore tributario ha abbinato – nella suddetta elencazione di atti tassabili – al decreto ingiuntivo.
Due le opzioni ermeneutiche astrattamente possibili.
In primo luogo, si potrebbe ritenere che con quell’aggettivo il legislatore abbia inteso far riferimento a tutti i decreti ingiuntivi non opposti o provvisoriamente esecutivi, muniti della relativa formula secondo la nozione processual/civilistica.
In secondo luogo, si potrebbe invece sostenere che il legislatore tributario abbia inteso far riferimento ai decreti ingiuntivi che siano anche solo astrattamente eseguibili, cioè possano essere portati ad effetto loro proprio mediante azioni esecutive individuali.
Questa Corte ritiene che la seconda interpretazione sia quella corretta in quanto, oltre a rispondere a criteri di logica e buon senso, è altresì l’unica costituzionalmente aderente.
Si osserva, infatti, che l’articolo 37 prevede l’assoggettamento all’imposta degli atti dell’Autorità Giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, dei decreti ingiuntivi esecutivi, dei provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e delle sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere “…anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato…”.
Ora, il principio generale che traspare dal sopra citato articolo 37 è quello dell’obbligo della registrazione e dell’assolvimento del tributo anche se l’atto è impugnato o impugnabile, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato.
Ne deriva, pertanto, che il presupposto dell’imposta di registro è la natura esecutiva del decreto ingiuntivo (ossia la clausola di provvisoria esecutorietà), senza che rilevi l’eventuale apposizione della formula esecutiva da parte della cancelleria, formalità necessaria per intraprendere in concreto la procedura dell’esecuzione forzata.
L’imposta è applicata, pertanto, sulla base della mera “esecutività del decreto ingiuntivo e non sulla sua esecuzione in concreto” (cfr. Cass., sez. Trib., 24 aprile – 17 settembre 2001, n. 11663).
Non rileva ai fini della tassazione che, come nel caso che ci occupa, parte appellata non abbia richiesto la copia esecutiva del decreto.
L’imposta di registro, infatti, colpisce una manifestazione di capacità contributiva (articolo 53 Costituzione), indipendentemente dalla volontà dell’istante di procedere all’esecuzione del titolo e così volersene avvalere.
Pertanto, l’atto che presenti tutti i requisiti formali del decreto ingiuntivo deve essere assoggettato a tassazione, non ostandovi la possibilità che lo stesso, nei giudizi successivi, sia dichiarato nullo, salvo però conguaglio o rimborso a seguito di successiva sentenza passata in giudicato.
A tal riguardo, si cita, da ultimo, la recente Ordinanza della Cassazione n. 4327 del 18 febbraio 2021, in cui la Suprema Corte ha statuito: “Il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo è soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale anche se, in pendenza del giudizio di opposizione, l’esecutorietà dello stesso viene sospesa. Solo l’intervento di una decisione definitiva che, all’esito del giudizio di opposizione, revochi, annulli o dichiari la nullità del decreto ingiuntivo opposto esclude la debenza del tributo e comporta l’obbligo dell’immediato rimborso delle somme versate.“
Nel caso di specie il decreto ingiuntivo prevede che venga riconsegnata la cifra di euro 75.000,00 versata a suo tempo dalla ricorrente al sig. Al. V.
L’Ufficio ha quindi legittimamente tassato tale atto in quanto rientrante nella fattispecie di cui all’art. 8, Tariffa Parte I allegata al D.P.R. n. 131/1986, lettera b, che prevede, per gli atti emessi dall’Autorità Giudiziaria recanti una condanna al pagamento di somme o valori, la tassazione sulla sorte, pari in questo caso ad euro 75.000,00 oltre ad interessi pari a 2.260,00 a cui si è aggiunta la tassazione dell’atto di riconoscimento di debito con le relative sanzioni (120%) dovute per l’omessa registrazione dello stesso (cosiddetta tassa di titolo).
Per quanto concerne il diverso atto del riconoscimento di debito pari a 75.000,00, quale oggetto del decreto in questione, questo veniva tassato dall’Ufficio con aliquota del 3%, in quanto atto unilaterale a natura contrattuale.
Il contribuente e attuale parte appellata contesta tale qualificazione dell’atto e la conseguenziale applicazione dell’aliquota proporzionale ritenendo che il riconoscimento del debito abbia natura di dichiarazione di scienza priva di contenuto patrimoniale autonomo e quindi, in quanto tale, debba trovare applicazione l’art.4 della tariffa, parte seconda D.P.R. 26 aprile 1986, n.131 con conseguente sottoposizione ad imposta fissa.
L’Ufficio, tuttavia, nel presente appello, pur ribadendo la legittimità del proprio operato, prendeva atto di come la giurisprudenza di merito abbia continuato ad affermare il principio di diritto secondo il quale la ricognizione di debito è una dichiarazione di scienza assoggettabile comunque ad imposta proporzionale e che abbia ritenuto che l’aliquota da applicare sia quella dell’1% anziché del 3%, come del resto anche la parte ricorrente aveva già richiesto in via subordinata nel ricorso introduttivo.
Si rileva inoltre in tal senso anche l’orientamento giurisprudenziale del Giudice di legittimità, che attribuisce al riconoscimento di debito natura dichiarativa, sottoponendolo quindi all’imposta proporzionale nella misura dell’1% ai sensi del succitato art. 3 Tariffa, Parte Prima (cfr. sentenza C.Cass. n. 3379/2020).
In tale ultima sentenza, che tratta un caso per molti versi analogo a quello oggetto del presente contenzioso, la Corte di Cassazione in un inciso ribadisce chiaramente l’inquadramento della ricognizione di debito tra gli atti aventi natura dichiarativa e per i quali, di conseguenza, ai fini dell’imposta di registro, risulta applicabile il citato art. 3 ed afferma: “Nel caso di specie, non è revocabile in dubbio e, comunque, non è contestato che si sia in presenza del semplice riconoscimento di un pregresso debito. Tuttavia, la ricognizione di debito, quale scrittura privata non autenticata, pur non espressamente inserita nè nella prima, nè nella seconda parte della tariffa di cui al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, né necessariamente ricompresa nel disposto di cui all’art. 4 della parte seconda, che dispone la registrazione in caso d’uso delle “scritture private, non autenticate” qualora non abbiano contenuto patrimoniale, è ugualmente soggetta a registrazione in forza del del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 9, parte prima, che ha valore di previsione generale, trattandosi di atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale [(Sez. 5, Sentenza n. 24107 del 12/11/2014)] “ha natura dichiarativa” – cui è perciò applicabile l’aliquota dell’1% fissata per tale specie di atti dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 3, tariffa allegata”.
E’ chiara quindi la posizione della Suprema Corte sul tema della natura e della tassazione dell’atto di ricognizione di debito, con la precisazione che, sia essa titolata o pura, alla stessa, in quanto atto avente natura dichiarativa, vada comunque applicata una tassazione proporzionale seppur con aliquota dell’1%.
Per le ragioni suddette l’appello, nei limiti e per i motivi come sopra indicati, deve essere accolto. Le spese, trattando la causa avente ad oggetto una complessa questione ermeneutica, caratterizzata anche da rilevanti mutamenti giurisprudenziali, possono compensarsi.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’appello dell’Ufficio e compensa le spese del giudizio.
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