Nel giudizio sull’impugnativa di un licenziamento intimato a conclusione di una procedura diretta al collocamento di lavoratori in mobilità a norma dell’art. 4 della legge n. 223 del 1991, la Cassazione con sentenza n. 3330 del 12 febbraio 2013 nello stabilire che il giudice di merito non può (per non incorrere nel vizio di extrapetizione) prendere in considerazione eventuali ragioni di illegittimità della procedura stessa, in difetto di specifiche censure, in applicazione del principio di carattere processuale secondo cui la parte che chiede al giudice un determinato provvedimento è tenuta ad allegare tutte le circostanze e gli elementi di fatto che giustificano la preposizione della domanda, principio che, in caso di deduzione dell’illegittimità di un licenziamento, comporta la necessità di indicare i vizi di forma o di sostanza che inficiano lo stesso. Come argomentato nella sentenza della Corte di legittimità 3271/2000, “la motivazione che sorregge la sentenza impugnata su questo punto della controversia non ha nulla a che vedere con il principio dell’onere della prova, ma riguarda la necessità che ha la parte, che deduce l’illegittimità del licenziamento, di indicare i vizi di forma o di sostanza che lo inficiano: anche nel processo del lavoro, infatti, colui che invoca dal giudice un determinato provvedimento è tenuto ad allegare tutte le circostanze e gli elementi di fatto che giustificano la proposizione della domanda”.
La Cassazione con sentenza n. 3330 del 12 febbraio 2013 si esprime sulla necessità di induviduare i criteri di selezione dei lavoratori interessati ai licenziamenti collettivi. La platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, oggettive esigenze tecnico-produttive, restando onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata.
Con sentenza del 2009, la Corte di appello di Cagliari rigettava la domanda proposta da una dipendente intesa ad ottenere la declaratoria di nullità, invalidità o inefficacia del recesso comunicato a quest’ultima all’esito di una procedura di licenziamento collettivo, legge n. 223/1991, ex art. 4, determinato dalla soppressione di alcuni servizi, affidati in appalto a ditta esterna.
Il giudice del gravame disattendeva, in particolare, la censura della lavoratrice attinente alla mancata osservanza dei criteri di scelta, e precisamente di quelli del carico di famiglia e dell’anzianità, osservando che il licenziamento aveva nella specie riguardato tutti i lavoratori addetti al settore delle pulizie e che non era stato necessario utilizzare gli altri criteri interessanti comparativamente lavoratori addetti a servizi diversi, posto che le esigenze tecnico-produttive ed organizzative avevano finito per interessare il servizio di pulizie, unico esternalizzato.
Inoltre, secondo la Corte d’appello, i compiti svolti dagli addetti alle pulizie e dagli addetti alla cucina, aventi il medesimo profilo professionale, a torto erano stati ritenuti fungibili, attesa la maggiore qualificazione che caratterizzava questi ultimi.
La lavoratrice ricorreva, pertanto, per cassazione, denunciando, in particolare, l’erronea applicazione di norme di diritto alla scelta dei lavoratori da porre in mobilità. Secondo parte ricorrente, infatti, tale scelta non poteva essere limitata ai soli dipendenti addetti al reparto da sopprimere. Nella specie, secondo la ricorrente, era risultato che la società occupasse dipendenti con il profilo professionale di «operaio polivalente» non solo tra gli addetti al settore soppresso delle pulizie, ma anche in quello di lavanderia e di giardino.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, osservando che, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, oggettive esigenze tecnico-produttive, restando onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (cfr. Cass. 2 dicembre 2009, n. 25353, Cass. 3 maggio 2011, n. 9711).
Ne consegue, secondo la Suprema Corte, che deve ritenersi corretta la decisione che ha ritenuto legittima la scelta di lavoratori impiegati nel reparto soppresso o ridotto, sulla base del riscontro delle notevoli differenze tra i compiti svolti dagli addetti alle pulizie, che non richiedevano l’utilizzo di particolari macchinari, e quelle svolte dagli operai che prestavano servizio nelle cucine o nella lavanderia, ove era previsto l’utilizzo di apparecchi elettrici. Al riguardo, secondo la Corte di cassazione, deve, infatti, considerarsi che nella legge n. 223/1991, art. 5, la duplicità del richiamo alle «esigenze tecnico-produttive ed organizzative» è indice del fatto che nella prima parte, esse si riferiscono all’ambito della selezione, mentre, nella seconda, le medesime esigenze concorrono, poi, nel momento successivo, con gli altri criteri dell’età e del carico di famiglia, all’individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i sindacati).
Pertanto, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata, secondo la Corte, agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 23 giugno 2006, n. 14622, richiamata da Cass. n. 9711/2011).
Nel caso in esame, secondo la Suprema Corte, è stato bene evidenziato nella sentenza oggetto di impugnazione che il criterio utilizzato dalla società nella scelta dei lavoratori da licenziare è stato individuato in accordo con i sindacati, nelle «esigenze tecnico-produttive ed organizzative» di cui alla legge n. 223/1991, art. 5, comma 1, e che l’applicazione del medesimo aveva suggerito di appaltare il servizio di pulizia con inevitabile soppressione dall’organico aziendale di tutte e dieci le posizioni lavorative addette a tale servizio, tra le quali quella occupata dalla lavoratrice, posizioni non fungibili rispetto a quelle dei dipendenti addetti ad altri reparti o settori (Cass. 31 luglio 2012, n. 13705).
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