CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 maggio 2013, n. 11623
Tributi – Accertamento induttivo – Parametri – Attività duplice – Contabilità unica – Calcolo del reddito
Svolgimento del processo
A. Con atto notificato il 4 luglio 2007 direttamente a S. R. (in Roverbella, (…) ), l’Agenzia delle entrate propose ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia del 27 giugno 2006 che, accogliendo l’appello del contribuente (partita IVA n° 00484340203), aveva annullato l’avviso di accertamento per IRPEF e IVA relative all’anno 1995.
B. L’intimato non si difese e la causa fu assegnata alla camera di consiglio, essendosi ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c. Indi, con ordinanza n. 30443 del 30 dicembre 2008 (c.c. 19 novembre 2008), questa Corte rigettò il ricorso, aderendo alla relazione del 9 luglio 2008 regolarmente comunicata.
C. Con atto notificato il 19 dicembre 2009 direttamente nelle mani di S. R. (in Roverbella, (…) ), l’Agenzia delle entrate ricorre per la revocazione dell’ordinanza di questa Corte, formulando due doglianze sulla ritenuta inammissibilità dei due mezzi del ricorso originario. Il contribuente non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione
D. Preliminarmente si rileva che, nella delibazione del presente ricorso risulta omessa la previa trattazione in camera di consiglio (prevista dall’art. 391-bis, secondo comma, cod. proc. civ.), ma tale omissione configura una mera irregolarità che non determina alcuna violazione dei diritti della difesa, in virtù della più ampia garanzia assicurata dal giudizio interamente celebrato in pubblica udienza (Sez. 2, Sentenza n. 8559 del 08/04/2009, Rv. 607574).
E. Riguardo al primo motivo di revocazione, correlato per quanto qui interessa al primo mezzo del ricorso originario, va premesso la sentenza revocanda afferma: “Il primo motivo di ricorso con cui si deduce violazione di legge è inammissibile in quanto il medesimo non è corredato dal quesito di diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c.”.
F. Di contro, l’Agenzia delle entrate, con il ricorso per revocazione fa rilevare che a pag. 5 del ricorso originario e a conclusione del primo mezzo, v’è il seguente quesito: “Dica codesta Corte se in caso di duplice attività esercitata in difetto di contabilità separata, il calcolo parametrico di cui all’art. 3 co. 181 L. 549/95, 39 e 42 d.p.r. 1973/600, art. 1 d.p.c.m. del 29.1.1996 debba investire l’intero reddito o, invece, solo quello relativo alla attività ritenuta prevalente e determinata ai sensi dell’art. 1, comma 2, seconda alinea del d.p.c.m. 29.1.1996”.
G. Il motivo è ammissibile e fondato, perché denuncia evidente errore di percezione della Corte su fatto processuale costituito dall’esistenza grafica del quesito di diritto richiesto dall’art. 366-bis cod. proc. civ..
Fermo restando che una sentenza di legittimità non può essere impugnata per revocazione in base all’assunto che la Corte abbia male compreso i motivi di ricorso, perché un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9835 del 15/06/2012, Rv. 622982), il caso in esame si presenta obiettivamente diverso.
H. Si è già affermato che l’ omessa lettura di alcuni motivi del ricorso per cassazione configura un errore revocatorio, per essere il giudice di legittimità incorso in un errore di fatto nell’esame degli atti interni al suo stesso giudizio (Sez. L, Sentenza n. 362 del 13/01/2010, Rv. 611999).
E ancora, per l’omesso scrutinio di un motivo di ricorso, sì è detto che l’unico mezzo d’impugnazione esperibile avverso la relativa sentenza è la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorsa la Corte, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti l’una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Sez. 6-3, Ordinanza n. 16003 del 21/07/2011, Rv. 618879).
I. Nella specie l’affermazione dalla Corte circa l’assenza materiale del quesito di diritto dà luogo a una divergente rappresentazione dell’atto processuale rispetto alla struttura grafica del ricorso. Palese è, dunque, la configurabilità del denunciato errore revocatorio, essendo la revocanda decisione fondata sull’inesistenza di un fatto, ovverosia “il quesito di diritto”, che la realtà processuale, quale documentata dal testo del ricorso, induce ad affermare esistente senza incertezze; sicché la revocanda decisione della Corte non può dirsi essere conseguenza di errata interpretazione di risultanze processuali e, quindi, di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione esclusa dall’area sindacabile degli errori revocatori.
J. Riguardo al secondo motivo di revocazione, correlato per quanto qui interessa al secondo mezzo del ricorso originario, la sentenza revocanda afferma: “Ugualmente inammissibile è il secondo motivo con il quale si deduce difetto di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in quanto non coglie la ratio decidendi. Mentre il fatto controverso sulla cui sussistenza la motivazione sarebbe carente è rappresentato dal possesso di un reddito inferiore a quello risultante dall’applicazione dei parametri, la Commissione tributaria regionale ha fondato la reiezione della domanda sulla diversa considerazione in base alla quale vi era stato un errore nell’applicazione dei parametri dal momento che era stata assunta come migliore annualità rilevante ai fini del calcolo quella in cui, invece, se si scorporavano i dati relativi alle due attività svolte dal contribuente la performance relativa a quella prevalente non era stata la migliore del quinquennio e tale affermazione non è stata sottoposta a censura”.
K. Di contro, l’Agenzia delle entrate fa rilevare che la decisione della CTR faceva riferimento alla ritenuta – dall’Ufficio – inattendibilità del reddito, censurandola in punto di fatto; mentre il secondo motivo di ricorso denunciava la carenza di motivazione della sentenza d’appello circa le fonti probatorie che avevano indotto il fisco alla conclusione d’inattendibilità del reddito. Sostiene, infine, che l’errore addotto non investe l’attività valutativa del giudice di legittimità, bensì il riferimento formale del motivo di ricorso alla statuizione oggetto d’impugnativa.
L. Il motivo è inammissibile. La ricorrente deduce, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della Corte di un motivo di ricorso, qualificando come errore di percezione degli atti di causa quello che è un asserito errore sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso.
La ricorrente, dunque, si muove in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto”, potendo configurare l’eventuale omessa o errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sé stessi insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ. (Cass. 5221/09).
M. Si è ripetutamente affermato che non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della Corte della quale si censuri la valutazione del motivo, perché in tal caso è dedotta l’errata interpretazione dell’oggetto del ricorso (Cass. 10466/11, 14608/07), cosi com’è stata esclusa la ricorrenza di errore revocatorio riguardo al contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (Cass. 11657/06), ovvero nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso (Cass. 5086/03), ovvero nell’interpretazione dei motivi (Cass. 9533/06).
N. Tali considerazioni (par. J-N), peraltro, hanno rilievo più teorico che pratico.
Infatti, una volta accertata (nei sensi “infra” indicati con la pronunzia rescissoria che segue quella rescindente) la pregiudiziale e assorbente falsa applicazione da parte del giudice d’appello delle norme di diritto (art. 3 co. 181 L. 549/95; artt. 39 e 42 d.p.r. 600/73; art. 1 d.p.c.m. 29 gennaio 1996) invocate nel primo mezzo ricorso per cassazione (recuperato con l’accoglimento del primo motivo di revocazione), mutano del tutto le coordinate giuridiche probatorie e fattuali con le quali occorre traguardare la fattispecie concreta.
O. In conclusione, l’ordinanza di questa Corte n. 30443 del 30 dicembre 2008 deve essere revocata avendo disatteso il primo e assorbente con l’erronea affermazione che <non è corredato dal quesito di diritto>, benché esso esista graficamente.
P. Passando dalla fase rescindente alla fase rescissoria, il primo mezzo di ricorso per cassazione, come anticipato (sub N), deve essere accolto. La ricorrente denuncia (art. 360 n. 3 c.p.c.) che il giudice d’appello, in fattispecie di duplice attività esercitata in difetto di contabilità separata, ha trascurato che il calcolo parametrico di cui al combinato della normativa in materia (art. 3 co. 181 L. 549/95; artt. 39 e 42 d.p.r. 600/73; art.1 d.p.c.m. 29 gennaio 1996) deve investire l’intero reddito del contribuente e non solo quello relativo all’attività ritenuta prevalente e determinata ai sensi dell’art. 1 co. 2, del d.p.c.m, 29 gennaio 1996.
Q. Per quest’ultima disposizione, in caso di esercizio di più attività d’impresa e/o di più attività artistiche e/o professionali, per le quali non sia stata tenuta la contabilità separata, i parametri sono applicati in relazione all’attività prevalente svolta dal contribuente, intendendosi per tale quella da cui è derivato, nel periodo di imposta, il maggiore ammontare dei ricavi o compensi. In presenza di contabilità separata vanno, invece, applicate le distinte serie di parametri che si riferiscono alle diverse attività esercitate.
R. La sentenza d’appello censura l’operato del fisco, “…poiché ha sviluppato il calcolo del reddito, su base parametrica, prendendo a riferimento tutto il volume d’affari prodotto dal contribuente” e “ignorando completamente la seconda attività dichiarata”. Aggiunge che, “se si scorporano sia i costi che i ricavi delle due attività, risulta che non corrisponde al vero il fatto dedotto dall’Ufficio che l’azienda aveva ottenuto nell’anno in questione la sua migliore performance del quinquennio precedente”.
S. E’ evidente la sconnessione logico-giuridica riscontrabile nell’interpretazione e nell’applicazione della normativa in materia (art. 3 co. 181 L. 549/95; artt. 39 e 42 d.p.r. 600/73; art. 1 d.p.c.m. 29 gennaio 1996) da parte del giudice d’appello, che trascura completamente la prescrizione secondo cui, in caso di attività plurime esercitate senza tenere contabilità separate, i parametri non possono che essere individuati esclusivamente in relazione all’attività prevalente e applicati all’intero giro d’affari, contabilmente unitario.
T. Invero, l’accertamento mediante parametri affianca la procedura di cui all’art. 39 del d.p.r. 600 e la controprova può essere offerta dal contribuente con la più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 6777/11; conf. S.U. 26635/09). Però, il profilo della controprova (al quale pare far confuso riferimento la sentenza d’appello, quando accenna ai costi della seconda attività e alla presenza di un aliante ultraleggero tra i beni ammortizzabili) è sempre esterno al meccanismo legale di applicazione dei parametri.
Ciò è ben chiaro nella giurisprudenza di legittimità (conf. ult. cit.) e nella stessa prassi amministrativa (cf r. C.M. 13 maggio 1996 n.117, secondo cui, ad esempio, in caso di esercizio di più attività per le quali non è stata tenuta la contabilità separata e alle quali si applicherebbero autonomamente parametri diversi, se i ricavi o compensi presunti in base ai parametri relativi all’attività prevalente siano di ammontare superiore a quelli che si sarebbero potuti determinare con riferimento all’attività non prevalente, di tale circostanza può tenersi conto qualora quest’ultima attività risulti avere un’apprezzabile rilevanza).
U. Nella specie, a parte i dati della prevalenza dell’attività di elettricista rispetto all’altra contestualmente svolta (rimessaggio di paracadute e voli con aerei superleggeri) e della presenza di costi e beni ammortizzabili relativi a quest’ultima attività, null’altro è addotto dal giudice d’appello per inficiare il calcolo parametrico, se non il rilievo, errato in punto di diritto, che esso non deve investire l’intero reddito ma solo quello relativo all’attività ritenuta prevalente.
Così facendo il giudice d’appello, più che operare una verifica in controprova, finisce per trasmodare in criteri di computo parametrico diversi da quelli legali per le attività plurime svolte senza contabilità separata.
V. La sentenza d’appello va, dunque, cassata in relazione al primo mezzo accolto e rinviata alla commissione regionale territorialmente competente che, in diversa composizione, procederà al riesame della vertenza attenendosi al seguente principio di diritto:
“In fattispecie di attività plurime esercitate senza tenere contabilità separate, i parametri di cui all’art. 3 co. 181 della legge 549 del 1995 devono essere individuati esclusivamente in relazione all’attività prevalente e applicati all’intero giro d’affari, contabilmente unitario, ai sensi dell’art. 1 co. 2 del d.p.c.m. 29 gennaio 1996; avverso il maggior reddito così accertato, il contribuente ha la più ampia facoltà di prova, incluso il ricorso a presunzioni semplici”.
Il giudice di rinvio regolerà anche le spese della doppia fase di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di revocazione e, inammissibile il secondo, revoca l’ordinanza di questa Corte n. 30443 del 30 dicembre 2008 in relazione al mezzo accolto; per l’effetto, accoglie il primo motivo del ricorso per cassazione, cassa la sentenza d’appello in relazione al mezzo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
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